Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3482 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3482 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 8899-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

ANTONINI AGOSTINO, ANTONINI AMALIA, ANTONINI MARIA;
– intimati

avverso la sentenza n.

220/2007

della COMM.TRIB.REG.

di ROMA, depositata il 18/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 14/02/2014

udienza del 13/12/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

8899-09

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 18 febbraio 2008 la commissione
tributaria regionale del Lazio ha confermato
l’annullamento di una cartella esattoriale notificata ai
contribuenti Agostino, Maria e Amalia Antonini per il

recupero dell’Invim conseguente a una compravendita
avvenuta nell’anno 1984. S’era trattato, secondo
l’amministrazione finanziaria, della vendita di un
immobile abusivo, sicché non erano state riconosciute le
agevolazioni

ex lege

n. 168 del 1982 richieste dai

contraenti in sede di registrazione dell’atto.
La commissione ha affermato che l’istanza di condono
presentata dai contribuenti in relazione alla lite
relativa alla valutazione del bene, pendente al 30
settembre 1991, doveva essere accolta, con ricaduta sulla
pregiudiziale per il riconoscimento dei benefici fiscali.
L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per
cassazione, articolando due motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
I. – Nei due motivi di ricorso l’amministrazione,
rispettivamente, deduce la violazione e la falsa
applicazione dell’art. 53 della 1. n. 413 del 1991,
dell’art. 6 del d.p.r. n. 643 del 1972 e dell’art. 53 del
d.p.r. 634 del 1972, in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c., nonché l’insufficiente motivazione della sentenza
(art. 360, n. 5, c.p.c.).

1

Nel complesso, la tesi sostenuta è che gli effetti del
condono fiscale, fruito dai contribuente in base alla 1.
n. 413 del 1991, erano limitati all’imposta complementare.
Viceversa, oggetto della cartella era l’imposta
principale, il cui avviso di liquidazione non era stato
impugnato dai contribuenti. Pertanto non potevasi

annettere alcuna rilevanza al condono suddetto, in quanto
privo di effetti sulla lite afferente.
In ogni caso tale aspetto non era stato considerato nella
motivazione dell’impugnata sentenza, non essendosi la
commissione regionale avveduta del fatto decisivo della
differenza di oggetto, posto che nella specie trattavasi,
appunto, di imposta principale, mentre l’ambito
dell’avviso di liquidazione, che aveva determinato la lite
condonata, atteneva all’imposta complementare.
Il ricorso,

i cui motivi possono essere

unitariamente esaminati perché connessi, è fondato.
Dalla sentenza risulta che la lite pendente al 30
settembre 1991, in relazione alla quale era stata
presentata la domanda di condono ex lege n. 413 del 1991,
aveva avuto a oggetto la “valutazione del bene”.
Se ne può dedurre che in effetti, come dalla ricorrente
affermato, la materia del contendere riguardava, in quella
sede, l’imposta complementare, che è l’imposta dovuta per
il caso di rideterminazione dei valori dichiarati ai fini
dell’incremento rappresentativo della base imponibile
(artt. 2, 6 e 21 del d.p.r. n. 643 del 1972).

2

E’ invece pacifico che la cartella di pagamento, di cui in
questa sede ancora si discute, concerneva il recupero
dell’imposta principale, tanto è vero che la stessa
commissione tributaria regionale descrive la fattispecie
sottoposta al suo esame come avente per oggetto “il
recupero d’imposta ((..) per l’asserita mancata spettanza

delle agevolazioni fiscali di cui alla legge n. 168/1982,
richieste dai contraenti all’atto della compravendita del
bene”.
III. – La differenza sostanziale tra i due tipi di imposta
non è stata considerata dalla commissione tributaria.
Va rammentato che ai sensi degli art. 19 e 20 del d.p.r.
n. 643 del 1972, in sede di liquidazione principale
dell’Invim, l’ufficio si limita a determinare l’incremento
di valore dell’immobile (costituito dalla differenza tra i
suoi valori finale ed iniziale maggiorato delle spese
computabili) sulla base dei soli elementi di fatto esposti
dal contribuente nella dichiarazione, applicando ad esso
le aliquote di cui all’art. 15 dello stesso d.p.r.; donde
gli è preclusa ogni possibilità di rettifica dei dati
dichiarati, salva la correzione di eventuali errori
materiali. Al punto che, quand’anche ritenga di non poter
accettare quanto dichiarato dal contribuente per la non
spettanza di un’agevolazione, l’ufficio deve pur sempre
procedere alla liquidazione principale sulla base degli
elementi risultanti dalla dichiarazione; mentre, laddove
simultaneamente

ritenga

di

rettificare

i

valori

incrementativi dichiarati (per qualunque ragione, ivi

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compresa l’inammissibilità di spese su detti valori
incidenti), deve introdurre, separatamente, la procedura
diretta all’applicazione dell’imposta complementare
attraverso un atto di rettifica.
IV. – In base a tali principi (sui quali v. già Cass. n.
4326-03; n. 14020-09), a ragione l’amministrazione

finanziaria ha sostenuto che il condono, riferito alla
lite sull’imposta complementare, non spiegava alcun
effetto sull’imposta principale.
Infatti, si è già chiarito che la lite pendente attiene,
per sua definizione solo e soltanto alla imposta che ne
costituisce oggetto, ossia, nella specie, a quella parte
del tributo dovuto in aggiunta a quello liquidabile in
ragione della dichiarazione del contribuente, per
l’accertamento di un maggior valore da parte
dell’amministrazione finanziaria.
Il che del resto corrisponde a quanto da questa corte già
affermato nell’ottica del condono ex d.l. n. 564 del 1994,
con specifico riferimento all’eventualità in cui la
riscossione dell’imposta complementare avvenga secondo la
regola stabilita – in tema di riscossione in pendenza di
giudizio – dall’art. 40, 2° co., del d.lgs. 31 ottobre
1990 n. 346. In tale evenienza, si è detto che il
contribuente, ai fini della definizione, ai sensi
dell’art. 2 quinquies, comma 6, d.l. 30 settembre 1994 n.
564 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1
1. 30 novembre 1994 n. 656) della lite pendente
sull’imposta complementare da lui dovuta a seguito di

4

accertamento di maggior valore, non può detrarre quanto
già spontaneamente corrisposto per imposta principale
(salvo erronee eccedenze di versamento a tale riguardo);
non lo può fare giustappunto in considerazione della
efficacia limitata della definizione della specifica
pendenza giudiziale (v. Cass. n. 27661-05).
del

contribuente

ad

avvalersi

della

L’interesse

possibilità della definizione è invero rapportabile alla
convenienza correlata all’entità delle somme all’uopo
pretese dalla legge; per cui suppone che la scelta sia
rimessa alla valutazione del singolo per il riflesso che
l’efficacia della procedura di definizione delle
controversie viene ad assumere in relazione al margine
considerato.
Trattasi di interesse discrezionalmente assunto dal
legislatore ed estraneo al piano della compatibilità con
il quadro delle disposizioni costituzionali; sicché, in
definitiva, l’effetto della definizione viene – nei limiti
oggettivi stabiliti dalla legge – rimesso alla scelta del
contribuente.
V. – Ne consegue, in conclusione, che la decisione
impugnata ha errato nel ritenere preclusa la distinta
questione attinente alla debenza dell’imposta principale.
Per questa ragione essa va cassata.
Deve aggiungersi che dalla sentenza non risulta la ragione
dell’annullamento della cartella da parte del giudice di
primo grado. Tuttavia la sentenza riferisce (in fine) che,
in appello, i contribuenti non si erano costituiti.

5

Al •

Pertanto ogni ulteriore questione, rispetto a quella
decisa dalla commissione regionale, dovevasi considerare
preclusa ai sensi dell’art. 56 del d. lgs. n. 546 del
1992, per mancata riproposizione in appello.
Consegue che la corte può decidere la causa anche nel

cartella.
VI. – La particolarità della controversia, involgente gli
effetti del condono in relazione ai tipi d’imposta,
giustifica la compensazione delle psse processuali
relativi ai gradi del giudizio di merito.
Quelle del giudizio di legittimità seguono, invece, la
soccombenza.
p.q.m.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza
e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione avverso la
cartella esattoriale; compensa le spese processuali
relative ai gradi del giudizio di merito e condanna gli
intimati, in solido, al pagamento di quelle del giudizio
di cassazione, che liquida in euro 1.500,00 per compensi,
oltre le spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
sezione civile, addì 13 dicembre 2013.

merito, rigettando l’originaria opposizione avverso la

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