Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3481 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3481 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 2715-2009 proposto da:
CELLAI

ALESSANDRO,

AGOSTINI

GIUSEPPINO,

PODERE

PIETRAFITTA DI GIUNCARICO SRL in persona del
Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati
in ROMA VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio
dell’avvocato PAOLO FIORILLI, rappresentati e difesi
dagli avvocati MICCINESI MARCO, PISTOLESI FRANCESCO
giusta delega a margine;
– ricorrenti contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro

Data pubblicazione: 14/02/2014

, tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– con troricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2007 della COMM.TRIB.REG. di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/12/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato PISTOLESI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DE BONIS che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

FIRENZE, depositata il 10/12/2007;

2715-09

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 10 dicembre 2007,

la

commissione tributaria regionale della Toscana, in riforma
della decisione di primo grado, ha respinto il ricorso
proposto dalla s.r.l. Podere Pietrafitta di Giuncarico, e

da Alessandro Cellai e Giouseppino Agostini, contro un
avviso di liquidazione col quale l’agenzia delle entrate,
ufficio di Grosseto, aveva provveduto a richiedere la
maggiore imposta di registro su un atto di conferimento di
un’azienda agricola, seguito dalla cessione, a un socio
della conferitaria, delle quote ottenute in contropartita
dal conferente.
La commissione ha giudicato esistente il collegamento tra
le operazioni, ritenendo sul piano probatorio decisivo, da
un lato, il preliminare di vendita, indicativo di una
conforme intenzione pratica del conferente Agostini, e
dall’altro la contestualità dei negozi (a) di conferimento
in cambio di quote e (b) di cessione delle quote medesime
all’altro socio. Ha quindi condiviso l’atto tributario che
aveva qualificato l’intera vicenda come cessione
d’azienda.
La commissione ha inoltre disatteso un’eccezione di
giudicato della parte contribuente, avente base nel fatto
che l’appello non era stato notificato al coobbligato
Agostini, osservando, in questo caso, che non era decorso
l’anno dalla notifica alla società e che il
contraddittorio si era correttamente formato in appello.

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Per la cassazione della sentenza, ricorrono le parti
contribuenti con quattro motivi illustrati anche da
memoria.
L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Col primo e col secondo motivo, rispettivamente

deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 20
del d.p.r. n. 131 del 1986, nonché dei principi generali
dell’ordinamento tributario in materia di contrasto
all’elusione fiscale, nonché degli artt. 1362 e 1363 c.c.
in relazione agli artt. 2476, 2343 e 2555 c.c., e omessa o
insufficiente motivazione della sentenza su punti
controversi,

i ricorrenti censurano la statuizione

affermando doversi escludere che il conferimento di
un’azienda in società e la successiva cessione delle quote
ottenute a fronte del conferimento potessero essere
considerate alla stregua di unitario atto di cessione
d’azienda a titolo oneroso.
A tal riguardo sottolineano la diversità di effetti
giuridici ed economici del conferimento d’azienda,
rispetto a quelli propri della cessione. E lamentano che
la sentenza d’appello, da un lato, non abbia motivato
sull’identità dei risultati derivanti, e, dall’altro, non
abbia indicato gli elementi di fatto idonei a far ritenere
l’operazione priva di reale contenuto economico diverso
dal risparmio d’imposta.
II.

– Col terzo motivo i ricorrenti denunziano, in

relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della

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sentenza per violazione del’art. 51, 1° co., del d.lgs. n.
546-92 e dell’art. 49, stesso d.lgs., in combinato
disposto con gli artt. 324 e 326, 2° co., c.p.c.,
ascrivendo alla commissione tributaria regionale di non
aver considerato che, nel giudizio tributario, la mancata
notifica dell’atto di appello a uno dei coobbligati

solidali, che hanno preso parte al giudizio di primo
grado, entro il termine breve di 60 giorni dalla notifica
dell’atto medesimo all’altro coobbligato (la società),
aveva determinato il passaggio in giudicato della sentenza
nei riguardi del primo.
III. – Col quarto motivo, infine, i ricorrenti deducono la
violazione dell’art. 1306, 2° co., c.c. e dell’art. 2909
c.c., nonché dei principi di ragionevolezza, eguaglianza,
capacità contributiva e unitario accertamento dell’unico
presupposto d’imposta, affermando la tesi che il giudicato
anzidetto, formatosi a seguito della mancata impugnazione
della sentenza nei confronti di uno dei coobbligati in
solido, doveva estendere i suoi effetti anche al
coobbligato nei confronti del quale era stata proposta
l’impugnazione.
IV. – Il ricorso è infondato.
In ordine ai primi due motivi, tra loro connessi e
suscettibili di unitario esame, deve osservarsi che questa
corte ha più volte affermato che, in tema di imposta di
registro, l’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, secondo
cui “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e
gli effetti giuridici degli atti presentati alla

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registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la
forma apparente” comporta che, ai fini fiscali, la causa
reale della volontà negoziale prevale sull’assetto
cartolare impresso dalle parti.
Il criterio di interpretazione degli atti, fissato
dall’art. 20 cit., comporta quindi che, nella

qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo
preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione
degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti,
anche se mediante una pluralità di pattuizioni non
contestuali, o di singole operazioni. E non è decisiva, in
caso di negozi collegati, la rispettiva differenza di
oggetto (v. tra le più recenti Cass. n. 9541-13; n. 1415013; n. 17965-13).
Giova dire che il principio è stato confermato anche in
relazione a fattispecie analoga a quella in esame, di
costituzione di una società con conferimento di azienda e
contestuale cessione delle quote a terzi (v. Cass. n.
16345-13), sul rilievo che una simile operazioni produce
altrimenti un indebito risparmio sull’imposta di registro.
V. – Ben vero, in relazione a quanto di parzialmente
diverso risulta da alcuni precedenti di questa corte,
reputa il collegio di dover precisare che non si è al
cospetto di ipotesi di elusione fiscale cui associare il
criterio antiabuso basato sulla preclusione del
conseguimento di vantaggi fiscali mediante uso distorto di
strumenti giuridici.

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Sicché non è pertinente la deduzione con la quaíe i
ricorrenti (sia nel corpo del ricorso, che in memoria)
hanno eccepito non essere l’amministrazione sollevata, in
causa, “dall’onere, su di essa incombente, di provare la
ricorrenza dei presupposti della pratica asseritamente
elusiva”, coerentemente coi principi derivati dal

“consolidarsi del divieto di abuso del diritto”.
Non si trattava – e non si tratta – di applicare il
principio distributivo dell’onere della prova in ordine
alla esistenza di un contenuto economico diverso dal
risparmio d’imposta, in quanto i termini giuridici della
questione sono tutti interni al criterio di cui all’art.
20 (v. già Cass. n. 14150-13).
L’art. 20 del d.p.r. n. 131-86 non è soltanto una norma
interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione
intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto
giuridico tributario. Il quale è dato dall’oggetto e
viene fatto coincidere con gli effetti giuridici
indicativi della capacità contributiva dei soggetti che
compiono gli atti (condivisibilmente, Cass. n. 2713-02).
In simile contesto, la prevalenza della natura intrinseca
degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul
loro titolo e sulla loro forma apparente vincola
l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della
struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza
sulla forma;

id est,

il dato giuridico reale conseguente

alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti
giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato,

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anche frazionatamente, in uno o più di questi atti. Con la
conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato
di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai
risultati parziali e strumentali di una molteplicità di
comportamenti formali.
VI. – A questa interpretazione (su cui v. anche Cass. n.
si

giunge,

d’altronde,

tenendo

conto

4086-12)

dell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la
prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal
regime della tassa (avente come oggetto l’atto inteso
nella sua forma documentale, e come contenuto una
determinata quantità di denaro da riscuotere, in
corrispettivo del servizio di registrazione), a quello
dell’imposta (avente come oggetto la manifestazione di
capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata
forza economica). Sicché, inserendosi nell’ambito di una
simile evoluzione, gli artt. 1 e 20 del d.p.r. n. 131 del
1986 vanno interpretati nell’univoco senso che oggetto
dell’imposta di registro, per quanto genericamente e
formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli
atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati
per la registrazione, è, nella sostanza, costituito dagli
effetti giuridici di tali atti.
VII. – L’impugnata sentenza si palesa dunque immune da
censura, ponendosi, con motivazione congrua, giustappunto
nel solco dell’interpretazione unitaria dell’operazione
negoziale complessivamente intesa.

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VIII. – Egualmente da disattendere sono i restanti motivi
(terzo e quarto), essi pure tra loro connessi e
suscettibili di unitaria trattazione. Osserva infatti la
corte che la tesi prioritariamente sostenuta dai
ricorrenti, a proposito della esistenza di un giudicato
preclusivo, è destituita di qualunque fondamento. E ciò

impedisce di condividere finanche il presupposto su i
ricorrenti hanno fondato la domanda di cassazione, senza
che rilevi la questione della decorrenza, dalla notifica
della sentenza ritualmente eseguita a una delle parti, del
termine di impugnazione breve, anziché lungo, nei riguardi
dell’altra.
A tal proposito è sufficiente correggere, nel senso che
segue, la motivazione dell’impugnata sentenza (art. 384,
ult. co ., c.p.c.).
IX. – In base all’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992,
l’appello, nel giudizio tributario, va proposto “nei
confronti di tutte le parti che hanno partecipato al
giudizio di primo grado”.
La norma determina un’ipotesi di causa inscindibile
secondo il regime generale di cui all’art. 331 c.p.c.,
configurando un litisconsorzio necessario processuale in
grado di appello.
Ove il gravame sia stato tempestivamente proposto nei
confronti di una delle parti,
dell’impugnazione

al

litisconsorte

l’omessa notifica
necessario

non

determina alcuna inammissibilità; e men che meno comporta
il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti

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A , 13 ■ TbL.s.-5
MATERIATIaBWALS
della parte alla quale il gravame non sia stato
notificato.
Solamente si rinviene – sempre che la parte non intimata
non

si

sia

comunque

costituita

l’esigenza

dell’integrazione del contraddittorio per ordine del

della quale la nullità dell’intero processo di secondo
grado, e della sentenza che lo ha concluso, sarebbe
rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.
La commissione tributaria regionale non ha violato
citati

principi,

ricorressero

le

giustamente
condizioni

ritenendo

che

non

dell’integrazione

del

contraddittorio, in quanto la parte, alla quale l’appello
non era stato notificato, si era comunque costituita.
X. – Da quanto precede discende il rigetto del ricorso.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrente, in
solido, alle spese processuali, che liquida in euro
7.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

giudice (v. Cass. n. 14413-10; n. 1789-04), in mancanza

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