Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3483 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. II, 15/02/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 15/02/2010), n.3483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1950-2005 proposto da:

T.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BALDUINA 187, presso lo studio dell’avvocato AGAMENNONE

STEFANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENTO

GIANCLAUDIO;

– ricorrente –

contro

G.D. (OMISSIS), GI.LA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIULIO

CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato DEL NOSTRO PATRIZIA,

rappresentati e difesi dall’avvocato MESITI DOMENICO;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositata il

16/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI COSTANTINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso diretto al Presidente del Tribunale di Reggio Calabria l’avv. T.C. esponeva:

– di avere curato gli interessi di G.L. e dopo la morte della stessa degli eredi G.D. e Gi.La., davanti al Tribunale di Como, nella causa civile promossa contro G.A., avente ad oggetto la divisione della eredità della madre A.G.;

– che D. e Gi.La. si erano rifiutati di procedere al pagamento del saldo dei compensi ed onorari cui aveva diritto, nella misura di Euro 35.549,62;

tanto premesso, chiedeva ed otteneva che nei confronti di G. D. e Gi.La. venisse emesso decreto ingiuntivo per tale importo. G.D. e Gi.La. proponevano opposizione, che veniva parzialmente accolta, con ordinanza in data 6 ottobre 2004, dal Tribunale di Reggio Calabria, che riduceva ad Euro 17.026,00 il saldo spettante all’avv. T.C., tenendo conto anche delle somme corrisposte in corso di causa dagli opponenti, in base alla seguente motivazione:

La somma richiesta dal professionista, sia pur assistita dal parere della competente associazione professionale, pari ad Euro 35.549, 62, non appare corretta e dev’esser quindi rideterminata.

La soluzione della controversia attiene specificamente all’identificazione dello scaglione tariffario da applicare nel caso di specie.

Non convince la soluzione, avallata dal parere della competente associazione professionale, (cfr pag. 2 comparsa di risposta e lettere del professionista a giustificazione della pretesa in atti) secondo cui, per la redazione della notula del professionista e la liquidazione degli onorari nella fattispecie, dovrebbe farsi riferimento al comma 2 del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 6, comma 1, che consente la redazione della parcella a carico del cliente avendo riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quanto prescritto dal c.p.c..

Tale facoltà, peraltro immediatamente corretta nel capoverso immediatamente successivo, a parere del presente Collegio viene consentita nei soli casi in cui la sproporzione sia identificabile (non altro senso appare attribuibile all’avverbio utilizzato dal legislatore) in termini più che proporzionali quali, ad esempio, si verificano in un rapporto tra valor aritmetici 1:10.

Per determinare la ricorrenza del caso, il Collegio ha operato attenta lettura delle due sentenze non definitive del giudizio di cui è causa. Facendo ciò non ha ravvisato nella controversia di cui è causa, questioni differenti da quelle che si ravvisano in un normale giudizio di divisione, nel quale la massa deve essere determinata tenendo conto delle imputazioni creditorie e debitorie, originate da pregressi atti di liberalità ed omologhi, nè ha ravvisato esservi sproporzioni tra valori tali da legittimare l’applicazione del ricordato criterio.

Ne consegue l’inapplicabilità del secondo comma citato.

Quanto al criterio da utilizzare per valutare la prestazione professionale dell’ingiungente, occorre avere riguardo al dettato della disposizione regolamentare: “In base al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 6, comma 1, il valore della casa ai fini della liquidazione degli onorari, va determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo, nei giudizi di divisione, alla quota ovvero ai supplementi di quota in contestazione”.

Quando all’interpretazione della disposizione, come insegna con orientamento pressochè costante la Corte Suprema di legittimità, “a norma del D.M. 22 giugno 1982, art. 6, comma 2 e del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, concernenti al tariffa forense, nei giudizi di divisione di immobili, il valore della controversia, benchè non indicato dalle parti, per stabilire gli onorari dovuti dal soccombente, non è indeterminabile, ma coincidente con il valore della quota o supplemento di quota in contestazione, tanto più se essa è stata determinata dal c.t.u.” (cfr. Cassazione civile, sez. 2^, 20 marzo 1999, n. 2605).

Nel caso in esame la notula impugnata non ha tenuto conto del valore quota ma del valore del bene.

Lo scaglione di tariffa applicabile quindi, non può essere superiore a quello da L. 200 milioni a 500 milioni poichè il c.t.u. ha stabilito che il valore della massa attiva da dividersi è pari a L. 727.752.737 e quindi operando il calcolo con riferimento ai due terzi di pertinenza della madre degli opponenti, il valore della quota rivendicata dagli opponenti assomma a L. 485.168.491.

Nè, nel caso di specie può tenersi conto dei rapporti debito credito tra i condividenti che certo non concorrono a comporre il valore della massa e quindi della causa.

Quanto alle contestazioni specifiche, deve esser espunta la voce conferenza di trattazione non essendo prevista in materia giudiziale ma solo stragiudiziale.

La tariffa professionale corrispondenza informativa deve essere computata al momento dell’incarico, e dopo ogni sentenza non definitiva ed ordinanza collegiale e la voce consultazioni con il cliente deve essere contenuta rispetto alle diciassette volte in cui viene computata.

In ordine alla redazione della tabella non si è tenuto conto delle competenze e delle spese non giustificate, quali, ad esempio, quelle originate da contatti telefonici, allegati e non provati, in ordine ai quali peraltro soccorre proprio il rimborso forfettario di cui all’art. 15, D.M. citato, che non a caso il professionista richiede.

La rideterminazione del credito da prestazione, seppur ha utilizzato lo scaglione indicato, inferiore rispetto a quello utilizzato dal professionista ha, quanto agli onorari, operato una quantificazione dei valori di riferimento spesso orientati alle massime in considerazione della natura e dell’impegno pluriannuale della controversia.

Contro tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. T.C., con tre motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso G.D. e G. L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce testualmente:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., del D.M. 22 agosto 1982, art. 8, comma 1 e D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 2.

Il primo Giudice al fine di individuare il valore della causa ed applicare quindi, lo scaglione di tariffa relativo, avrebbe dovuto prima esaminare dettagliatamente al vicenda sottoposta all’esame del Tribunale di Como.

Avrebbe così verificato che, con l’atto di citazione introduttivo G.L. aveva rivendicato la quota di legittima e di disponibile in forza di testamento sul bene ereditario individuato nel 50% della villa in (OMISSIS), senza tener conto di eventuali pregressi fatti che avessero potuto incidere sulla determinazione dell’asse ereditario e sui crediti e debiti sorti prima e dopo la morte della de cuius.

Nel suo primo atto difensivo, il convenuto G.A., aveva avanzato una serie di argomenti che comprendevano collazioni, rivendicazioni personali e crediti pretesi, domande riconvenzionali e quant’altro, argomenti che seppure pertinenti alla domanda attrice, allargavano il petitum e la causa petendi, moltiplicavano il valore della controversia e l’impegno di lavoro dei difensori, e costringevano, nel contempo, il Tribunale di Como ad adottare una determinazione parziale, atteso peraltro che quanto già diviso tra i fratelli L. ed A. prima della notifica dell’atto di citazione era avvenuto in quota paritaria e senza che G. L. avesse fatto valere i suoi diritti testamentari sulla quota disponibile.

Prescindendo dalla voluminosa produzione del ricorrente che dava la prova di tanto, una approfondita analisi di questa prima sentenza (Tribunale di Como n. 1094/99) avrebbe fornito la certezza incontrovertibile che nella specie non si era trattato di una semplice divisione ereditaria ma una ben più ampia vicenda che aveva reso necessaria una sentenza solo per determinare il thema decidendum.

In termini quantitativi, è evidente, che le argomentazioni e rivendicazioni avanzate da G.A. avevano il precipuo scopo di azzerare quanto spettante a G.L., ma il Tribunale di Reggio Calabria in queste obiettive circostanze ha ritenuto di non individuare il concetto previsto dal comma 2, D.M. sopra richiamato.

Ancor prima della valutazione di cui sopra, il Tribunale di Reggio Calabria ha disatteso il disposto dell’art. 10 c.p.c. applicabile nella specie per la determinazione del valore della controversia.

Se il primo Giudice avesse posto attenzione alla conclusione della seconda sentenza n. 475/2002 resa dal Tribunale di Como, avrebbe facilmente rilevato che la divisione ereditaria invocata da G.L. con l’atto di citazione originario consistente nel 50% della villa in (OMISSIS) il cui valore era stato già determinato in L. 350.000.000 (già dalla prima sentenza) aveva subito un incremento enorme tant’è che al patrimonio relitto di A.G. era stato attribuito il valore di L. 728.511.240, somma alla quale dovevano aggiungersi L. 55.436.700 per valore della successione in morte del marito G.G. (di cui L. 44.561.757 per somma ricavata da vendita di immobili e L. 10.875. 00 quale quota data in donazione a G.L.), L. 51.156.518 per spese da imputarsi alla massa (e partitamente L. 34.261.235 riferibili a G.A. e L. 16.894.816 riferibili a G.L.), L. 160.381. 231 per un credito di G.L. e L. 49.616.194 per un ulteriore credito della stessa al 5.3.2002 per locazione della villa in (OMISSIS) occupata da G.A. (credito quest’ultimo suscettibile di ulteriore incremento con il passare del tempo e fino alla definizione della vicenda); si era passati cioè dalla L. 350.000.000 quale valore della quota ereditaria di G.L. ad un coacervo di crediti e debito, quote di immobili, donazioni, collazioni e quote ereditarie riferite alla stessa per L. 1.045.107.653.

Si trattava a questo punto di determinare il valore della controversia ai fini dell’applicazione dello scaglione di tariffa.

Qualunque dei criteri richiamati fosse stato applicato, il Tribunale avrebbe dovuto concludere per l’applicazione dello scaglione tra L. 500.000.000 e L. 1.000.000.000:

a) l’art. 10 c.p.c., che dispone la somma di tutti gli elementi di causa, conduceva al totale sopra richiamato in L. 1.045.107.653; b) l’art. 6, comma 1, D.M. 1982 e 1994, parimente, avrebbe comportato la determinazione complessiva di L. 783.791.556, di cui L. 485.674.280 pari a due terzi dell’asse ereditario in morte di A. G. a L. 728.511.420, cui andavano sommati L. 36.957,800 pari a due terzi della quota ereditaria in morte di G.G. pari a L. 55.436. 700, L. 51,156.051, quali debiti della massa ereditaria, L. 210.003,194, per crediti maturati da G.L. (pari a L. 160.387.231 + L. 49.616.194, credito quest’ultimo suscettibile di cospicuo incremento mensile trattandosi dello importo di metà della locazione della villa goduta da G.A.);

c) l’art. 6, comma 2, dei citati D.M., infine, non avrebbe potuto condurre a diversa conclusione, tenuto conto l’incremento sopra dimostrato da L. 350.000.000 a L. 1.045.107.653.

E va altresì considerato che detti valori non erano definitivi poichè ancora dopo la seconda sentenza parziale resa dal Tribunale di Como restavano da definire almeno due capitoli attivi: G. A., infatti, aveva interposto riserva di appello su entrambe le sentenze che determinavano l’asse ereditario e quant’altro, affermando che G.L. aveva avuto in donazione un appartamento in (OMISSIS) da parte di A.G. e di G.G., vantando, nel contempo, il riconoscimento di spese di assistenza che affermava avere sostenute in favore di A.G., argomenti e somme che erano state escluse dal Tribunale.

Le doglianze sono infondate.

Quanto alla mancata applicazione del comma 2, art. 6, cit., non viene chiarito perchè il valore effettivo della controversia risultava manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice civile, anche volendolo individuare tenendo conto di tutti gli elementi indicati dal ricorrente.

L’art. 10 c.p.c. è derogato nella specie dall’art. 6, comma 1, cit., il quale stabilisce che nei giudizi di divisione il valore della causa va determinato con riferimento alla quota in contestazione e non all’asse ereditario.

Con riferimento a tale ultima disposizione la sentenza del Tribunale di Como in data 2 dicembre 1999 ha stabilito che il valore della quota spettante a G.L. in forza delle disposizioni testamentarie era di L. 485.168.224.

Contro l’affermazione del Tribunale di Reggio Calabria, secondo la quale i rapporti-debito credito tra i condividenti non concorrono a formare il valore della massa e quindi della causa nessuna censura specifica viene svolta.

Con il secondo motivo del ricorso si deduce testualmente:

Omessa e falsa applicazione delle tabelle allegate al D.M. 22 giugno 1982 e D.M. 5 del 1094 n. 585.

Il Tribunale di Reggio Calabria ha stravolto la notula redatta dal professionista ed approvata dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza ed ha rideterminato, (a prescindere da importi intuitivamente ridotti), anche l’opera svolta, negandone – seppure in dettaglio documentata in atti – le voci relative, riducendole anche di numero e alle volte annullandole del tutto.

Pur avendo operato complessivamente Euro 1.358,87 di spese dalle quali andavano escluse solo quelle telefoniche non dimostrabili, ma reali ((OMISSIS), nove volte nel (OMISSIS), sei volte con l’avv. G. nel (OMISSIS), trenta volte per corrispondenza postale col cliente e con altri professionisti pari ad Euro 151,00) ne sono state liquidate Euro 994,84, negando, inoltre gli onorari per le udienze (ha liquidato solo quella del (OMISSIS)) ed i diritti per consultazioni col cliente e quant’altro in difformità con la notula approvata.

Il motivo è infondato.

Premesso che esso è incomprensibile per la parte in cui si fa riferimento alle spese e a “quant’altro”, non viene chiarito da quali elementi risultava l’assistenza ad udienze diverse da quella del 14 maggio 1997.

I diritti per consultazioni con il cliente sono stati liquidati, per cui non si comprende l’affermazione secondo la quale non sarebbero stati riconosciuti.

Con il terzo motivo si deduce testualmente:

Errata e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. – omessa e/o contraddittoria motivazione sul punto.

Nonostante i ricorrenti fossero consapevoli di essere debitori nei confronti dell’avv. T., seppure di somme inferiori che non avevano pagato e secondo conteggi che avevano autonomamente operato, nonostante che il Tribunale abbia riconosciuto che il ricorrente andava comunque creditore di Euro 17.026,00, l’avv. T. è stato gravato totalmente delle spese del giudizio da corrispondere a controparte.

I ricorrenti G., al momento della proposizione della domanda ed al momento in cui il Tribunale ha deciso erano pur sempre – come lo sono oggi – debitori nei confronti dell’avv. T..

Ciò avrebbe dovuto indurre il Tribunale, a gravare i G. delle spese di lite o quantomeno alla integrale compensazione delle stesse.

Anche tale motivo è infondato.

L’avv. T.C. è, infatti, risultato soccombente, avendo preteso ab initio una somma superiore a quella che gli competeva, per cui correttamente è stato condannato al pagamento delle spese del giudizio.

In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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