Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3482 del 11/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 11/02/2021), n.3482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12464-2019 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO PROIETTI;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE DELLE

MEDAGLIE D’ORO, 399, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

SAVIOLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8179/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI PI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 8179/2018, depositata in data 21/12/2018, – in controversia promossa da P.A., nei confronti del coniuge separato S.M., per sentire dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il (OMISSIS), dalla quale unione erano nate due figlie, C., il (OMISSIS), e B., il 1., con i provvedimenti conseguenziali in punto di affidamento delle minori (collocate presso la madre) e di contributo al mantenimento (fissato in sede di separazione consensuale omologata in Euro 800,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie), – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva, con sentenza non definitiva del 2014, pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, e, con successiva sentenza definitiva del 2016, confermato le condizioni stabilite in sede di separazione.

In particolare, i giudici d’appello, investiti con gravame della sola richiesta di revoca del contributo al mantenimento delle figlie a carico del padre, acquisita documentazione reddituale e patrimoniale aggiornata e disposta audizione delle due minori, hanno sostenuto che l’impugnazione non poteva essere accolta, considerato che: il P. aveva omesso di produrre la documentazione relativa alla propria condizione economica, malgrado decreto presidenziale; lo stesso aveva denunciato una contrazione delle entrate, ma in realtà, anche prima, quando non sussisteva alcun decremento reddituale, aveva versato sempre “la metà di quanto dovuto a titolo di mantenimento ordinario”; pur ammettendo l’esistenza di una crisi di liquidità (per effetto della richiesta bancaria di rientro da un’esposizione debitoria relativa a fideiussione prestata in favore di società dal P. amministrata, dichiarata fallita, di uno scoperto del conto corrente personale e della cessazione dell’iscrizione all’albo dei commercialisti), non era “giustificabile” il fatto che il medesimo non versasse alcun contributo da diversi anni e comunque l’entità dell’assegno fissata era congrua rispetto all’alta qualifica e professionalità dell’obbligato; le figlie erano a totale carico della madre, dipendente con uno stipendio mensile di Euro 1.850,00, che viveva in casa in locazione, con le figlie, l’attuale compagno ed il bambino nato dall’unione. Poichè le minori, ascoltate, avevano dichiarato di non avere rapporti con il padre, verso il quale provavano ancora rancore e risentimento, la Corte distrettale disponeva l’attivazione dei Servizi sociali per un percorso di supporto psicologico nell’interesse delle minori, volto al recupero della figura paterna.

Avverso la suddetta pronuncia, P.A. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di S.M., che resiste con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 116 c.p.c., per omessa valutazione di risultanze decisive e per avere posto a base della decisione fatti erroneamente ritenuti notori, avendo la Corte d’appello dato rilievo alla mancata esibizione da parte dell’obbligato P. di documentazione reddituale aggiornata, malgrado questi non avesse prodotto nulla non avendo “alcun reddito da anni” nè conti e/o depositi bancari o postali; 2) con il secondo motivo, la violazione “dell’art. 360 c.p.c., n. 5,” per omesso esame di fatto decisivo, non avendo la Corte distrettuale tenuto conto dei documenti prodotti dall’appellante, attestanti le mutate condizioni economiche del medesimo; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “di norme di diritto”, in relazione all’incarico conferito ai Servizi Sociali, essendo stata imposta sostanzialmente ai genitori la prescrizione di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale, confliggente con l’art. 32 Cost..

2. La prima censura è inammissibile.

Questa Corte ha già affermato (Cass. 27000/2016) che “in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione”.

Il ricorrente nella sostanza denuncia un’erronea valutazione da parte della Corte d’appello delle risultanze istruttorie.

Va ribadito che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. 23940/2017).

Nel motivo poi si introduce una doglianza attinente ad un utilizzo improprio del fatto notorio, ex art. 115 c.p.c., ma, come chiarito da questa Corte (Cass. 7726/2019), “il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all’esercizio di un potere discrezionale; pertanto la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità”.

Nella specie, la Corte distrettuale non ha fatto ricorso a nozioni errate di fatti notori, ma ha ritenuto di valutare la condotta processuale del P. nel contesto delle altre risultanze istruttorie, nell’esercizio dei poteri dell’art. 116 c.p.c..

3. Il secondo motivo, da qualificare come vizio motivazionale, nei limiti segnati dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha valutato i fatti emergenti dai documenti prodotti (in particolare la cancellazione dall’albo professionale e le lettere del 2012 delle banche di rientro da esposizioni debitorie) ma li ha ritenuti insufficienti a dimostrare la dedotta situazione di impossidenza assoluta del P., che non aveva ottemperato alla richiesta di esibizione di documentazione aggiornata sul reddito e che anche anteriormente non aveva compiutamente ottemperato all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento in favore delle minori.

In ogni caso, il motivo è del tutto generico e difetta di autosufficienza.

4. Il terzo motivo è inammissibile in quanto non pertinente al decisum, non essendosi imposto ai genitori un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno alle genitorialità, quanto affidato ai Servizi sociali l’incarico di attivare per le minori un percorso di supporto psicologico volto al recupero della figura paterna

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna delle controricorrenti, in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

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