Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3487 del 13/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3487 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: ACIERNO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso 6178-2016 proposto da:
SULA BLEDAR, (ovvero SULA ELSON giusto provvedimento di
cambiamento nome da parte delle autorità albanesi), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo
studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIORGIO) PIETRAMALA;

ricorrente

contro

PREFETTURA di VENEZIA, in persona del Prefetto in carica,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

‘.0

Data pubblicazione: 13/02/2018

avverso il provvedimento n. 119/2016 del GIUDICE DI PACE di
VENEZIA, depositato il 16/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 14/11/2017 dal Consigliere Dott. IARIA ACIERNO.

Con ordinanza del 15/02/2016 il Giudice di Pace di Venezia ha
respinto il ricorso proposto ex art. 13, comma 8, d.lgs. 286/98, da Sula
Bledar avverso il provvedimento di espulsione amministrativa n.
237/2015 emesso dal Prefetto di Venezia nei confronti dello stesso.
Il Giudice di Pace ha rilevato innanzitutto che l’espulsione era stata
disposta per essere lo straniero sprovvisto di qualsiasi titolo
autorizzativo per rimanere nel territorio nazionale (art. 13, comma 2,
lett. b), d.lgs. 286/98), non avendo egli dimostrato la regolarità della
sua presenza in Italia al momento della notifica del provvedimento
prefettizio, che per pertanto risulta pienamente legittimo in quanto atto
dovuto. In secondo luogo, l’espulsione era motivata alla pericolosità
sociale del ricorrente (art. 13, comma 2, lett. e), digs. 286 cit.),
riconosciuto colpevole di vari reati e considerato abitualmente dedito a
traffici delittuosi.

\vverso suddetta pronuncia ricorre Sula Bledar, sulla base di un unico
motivo, cui resiste con controricorso la Prefettura di Venezia.
Deduce il ricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma
2, lett. c, d.lgs. 286/98 in relazione all’art. 1 della L. 1423/56, perché il
Giudice di Pace non ha verificato con accertamento rigoroso e attuale
la fondatezza della valutazione di pericolosità sociale formulata dal

Ric. 2016 n. 06178 sez. M1 – ud. 14-11-2017
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RAGIONI DELLA DECISIONE

Prefetto, limitandosi a motivare in relazione alle condanne penali
riportate.

Come riportato nel provvedimento del Giudice di Pace e rilevato
dall’Amministrazione controricorrente, l’espulsione del ricorrente era

(avendone il Questore negato il rinnovo) e la pericolosità sociale del
ricorrente. Si tratta di ragioni entrambe idonee autonomamente a
giustificare l’espulsione: la prima ai sensi della lett. b), la seconda ai
sensi della lett. c) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 2
(Cass. 16503 del 05/08/2015).
Tuttavia in questa sede (e, a quanto consta, anche in sede di ricorso
dinanzi al Giudice di Pace) viene censurata esclusivamente la
violazione della lett. c) dell’art. 13, ovvero la valutazione di pericolosità
sociale dello straniero svolta dal Prefetto e confermata dal Giudice di
Pace. Ne deriva l’inammissibilità del ricorso in applicazione del
principio secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di
ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e
logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa
impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di
interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta
definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe
produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (e.:\: .p1/1 ri m is ,
Cass. n. 22753, del 03/1172011, tv. 619427 — 01).
Conclusivamente, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate
come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ric. 2016 n. 06178 sez. M1 – ud. 14-11-2017
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stata disposta per due ragioni: la mancanza di un titolo di soggiorno

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente a
rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in curo
2100 per compensi, 100 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così è deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 novembre

2017.

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