Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3485 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. I, 15/02/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 15/02/2010), n.3485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.C. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Marra

Luigi Alfonso, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, in persona del Presidente del Consiglio

pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il 20

dicembre 2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

27 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;

con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. Dr. Russo

Rosario Giovanni.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

F.C. adiva la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con ricorso del 26.11.99, deciso con sentenza dell’11.10.00, avverso la quale era stato proposto appello il 30.5.01, deciso il 19.3.2004, essendo stato proposto ricorso per cassazione, ancora pendente.

La Corte d’appello, con decreto del 20.12.06 osservava che il termine ragionevole doveva ritenersi di due anni e sei mesi per il giudizio di primo grado, di due anni per quello di secondo grado e di due anni per quello di legittimità e che alla data del 9 agosto 2005 non era ancora decorso, quindi rigettava la domanda, compensando le spese del giudizio. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso F.C., affidato ad otto motivi; non ha svolto attività difensiva il Ministero della giustizia (in detti termini va corretta la relazione che, sul punto, contiene una diversa indicazione, frutto di palese errore materiale).

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata al ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- L’istante, con il motivo L denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto avrebbe prospettato l’irragionevole durata della sola fase d’appello, sulla quale la Corte del merito non si sarebbe pronunciata, decidendo invece la domanda concernente l’intero processo. Il motivo 3 denuncia erronea e falsa applicazione di legge (art. 6 p. 1 CEDU) ed è posto il seguente quesito: è corretto determinare (…) la durata ragionevole del processo in anni due per il primo grado e in un anno e mezzo per il giudizio di appello, ovvero qual è la durata ragionevole dei presente processo? I restanti mezzi denunciano erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6, p. 1 CEDU), in relazione ai rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) pongono questioni relative ai presupposti della sussistenza del danno non patrimoniale (motivo 2);

all’efficacia della CEDU (motivo 4), al parametro di quantificazione dell’equa riparazione (motivo 4), al periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione (motivi 5 e 6) al diritto ad un bonus di Euro 2.000,00, in relazione a particolari controversie (motivo 7); alla necessità di compensare le spese nel caso di rigetto del ricorso (motivo 8).

2.- Il primo motivo sembra manifestamente infondato.

Al riguardo, va ribadito l’orientamento di questa Corte, secondo il quale, pur essendo possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU occorre – secondo quanto già enunciato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo – avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva del processo anzidetto, alla maniera in cui si è concretamente articolato (per gradi e fasi appunto), così da sommare globalmente tutte le durate.

Infatti, queste ineriscono all’unico processo da considerare unitariamente, secondo quanto induce a ritenere il fatto che, a norma dell’art. 4 della citata legge, ferma restando la possibilità di proporre la domanda di riparazione durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, tale domanda deve essere avanzata, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il procedimento stesso, è divenuta definitiva (Cass. n. 8717 del 2006; n. 28864 del 2005; n. 3143 del 2004). Di questo principio ha fatto corretta applicazione la Corte d’appello, con conseguente manifesta infondatezza del primo motivo.

Il terzo motivo è manifestamente inammissibile nella parte in cui pretende da questa Corte un accertamento di merito; è manifestamente infondato in quanto postula un parametro difforme da quello della Corte EDU, fissato in tre anni, due anni ed un anno, per i tre gradi di giudizio. Di questo principio ha fatto corretta applicazione il decreto, che ha anzi derogato in melius il parametro relativo al giudizio di primo grado e correttamente ha rigettato la domanda, una volta che ha accertato che non risultava violato.

Il motivo 8, relativo alla mancata compensazione delle spese è manifestamente infondato.

Al riguardo va data continuità all’orientamento di questa Corte, secondo il quale dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attività dello Stato che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti dalla Convenzione o ad imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione (Cass. n. 18204 del 2003).

Pertanto, il mancato esercizio del potere di compensazione resta incensurabile in questa sede.

I restanti mezzi sembrano manifestamente inammissibili, perchè inconferenti, non avendo alcuna attinenza con la ratio ed il decisum del decreto, e non avendo rilievo gli argomenti in essi svolti, una volta accertata l’insussistenza della violazione del termine di ragionevole durata del giudizio”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, pure indicata nella relazione, con conseguente rigetto del ricorso. In particolare, va osservato che il giudizio presupposto era stato promosso con ricorso del 26.11.1999 ed era pendente in sede di legittimità alla data del 9.8.2005, sicchè non era comunque decorso il termine di sei anni, considerato ragionevole secondo la Corte di Strasburgo.

Non deve essere resa pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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