Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3484 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. I, 15/02/2010, (ud. 08/10/2009, dep. 15/02/2010), n.3484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.E., G.F., S.G. –

elettivamente domiciliate in ROMA, via Pinturicchio, 21, presso lo

studio dell’avv. Abbate Ferdinando Emilio, dal quale sono

rappresentati e difese, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro-tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il

4.1.2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’8 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato e letta la

relazione dallo stesso redatta in data 30 marzo-1 luglio 2009;

udito per le ricorrenti l’avv. Roda Ranieri, su delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il S.P.G. dr. Pierfelice Pratis, che “nulla osserva”.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.E., G.F. e S.G. adivano la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. del Lazio con ricorso dell’aprile 1993, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto ad ottenere l’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria, definito con sentenza del 14 luglio 2004.

La Corte d’appello di Roma, con decreto del 4 gennaio 2007, ritenuto che “in ragione della natura della controversia e del comportamento delle parti” la ragionevole durata del giudizio dovesse essere fissata in quattro anni, liquidava per il periodo eccedente Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo, quindi Euro 7.000,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto hanno proposto ricorso C. E., G.F. e S.G., affidato a due motivi; non ha svolto attività difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione ex art. 380-bis c.p.c. ha il seguente contenuto:

“1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2; artt. 6, 13 e 41 CEDU), nonchè omessa, insufficiente, illogica e/o contraddittoria motivazione,nella parte in cui il decreto ha fissato la durata ragionevole del giudizio in anni quattro, discostandosi dal parametro stabilito dalla Corte EDU, senza motivare adeguatamente, affidando la conclusione ad affermazioni apodittiche non argomentate avendo riguardo agli elementi della fattispecie, tenuto conto che occorreva soltanto decidere questioni di diritto, che non richiedevano istruttoria, mentre neppure si da conto della condotta delle parti che potrebbe avere ritardato la trattazione del giudizio.

Il mezzo si conclude con due quesiti concernenti la necessità di fissare il termine di ragionevole durata del giudizio: a) avendo riguardo agli elementi ed alle circostanze del giudizio; b) facendo riferimento al parametro stabilito dalla Corte EDU. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge (artt. 90 e 91 c.p.c., D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5) e delle tariffe professionali, nella parte in cui il decreto ha liquidato le spese del giudizio, senza distinguere gli importi ed in violazione dei minimi di tariffa (il ricorso riporta le singole voci asseritamente spettanti in riferimento all’attività svolta ed allo scaglione applicabile). Il mezzo si chiude con la formulazione di quesito avente ad oggetto l’obbligo del giudice del merito di liquidare gli importi previsti dalla Tab. A, punto 4, e B della tariffa professionale.

2.- Il primo motivo è manifestamente fondato, entro i limiti di seguito precisati.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale va qui data continuità:

la nozione di ragionevole durata del processo ha carattere relativo ed è condizionata da circostanze strettamente legate alla singola fattispecie, che impediscono di fissarla facendo riferimento a cadenze temporali rigide, come è dato evincere dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005) e in tal senso è orientata anche la Corte EDU, che pure privilegia una valutazione caso per caso (tra le tante, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), benchè abbia stabilito un parametro tendenziale della durata ragionevole del giudizio di anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità;

dal parametro del giudice europeo è possibile discostarsi, ma soltanto in misura ragionevole, sempre che la relativa conclusione sia adeguatamente motivata, restando escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez.un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le molte, Cass. n. 3928 del 2009;

n. 8497 del 2008); in riferimento al processo del lavoro, due recenti pronunce del giudice europeo hanno affermato la violazione del termine di ragionevole durata, senza valorizzare la natura del giudizio (sentenze 18 dicembre 2007, sul ricorso n. 20191/03, in riferimento ad un giudizio in materia di lavoro durato in primo grado più di quattro anni e cinque mesi; 5 luglio 2007, sul ricorso n. 64888/01, in relazione ad un giudizio della stessa natura, durato più di sette anni e due mesi); quindi, la natura del processo non comporta, da sola, la possibilità di stabilire un termine di durata rigido, così come la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dalla accertata inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass., 19352 del 2005; n. 6856 del 2004).

In applicazione di siffatti principi – da enunciare in riferimento ai quesiti posti con il primo motivo – le censure sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha fissato la ragionevole durata in anni quattro, limitandosi a fare generico riferimento alla natura della controversia e al comportamento delle parti. Si tratta, infatti, di una motivazione palesemente insufficiente, stante il difetto di indicazione degli elementi che hanno fondato la conclusione (concernenti la modalità di svolgimento del giudizio e la condotta delle parti), che ha comportato un discostamento dal parametro CEDU (anni tre) in misura non ragionevole. L’accoglimento di detto motivo comporterà la cassazione del decreto – assorbito il secondo motivo – con rinvio alla stessa Corte, in diversa composizione, occorrendo procedere anzitutto all’accertamento della durata ragionevole del giudizio, in applicazione dei principi sopra enunciati.

Pertanto, il ricorso, stante la manifesta fondatezza, nei termini sopra precisati, può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, con la precisazione che, cassato l’impugnato decreto, può procedersi alla decisione della causa nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, restando assorbite le censure concernenti le spese del giudizio, delle quali va disposta la riliquidazione.

Relativamente al termine di durata ragionevole del giudizio svoltosi in un solo grado non sussistono, infatti, elementi per discostarsi dal parametro della Corte EDU, di anni tre. Ne consegue che, essendosi protratto il giudizio dall’aprile 1993 al luglio 2004, l’irragionevole durata ascende ad anni 8 e mesi tre.

Relativamente alla misura dell’indennizzo, in base al più recente orientamento di questa Corte, il paramero di liquidazione va fissato per il periodo superiore ad un triennio di irragionevole durata, in Euro 1.000,00, per anno di ritardo e, nella specie, neppure è possibile modificare in peius quello fissato dal decreto, per il periodo anteriore, in difetto di censura da parte dell’intimata.

Pertanto, va riconosciuta a ciascuna istante la somma di Euro 8.249,00, in relazione – agli anni eccedenti il triennio (anni 8 e mesi tre), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza – distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo – quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione della natura della controversia parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere a ciascuna ricorrente la somma di Euro 8.249,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali – per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte – distratte in favore dell’avv. Ferdinando Emilio Abbate e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 1.384,00 (di cui Euro 794,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimità in Euro 500,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Dispone che la Cancelleria provveda agli adempimenti di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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