Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3475 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 12/02/2020), n.3475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10321/2014 proposto da:

PROVINCIA DI AREZZO, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE n. 44,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO BRIZZOLARI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINZIA BALDO;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAMERINO

n. 15, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA VICINANZA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BORRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1053/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/10/2013 R.G.N. 1056/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Firenze ha respinto l’appello proposto dalla Provincia di Arezzo avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo che aveva accolto il ricorso di T.R. e, disapplicata la Delib. Giunta con la quale il dirigente era stato collocato in disponibilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 33, comma 7, aveva condannato l’amministrazione provinciale a reintegrare il ricorrente ed a corrispondere allo stesso, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni non percepite;

2. la Corte territoriale ha evidenziato che, in effetti, il Tribunale aveva richiamato del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 7, come modificato dalla L. n. 183 del 2011, art. 16, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in quanto la procedura si era conclusa nella vigenza del testo originario della disposizione, non sovrapponibile a quello risultante all’esito della riscrittura della norma;

3. ha ritenuto l’errore non determinante, perchè il primo giudice aveva fondato la decisione sulla circostanza che la Provincia non avesse assolto all’onere probatorio, sulla stessa gravante, circa l’impossibilità di ricorrere a misure alternative;

4. ha precisato al riguardo che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, obbliga l’ente a verificare le possibilità del reimpiego del personale in eccedenza, non solo all’interno dell’ente medesimo, ma anche presso altre pubbliche amministrazioni, e pertanto, qualora venga contestata la legittimità del collocamento in disponibilità, grava sul datore di lavoro pubblico, non sul dipendente, l’onere di dimostrare il rispetto delle condizioni richieste dalla legge, onere nella specie non assolto in quanto nulla era stato dedotto e dimostrato in merito alla previa verifica negativa di una diversa collocabilità;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Provincia di Arezzo sulla base di tre motivi, ai quali ha opposto difese T.R.;

6. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la Provincia ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ed assume che la Corte territoriale, violando il principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, avrebbe di iniziativa modificato la causa petendi dell’azione, ponendo a fondamento della ritenuta fondatezza della domanda ragioni e circostanze di fatto mai addotte dal T., il quale aveva ravvisato la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, solo nella mancata ricollocazione in altre posizioni dirigenziali disponibili presso l’ente di appartenenza;

1.1. la ricorrente aggiunge che, nel rispetto dell’art. 416 c.p.c., la memoria difensiva aveva puntualmente contestato le allegazioni dell’atto introduttivo, e che parimenti l’appello aveva censurato in modo specifico la pronuncia del Tribunale, con la quale la Delib. di giunta era stata disapplicata sull’erroneo presupposto che nell’organico dell’ente provinciale fossero disponibili posizioni dirigenziali;

2. con la seconda critica è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 416 c.p.c., art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5, perchè l’onere della prova che grava sul datore di lavoro riguarda i soli profili di legittimità del licenziamento che siano stati oggetto di specifica allegazione nel ricorso introduttivo;

2.1. il ricorrente, richiamando la giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo di repechage, sostiene che si deve esigere dal lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento dei fatti, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali poteva essere utilmente ricollocato, sicchè l’onere del datore in merito all’impossibilità del reimpiego sorge solo a seguito di tale allegazione;

3. il terzo motivo, formulato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla Corte territoriale la violazione degli artt. 115 e 421 c.p.c., perchè, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito, la Provincia di Arezzo nell’atto d’appello aveva dedotto l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso altri enti pubblici ed aveva a tal fine fatto leva sulla missiva trasmessa dal T., che faceva riferimento alla revoca delle procedure di mobilità avviate dal Comune di Arezzo;

3.1. aggiunge la ricorrente che la circostanza allegata non era stata oggetto di specifica contestazione, perchè si era discusso solo della possibilità di ricollocare il dirigente in altre posizioni dirigenziali disponibili presso l’amministrazione provinciale, e, pertanto, il giudice d’appello l’avrebbe dovuta ritenere provata o, in alternativa, avrebbe dovuto attivare i poteri d’ufficio;

4. è fondata l’eccezione, sollevata dalla difesa del controricorrente, di inammissibilità del primo motivo di ricorso, sia perchè la censura, che non fa cenno alla nullità derivata dall’error in procedendo, non è formulata nei termini indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 17931/2013, sia in quanto addebita al giudice d’appello di essere incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c., quando, in realtà, già il Tribunale, come si legge nella pronuncia qui impugnata, aveva ritenuto che la Provincia non avesse assolto “adeguatamente l’onere probatorio circa l’impossibilità di ricorrere a misure alternative quali l’adibizione a servizi diversi anche presso altre amministrazioni in ragione dell’esperienza professionale maturata dal Dott. T.”;

4.1. il vizio di ultrapetizione comporta una nullità relativa della sentenza, che va fatta valere con gli ordinari mezzi d’impugnazione e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame, la cui pronunzia, in caso contrario, incorre nel medesimo vizio (Cass. n. 465/2016 e Cass. n. 13351/2014), sicchè nella specie la ricorrente avrebbe dovuto formulare in appello uno specifico motivo volto a denunciare l’asserita violazione da parte del primo giudice del principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato;

4.2. non risulta dalla sintesi dei motivi riportata nella sentenza impugnata che fosse stata eccepita la nullità della pronuncia di primo grado, nè la ricorrente dimostra di avere sottoposto al giudice del gravame la questione del mancato rispetto dell’art. 112 c.p.c. e pertanto la doglianza qui formulata va dichiarata inammissibile perchè, come già affermato da questa Corte, il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado non può essere dedotto come mezzo di ricorso per cassazione, neppure se riferito alla pronuncia di secondo grado confermativa della precedente, ove lo stesso vizio non abbia formato oggetto di specifico motivo di appello (Cass. n. 21856/2004);

5. la seconda censura è infondata;

correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 183 del 2011, pone uno specifico onere a carico del datore di lavoro pubblico il quale, prima di collocare in disponibilità il personale eccedente, è tenuto a verificare la possibilità del reimpiego, non solo presso la stessa amministrazione ma anche presso altri enti;

5.1. la pronuncia è conforme all’interpretazione del richiamato art. 33, comma 7, già fornita da questa Corte, la quale ha precisato che l’ampia dizione utilizzata dalla disposizione – personale che non sia possibile collocare diversamente – “ricostruisce in maniera chiara ed inequivoca l’obbligo dell’amministrazione, imponendo a quest’ultima….di tentare ogni possibile riutilizzazione di tale personale prima del collocamento in disponibilità, attraverso qualunque forma utile a raggiungere l’obiettivo… (Cass. n. 5544/2017 punto 23) e pertanto, qualora venga contestata la legittimità dell’atto, grava sulla P.A. l’onere di dimostrare l’impossibilità di una ricollocazione alternativa nonchè l’adempimento dell’obbligo di comunicazione di cui al successivo art. 34 (Cass. n. 3738/2017);

5.2. al richiamato orientamento il Collegio intende dare continuità, perchè il ricorrente non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare il principio già espresso e si limita a fare leva sulla giurisprudenza formatasi in tema di licenziamento individuale nell’ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze di privati;

5.3. al riguardo va detto che le due fattispecie non sono assimilabili, per l’evidente diversità fra la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 e quella di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3 e che, comunque, l’orientamento invocato è stato superato dai più recenti arresti di questa Corte secondo cui in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo “spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di “repechage” del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri.” (Cass. n. 5592/2016 e negli stessi termini fra le tante Cass. n. 12101/2016, Cass. n. 160/2017; Cass. n. 24882/2017);

6. il terzo motivo è inammissibile per plurime ragioni concorrenti;

6.1. la ricorrente fa leva sull’asserita non contestazione delle circostanze allegate nella memoria difensiva, ma formula il motivo senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;

6.2. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);

6.3. la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010);

6.4. con specifico riferimento alla violazione del principio della non contestazione è stato affermato, e deve essere qui ribadito, che ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il ricorrente è tenuto a precisare nel ricorso “in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica” (Cass. n. 24062/2017);

6.5. la ricorrente ha riportato nel corpo del motivo solo un breve passo dell’atto di appello, ma non ha assolto agli oneri sopra indicati quanto alla memoria difensiva dell’appellato ed agli atti introduttivi del giudizio di primo grado, ai quali occorre fare riferimento al fine di stabilire se una determinata circostanza di fatto fosse o meno inclusa nel thema probandum;

6.6. quanto, poi, all’omesso esercizio dei poteri d’ufficio l’inammissibilità della censura va affermata sulla base dell’orientamento, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui “l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito” (Cass. n. 25374/2017 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. n. 22628/2019);

7. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

7.1. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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