Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3473 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. II, 15/02/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 15/02/2010), n.3473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2488-2004 proposto da:

D.C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS 4, presso lo studio dell’avvocato

TENCHINI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.C.M.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 11, presso lo studio dell’avvocato

VALERLA RISPOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCHINI

ROSELLA; D.C.P. (OMISSIS) elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 11, presso lo studio

dell’avvocato RISPOLI VALERIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCHINI ROSELLA;

– controricorrenti con due speciali controricorso –

e contro

D.C.M., D.C.C., D.C.G., D.

C.W., D.C.R., C.G. o G.,

C.P., C.R. nella qualità di eredi di D.

C.D., D.C.A., D.C.E., D.D.

L. o L., nella qualità di eredi di DI.CA.AS.,

C.M.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 438/2003 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/07/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2009 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato ANGELOZZI Giovanni con delega depositata in udienza

dell’Avvocato TENCHINI Giuseppe difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato D’UGO Bianca Maria con delega depositata in udienza

dell’Avvocato FRANCESCHINI Rosella, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato tra il 30 ottobre e il 12 novembre 1984 D.C. P. e D.C.M.D. citarono davanti al Tribunale di Teramo Di.Ca.As., D.C.M., D.C. C., C.G. (o G.), C.P., C.R. (quale esercente la potestà dei genitori sulla minorenne C.M.P.), D.C.G., D.C. W., D.C.R. e D.C.R., proponendo domanda di divisione dei beni relitti da D.C.G., deceduto il (OMISSIS). Si costituirono in giudizio d.C.R. in rappresentanza di D.C.G. e D.C.R., il quale chiese di essere dichiarato proprietario esclusivo, per usucapione, di un fabbricato in (OMISSIS), indicato dagli attori tra i beni caduti in successione. Gli altri convenuti rimasero contumaci.

All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza non definitiva del 7 luglio 1997 il Tribunale dispose procedersi allo scioglimento della comunione ereditaria, con esclusione dell’immobile di (OMISSIS).

Impugnata in via principale da D.C.P. e D.C.M. D., in via incidentale da D.C.R., la decisione è stata riformata dalla Corte d’appello dell’Aquila, che con sentenza del 3 luglio 2003 ha statuito che la divisione deve avere ad oggetto anche il fabbricato in questione. A tale conclusione il giudice di secondo grado è pervenuto ritenendo che D.C.R., contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, aveva proposto una domanda riconvenzionale e non una semplice eccezione di usucapione:

domanda che a norma dell’art. 292 c.p.c. avrebbe dovuto essere – ma non era stata – notificata alle parti contumaci.

D.C.R. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. D.C.P. e D.C.M.D. si sono costituiti con distinti controricorsi e hanno presentato memorie. Non hanno svolto attività difensive nel giudizio di cassazione D.C. M., D.C.C., C.G. (o G.), C.P., C.R., D.C.G., D.C.W., D.C.R., D.C.A., D. C.E., D.D.L. (gli ultimi tre eredi di D.C. A.) e C.M.P. (nei confronti della quale è stato integrato il contraddittorio, come era stato disposto da questa Corte con ordinanza del 10 ottobre 2 008).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Tra le censure rivolte da D.C.R. alla sentenza impugnata, deve essere presa in esame prioritariamente, stante il suo carattere preliminare ed assorbente, quella esposta nel secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene che il giudice di secondo grado erroneamente ha ritenuto che l’assunto dell’usucapione avesse formato oggetto di una vera e propria domanda, anzichè di una semplice eccezione riconvenzionale, come tale non soggetta alla notificazione prescritta dall’art. 292 c.p.c..

La doglianza va disattesa, poichè l’interpretazione delle richieste delle parti è riservata al giudice del merito e non può essere sindacata in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione (v., per tutte, Cass. 9 settembre 2008 n. 22893). Il ricorrente invece, denunciando “violazione e/o falsa applicazione di legge segnatamente all’art. 36 c.p.c.”, si è limitato a sostenere assiomaticamente che le conclusioni formulate nella sua comparsa di risposta potessero essere intese come una “eccezione di merito consistita nella rappresentazione all’organo giudicante di fatti estintivi, modificativi o costitutivi del diritto fatto valere in giudizio”, pur se nel costituirsi in primo grado – come si legge nella sentenza di appello – egli aveva testualmente “spiegato domanda riconvenzionale, chiedendo che, ogni contraria eccezione, deduzione e richiesta reiette, l’on. Tribunale adito voglia dichiarare la esclusiva proprietà di esso D.C.R., per intervenuta usucapione, sui beni dianzi descritti”. Nè l’intrinseca diversità di natura, tra l’eccezione e la domanda riconvenzionale, consente di aderire alla tesi del ricorrente, secondo cui anche la prima poteva considerarsi comunque proposta, “attesa la mancata notifica”: in proposito esattamente il giudice di secondo grado ha osservato che “a fronte di una istanza, la qualificazione della stessa come domanda o eccezione riconvenzionale va … effettuata sulla base del suo contenuto e non dell’effettuata od omessa notifica alle controparti contumaci”.

Con il primo motivo di ricorso D.C.R. sostiene innanzi tutto che la notificazione ritenuta indispensabile dalla Corte d’appello non era nella specie necessaria, poichè i convenuti non costituitisi in giudizio non erano stati dichiarati contumaci.

La deduzione è infondata, poichè gli effetti della contumacia derivano di per sè dalla mancata costituzione in giudizio e non dalla sua formale dichiarazione da parte del giudice, la cui omissione comporta una semplice irregolarità (v., tra le altre, Cass. 18 settembre 2007 n. 19347).

Con lo stesso primo motivo di ricorso D.C.R. lamenta che la Corte d’appello ha rilevato una nullità che non era stata eccepita dalle parti unicamente interessate e legittimate a farla valere: i convenuti rimasti contumaci sia in primo sia in secondo grado.

La censura deve essere accolta, data la sua coerenza con il principio che è stato costantemente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. 20 giugno 2008 n. 16958) e dal quale non vi è ragione di discostarsi, secondo cui “l’inosservanza dell’obbligo di notificazione al contumace delle comparse contenenti domande nuove non può essere dedotta dalle altre parti nè rilevata d’ufficio dal giudice, nemmeno quando il contumace sia litisconsorte necessario rispetto a tale domanda, trattandosi di un obbligo stabilito nell’interesse esclusivo del contumace”.

Non ne consegue, tuttavia, che la Corte d’appello, come il ricorrente presuppone, dovesse senz’altro confermare la sentenza di primo grado, così in sostanza accogliendo la domanda di cui si tratta, sebbene proposta nei confronti soltanto di alcuni di coloro che avrebbero dovuto esserne i destinatari.

Avendo deciso nel senso che il Tribunale aveva erroneamente qualificato le richieste di D.C.R. come; eccezione, invece che come domanda riconvenzionale, la Corte d’appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice, in applicazione dell’art. 354 c.p.c., affinchè provvedesse su tale domanda, previa integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti rimaste contumaci, in quanto litisconsorti necessari in relazione al rapporto dedotto in giudizio dall’altro convenuto (v. tra le più recenti, Cass. 20 marzo 2006 n. 6163).

La sentenza impugnata, a norma dell’art. 383 c.p.c., comma 3, deve pertanto essere cassata con rinvio della causa al Tribunale di Teramo, al quale viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso; accoglie parzialmente il primo; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa al Tribunale di Teramo, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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