Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 349 del 09/01/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 349 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 17371-2010 proposto da:
COMPASS S.P.A. (c.f./p.i. 00864530159, in persona
dei procuratori speciali pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 6, presso

Data pubblicazione: 09/01/2013

l’avvocato CALLORI MARCO, che la rappresenta e
difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

2012
1894

contro

SCHINA LUIGI (c.f. SCHLGU53514A749G);
– intimato –

1

avverso la sentenza n. 14169/2009 del TRIBUNALE di
MILANO, depositata il 31/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 14/12/2012 dal Consigliere
Dott. ANTONIO DIDONE;

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

2

Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Con ricorso al Tribunale di Milano Schina Luigi,
premesso di essere stato informato dalla società Experian
Information Services S.p.A. dell’esistenza di una

segnalazione negativa a proprio carico, relativa al
rapporto di finanziamento stipulato in data 22 marzo 2003
con Compass S.p.A.; di avere inoltrato un’istanza di
accesso ai propri dati personali a Compass il 24 ottobre
2008, rimasta senza esito; chiese l’esercizio giudiziale
del diritto di accesso ai propri dati personali ex art. 7
decreto legislativo n. 196 del 2003, Codice per la
protezione dei dati personali, nonché ex art. 8, comma 4,
del 16 novembre 2004, n.8, cd. Codice di deontologia e di
buona condotta per i sistemi informativi gestiti da
soggetti privati in tema di crediti al consumo,
affidabilità e puntualità nei pagamenti.
Si costituì la convenuta la quale eccepì: di non aver mai
ricevuto il fax menzionato dalla controparte; di aver
sempre trasmesso al ricorrente in corso di rapporto ogni
notizia, successivamente oggetto della richiesta in
contestazione; di aver comunque allegato alla comparsa di
risposta le informazioni richieste dalla controparte e
chiese il rigetto del ricorso.

3

Con sentenza del 31.12.2009 il Tribunale, preso atto della
cessazione della materia del contendere, posto che parte
convenuta aveva allegato alla comparsa di costituzione e
risposta le note informative afferenti la posizione del
ricorrente, con ciò adempiendo alla richiesta di accesso ai

propri dati personali da questi inoltrata, condannò la
società convenuta al pagamento delle spese processuali in
virtù della c.d. soccombenza virtuale.
Osservò il tribunale che il ricorso risultava fondato in
quanto era risultato provato in via documentale che in data
24 ottobre 2008 Schina Luigi aveva inviato alla s.p.a.
Compass un fax contenente la richiesta di accesso ai propri
dati personali e non era contestato che la destinataria
della richiesta non avesse dato corso ad alcun adempimento
né nel termine di 15 giorni previsto ex art 146 D. Lgs. N.
196 del 2003, né successivamente, e sino alla costituzione
nel giudizio.
Nel caso in esame l’attestazione dell’avvenuto inoltro con
esito positivo delle quattro pagine di cui risultava
composto il messaggio trasmesso esimeva il ricorrente da
qualsiasi verifica successiva.
L’art. 9 (Esercizio dei diritti) citato recita al comma 1.

“T

diritti di cui all’articolo 7 sono esercitati con

richiesta rivolta senza formalità al titolare o al

4

responsabile, anche per il tramite di un incaricato, alla
quale è fornito idoneo riscontro senza ritardo…”.
L’interpretazione letterale della norma, nonché la lettura
sistemica

della

stessa,

imponeva v al

titolare

del

trattamento un onere di risposta in tempi strettamente

consequenziali alla richiesta, certamente non superiori al
limite temporale individuato ex lege per l’interpello del
Garante, con conseguente impossibilità di qualificare come
ordinatorio il termine indicato.
Una interpretazione di segno contrario

secondo il

tribunale – finirebbe col vanificare la funzione di tutela
della dignità del cittadino – unico e vero dominus dei dati
che lo riguardano perseguita dal testo di legge indicato,
lasciando al soggetto titolare del trattamento dei dati
l’arbitrio in ordine al tempus, e quindi, di fatto, all’an
della risposta.
Infine, il diritto di accesso ai dati personali non riceve
alcuna differenziazione per quanto riguarda il diritto alla
conoscenza dell’interessato, sia che la richiesta abbia ad
oggetto dati trattati da terzi, sia per i dati raccolti e
trasmessi dall’intermediario, come avvenuto per il caso di
Compass.
Nessun rilievo poteva essere attribuito al puntuale invio
in corso di rapporto da Compass a Schina Luigi di ogni

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comunicazione di interesse per quest’ultimo, svolgendo tali
adempimenti tutt’altra funzione.
Il diritto di accesso non è il mero diritto alla conoscenza
di eventuali dati nuovi ed ulteriori rispetto a quelli già
entrati nel patrimonio di conoscenza e quindi nella

disposizione dello stesso soggetto interessato al
trattamento dei propri dati; scopo della norma invocata da
parte ricorrente è infatti garantire, a tutela della
dignità e riservatezza del soggetto interessato, la
verifica ratione temporis dell’avvenuto inserimento, della
permanenza, ovvero della rimozione di dati,
indipendentemente dalla circostanza che tali eventi fossero
già stati portati per altra via a conoscenza
dell’interessato, verifica attuata mediante l’accesso ai
dati raccolti sulla propria persona in ogni e qualsiasi
momento della propria vita relazionale.
La decisione del Garante della privacy adottata il 17
luglio 2008, allegata da parte resistente, infine, era
relativa a diversa fattispecie (richiesta dell’erede
dell’interessato).
2.- Contro la sentenza del Tribunale la s.p.a. Compass ha
proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Non ha svolto difese l’intimato.
2.1.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia vizio
di

motivazione

sul

seguente

fatto

controverso:

(-3

<>.
2.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia
«Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Art.
360 n. 3) c.p.c. in relazione agli artt. 8 n. l) e 146 n.
2) D.Lvo 196/2003>>.
Deduce, in sintesi, che erroneamente il giudice del merito
avrebbe interpretato l’art. 8 cod. privacy e falsamente
applicato l’art. 146 stesso codice, ritenendo applicabile
all’ipotesi disciplinata dalla prima norma il termine
perentorio di quindici giorni previsto dalla seconda norma
dettato in materia di «interpello preventivo».
2.3.- Con

il terzo motivo parte ricorrente denuncia

<<omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. Omessa considerazione della valenza delle 7 comunicazioni “preventive” all’istanza di accesso. Insussistenza della soccombenza virtuale». Deduce, in estrema sintesi, che all’udienza del 5 novembre 2009 il ricorrente aveva dedotto che la controparte aveva l’istanza di accesso cui non aveva dato corso, mediante i documenti allegati da Compass S.p.A. alla comparsa di risposta. Invece la Compass S.p.A. aveva espresso il proprio interesse “ad una pronuncia nel merito per le ragioni tutte esposte nella comparsa”. «Quindi, in realtà, a fronte della asserzione del ricorrente Sig. Luigi Schina, che si dichiarava soddisfatto dalle allegazioni processuali della Compass S.p.A., quest’ultima manifestava il proprio interesse e la volontà di addivenire ad una pronuncia nel merito, che acclarasse la insussistenza di ogni violazione della normativa di cui agli artt. 7 ed 8 del D.Lvo 196/2003 e la correttezza del proprio operato». Il Giudice di merito omettendo di considerare e trarre le dovute conseguenze dalla produzione documentale della Compass S.p.A. (in punto di valutazione della sussistenza o meno di una lesione del diritto di conoscenza del soggetto richiedente l’accesso ai propri dati), aveva optato per una interpretazione, non condivisibile, che si era basata soddisfatto la propria richiesta di informativa con soltanto sulla affermazione di parte ricorrente di essere soddisfatta dalle allegazioni processuali avversarie, non rilevando che oggetto del giudizio era anche e soprattutto, il verificare se il ricorrente Sig. Schina Luigi, in realtà, avesse già ricevuto dalla Compass S.p.A., assolutamente corrette ed esaustive, come preventivamente, le informazioni richieste. Informazioni anche riconosciuto in sede processuale, dal Sig. Schina Luigi. 3.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché – essendo stato notificato a mezzo posta e non essendosi costituito l’intimato – manca la prova della ricezione della raccomandata, non avendo parte ricorrente, prima della discussione, prodotto l’avviso di ricevimento del plico raccomandato. Nondimeno, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, non preclude alla Corte di usare del potere di enunciare ai sensi dell’art. 363 c.p.c., su questioni di particolare importanza, il principio di diritto nell’interesse della legge, posto che nella dichiarazione conseguente all’esercizio del potere di rinuncia delle parti, così come nell’inammissibilità del ricorso, ciò che è precluso è solo la possibilità di pronunciarsi sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio (Case 19051/10). Sussistendo, dunque, le condizioni di cui all’art. 363 c.p.c., ritiene il collegio 9 di doversi pronunciare sulle questioni di diritto poste dalla parte ricorrente. 3.1.- Il primo motivo è inammissibile nella parte in cui formula censure in fatto in contrasto con l’accertamento del giudice di merito secondo il quale è risultato documentalmente provato che l’attore avesse inviato alla ricorrente, in data 24.10.2008, un fax “contenente la richiesta di accesso ai propri dati personali”. Nel resto la censura è infondata. Invero, sebbene in relazione ad altra materia, questa Sezione ha affermato il principio per il quale «in presenza di una comunicazione di cancelleria eseguita a mezzo telefax, ai sensi dell’art. 136, terzo comma, cod. proc. civ., l’attestato del cancelliere, da cui risulti che il messaggio è stato trasmesso con successo al numero di fax corrispondente a quello del destinatario, è sufficiente a far considerare la comunicazione avvenuta, salvo che il destinatario fornisca elementi idonei a fornire la prova del mancato o incompleto ricevimento» (Sez. l, Sentenza n. 5168 del 30/03/2012). Con la pronuncia ora richiamata la S.C. ha chiarito, quanto «al dubbio che detto sistema di trasmissione non garantisca a sufficienza l’effettivo ricevimento dell’atto comunicato», che, «una volta dimostrato l’avvenuto inoltro del documento a mezzo telefax al numero corrispondente a quello del destinatario, è perfettamente lo logico presumere che detta trasmissione sia effettivamente avvenuta e che il destinatario abbia perciò avuto modo di acquisire piena conoscenza di quanto comunicatogli. Sarà suo onere, allora, dedurre e dimostrare l’esistenza di elementi idonei a confutare l’avvenuta ricezione, non bastando certo a tal fine che egli si limiti a negarla>>
(Sez. l, Sentenza n. 5168 del 30/03/2012).
Il principio enunciato da tale ultima pronuncia in
relazione alla comunicazione di atti del processo è da
ritenere applicabile anche alle comunicazioni a mezzo
telefax al di fuori del processo.
3.2.- L’istanza di accesso ai propri dati personali alla
s.p.a. Compass risulta inoltrato,dall’attore con fax del 24
ottobre 2008 mentre il ricorso al Tribunale è stato
depositato soltanto il 9 gennaio 2009.
La società ricorrente, dunque, è priva di qualsiasi
interesse a dedurre la brevità del termine di quindici
giorni assegnato dall’attore, conformemente, peraltro, a
quanto disposto dall’art. 8, comma 4, del Codice di
deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi
gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo,
affidabilità e puntualità nei pagamenti (Provvedimento del
Garante n. 8 del 16 novembre 2004, Gazzetta Ufficiale 23
dicembre 2004, n. 300, come modificato dall’errata corrige
pubblicata in Gazzetta Ufficiale 9 marzo 2005, n. 56), il

11

quale richiama il termine di cui all’art. 146 d.lgs. n.
196/2003.
E’ vero, peraltro, che il procedimento previsto dagli artt.
145 e ss. del Codice ha caratteri particolari e può essere
proposto solo per soddisfare specifiche richieste formulate

in riferimento alle particolari situazioni soggettive
tutelate dall’art. 7 del Codice, avanzate precedentemente e
negli stessi termini al titolare o al responsabile del
trattamento e da questi disattese anche in parte, mentre la
proposizione immediata del ricorso al Garante è possibile
solo nell’ipotesi in cui il decorso del tempo necessario
per interpellare il titolare o il responsabile “esporrebbe
taluno a pregiudizio imminente e irreparabile”.
Sennonché, è irrilevante che il termine di quindici giorni
sia previsto in una disposizione inserita nella sezione che
disciplina il procedimento dinanzi al Garante, posto che si
tratta di sezione del Codice della privacy dedicata alla
<<Tutela

alternativa

a quella giurisdizionale» e che

l’art. 145, comma 1, prevede che <>.
L’art. 7, Gomma 1, del Codice 196/2003 (Diritto di accesso
ai dati personali ed altri diritti) prevede il diritto
dell’interessato di ottenere la conferma dell’esistenza o
meno di dati personali che lo riguardano, anche se non

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ancora registrati, e la loro comunicazione in forma
intelligibile e l’art. 8, comma 1, dispone che i diritti di
cui all’articolo 7 sono esercitati con richiesta rivolta
senza formalità al titolare o al responsabile, anche per il
tramite di un incaricato, alla quale è fornito idoneo

riscontro “senza ritardo”.
Correttamente, dunque, il giudice del merito ha fatto
riferimento al termine previsto in relazione all’interpello
preventivo al fine di individuare un congruo spatium
deliberandi al destinatario della richiesta di accesso.
3.3.- Il giudice del merito ha correttamente evidenziato
che lo scopo della norma invocata da parte attrice è quello
di garantire, a tutela della dignità e riservatezza del
soggetto interessato, la verifica ratione temporis
dell’avvenuto inserimento, della permanenza, ovvero della
rimozione di dati, indipendentemente dalla circostanza che
tali eventi fossero già stati portati per altra via a
conoscenza dell’interessato, verifica attuata mediante
l’accesso ai dati raccolti sulla propria persona in ogni e
qualsiasi momento della propria vita relazionale.
Peraltro, in caso di esercizio del diritto di accesso
previsto dalla normativa sul trattamento dei dati personali
il titolare del trattamento, ovvero il responsabile se
nominato, non possono limitarsi a dare una mera conferma
dell’esistenza dei dati ma devono estrarli dai documenti in

13

loro possesso ponendoli a disposizione dell’interessato
(Garante 16 gennaio 2003 v. anche www.garanteprivacy.it:
doc. web n. 1067830).
In particolare il titolare del trattamento è tenuto ad
estrarre i dati detenuti ed a comunicarli all’interessato,

curandone l’agevole comprensione e, ove richiesto, a
trasporli su supporto cartaceo o, se necessario,
informatico

(Garante

29

gennaio

2003

v.

anche

www.garanteprivacy.it: doc. web n. 1067903) mentre non
fornisce

adeguata

risposta

alla

richiesta

dell’interessato di conoscere i dati che lo
riguardano la sola conferma da parte del titolare
del trattamento dell’esistenza, nei propri archivi, di
informazioni relative agli intercorsi rapporti contrattuali
ed ai contenziosi che ne erano
scaturiti, senza comunicazione, nel dettaglio, di tutti i
dati detenuti (Garante 2 luglio 2003 v. anche
www.garanteprivacy.it: doc. web n. 1079895).
L’art. 10 del d.lgs. n. 196/2003 dispone – tra l’altro che, per garantire l’effettivo esercizio dei diritti di cui
all’articolo 7, il titolare del trattamento è tenuto ad
adottare idonee misure volte ad agevolare l’accesso ai dati
personali da parte dell’interessato, anche attraverso
l’impiego di appositi programmi per elaboratore finalizzati
ad un’accurata selezione dei dati che riguardano singoli

14

interessati identificati o identificabili e a semplificare
le modalità e a ridurre i tempi per il riscontro al
richiedente, anche nell’ambito di uffici o servizi preposti
alle relazioni con il pubblico.
I dati sono estratti a cura del responsabile o degli

incaricati e possono essere comunicati al richiedente anche
oralmente, ovvero offerti in visione mediante strumenti
elettronici, sempre che in tali casi la comprensione dei
dati sia agevole, considerata anche la qualità e la
quantità delle informazioni. Se vi è richiesta, si provvede
alla trasposizione dei dati su supporto cartaceo o
informatico,

ovvero alla loro trasmissione per via

telematica. Salvo che la richiesta sia riferita ad un
particolare trattamento o a specifici dati personali o
categorie di dati personali, il riscontro all’interessato
comprende

tutti

i

dati

personali

riguardano

che

l’interessato comunque trattati dal titolare

e quando

l’estrazione dei dati risulta particolarmente difficoltosa
il riscontro alla richiesta dell’Interessato può avvenire
anche attraverso l’esibizione o la consegna in copia

di

atti e documenti contenenti i dati personali richiesti.
L’assunto della società ricorrente, per contro, confonde il
diritto all’accesso e il corrispondente obbligo di risposta
di cui agli artt. 7, 8 e 10 d.lgs. n. 196/2003 con gli
altri

adempimenti

richiesti

da

tale

provvedimento

15

legislativo (come l’art. 13) per l’acquisizione, ai fini
del successivo trattamento, dei dati personali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e pronuncia ex

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14
dicembre 2012

art. 363 c.p.c. come in motivazione.

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