Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3473 del 14/02/2014
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3473 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: IOFRIDA GIULIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv.to
Massa
Giunio
Luigi,
elettivamente
domiciliato in Roma Via della Madonella 15, presso
lo studio dell’Avv.to Sandro Fioretti, e
rappresentato e difeso da sé medesimo
–
-2K)
i3
ricorrente
–
contro
`29
Agenzia delle Entrate, domiciliata in Roma Via dei
Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello
Stato, che la rappresenta e difende ex lege
–
contrari corrente
–
avverso la sentenza n. 268/29/2008 della
Commissione Tributaria regionale della Toscana,
depositata 1’11/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/10/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito l’Avvocato dello Stato, Diego Giordano, per
parte controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Umberto Apice, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Data pubblicazione: 14/02/2014
Con
sentenza
n.
268/29/2008
28/10/2008,
del
depositata in data 11/11/2008, la Commissione
Tributaria Regionale della Toscana, Sez. 29,
accoglieva, con condanna del contribuente appellato
al rimborso delle spese processuali del grado del
giudizio, l’appello proposto, in data 17/01/2008,
dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di Viareggio,
avverso la decisione n. 118/04/2006 della
aveva accolto il ricorso di Massa Giunio Luigi,
esercente la professione di avvocato, contro una
cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle
Entrate, notificatagli, ai sensi dell’art.36 bis
DPR 600/1973, sulla base della dichiarazione dei
redditi UNICO 2002, relativa all’anno 2001, per il
recupero dell’IRAP non versata.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il
gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto, con
riguardo al requisito dell’autonoma organizzazione,
dalla lettura degli elementi contabili del quadro
RE
della
dichiarazione
professionista, emergevano
dei
redditi
del
“beni strumentali, per
un valore complessivo di C 26.893,46, quote di
ammortamento, per C 4.192,08, compensi a terzi, per
C 17.858,56, spese per consumi di C 3.485,57 ed
altre spese documentate, per C 8.905,27”,
il che, a
fronte della mancata produzione, da parte del
contribuente,
di
“documentazione
(libro
dei
cespiti, spese documentate, etc…) tesa a dimostrare
il fatto costitutivo della sua pretesa, cioè la
mancanza della causa (autonoma organizzazione) ‘che
giustifica il prelievo fiscale”,
era indicativo
dell’impiego, per l’esercizio dell’attività, di
mezzi non contenuti nel minimo indispensabile.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per
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Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, che
cassazione
il
contribuente,
deducendo undici
motivi, per violazione e/o falsa applicazione di
norme di diritto, ex art.360 n. 3 c.p.c. (Motivi 1
e 2, in relazione agli artt.53 e 57 d.lgs.
546/1992, non avendo i giudici tributari rilevato
l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle
Entrate, malgrado l’assenza di specifiche censure
alle argomentazioni della sentenza di primo grado,
qualità e quantità di beni strumentali impiegati
dal professionista; Motivo 3, in relazione
all’art.2 d.lgs. 446/1997 ed all’art.2697 c.c.,
avendo i giudici tributari addossato al
contribuente l’onere della prova della sussistenza
dell’autonoma organizzazione, pur in una
fattispecie di attività accertativa da parte
dell’Ufficio erariale del mancato versamento
dell’IRAP dovuta; Motivo 4, in relazione agli
artt.2909 c.c. e 2697 c.c., avendo i giudici
tributari omesso di valutare una decisione della
C.T.R. della Toscana, del maggio 2007, passata in
giudicato, che aveva riconosciuto il diritto del
contribuente, per mancanza del presupposto
impositivo dell’autonoma organizzazione, al
rimborso dell’ imposta IRAP versata negli anni
1998, 1999 e 2000, sulla base delle stesse
identiche situazioni fattuali presenti nell’anno
d’imposta in contestazione, il 2001; Motivi 6, 7 ed
8, in relazione agli artt.2 e ss. d.lgs. 446/1997,
avendo i giudici dell’appello dato rilievo al solo
criterio “quantitativo” degli elementi materiali a
supporto dell’attività del contribuente e non anche
al dato dell’assenza di dipendenti e/o
collaboratori; Motivi 10 ed 11, in relazione
all’art.91 c.p.c. ed al DM 127/2004, con
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e l’introduzione di motivi nuovi relativi alla
•
riferimento alla liquidazione delle spese legali in
favore dell’Ufficio erariale, il quale non si era
avvalso di un procuratore legale, non essendo state
oltretutto precisate le varie voci tariffarie
applicate), e per omessa motivazione su di un punto
decisivo della controversia, ex art.360 n. 5 c.p.c.
(Motivo 5, avendo i giudici tributari omesso di
valutare gli effetti del giudicato formatosi tra le
C.T.R. Toscana intervenuta nell’anno 2007, già
richiamata nel 4 ° Motivo; Motivo 9, pagg. 9 e 10,
avendo i giudici tributari omesso di motivare
sufficientemente sul rilievo attribuito alle spese
per l’acquisto di beni strumentali e per compensi a
terzi, trattandosi, nel primo caso, di attrezzature
e mezzi di locomozione, rientranti nel concetto di
minimo indispensabile per l’esercizio della
professione, e, nel secondo caso, di spese per
utenze e compensi a terzi per pratiche giudiziali
affidate).
Ha
l’Agenzia
resistito
delle
Entrate
con
controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria, ai sensi
dell’art.378 c.p.c..
Motivi della decisione
Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi
congiuntamente, sono infondati.
Invero, da un lato,
dell’art.53 d.lgs.
il vizio di violazione
546/1992,
invocato,
ricorre
quando l’atto di appello difetta di censure
specifiche
alla
decisione
impugnata,
censure
specifiche che tuttavia, non necessariamente,
devono vertere su tutte le statuizioni in essa
contenute (nella specie, invece, il ricorrente
lamenta che l’Agenzia delle Entrate non avesse
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stesse parti, con riguardo alla sentenza della
specificamente impugnato proprio il punto, della
motivazione della sentenza della Commissione
Tributaria Provinciale, relativo alla irrilevanza
dei beni strumentali e mancanza di collaboratori
nello svolgimento dell’attività da parte del
professionista).
Come già da questa Suprema Corte evidenziato, la
specificità dei motivi di appello (finalizzata ad
seconda istanza)
giudice di
argomentazioni
esige che,
alle
svolte nella sentenza impugnata,
vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte
ad incrinare il fondamento logico giuridico delle
prime, ragion per cui alla parte volitiva deve
sempre accompagnarsi una parte argomentativa, che
confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo
giudice, ma tale esigenza “non può impedire che il
dissenso della parte soccombente investa la
decisione impugnata nella sua interezza e che esso
si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che
suffragavano la domanda disattesa dal primo
giudice, essendo innegabile che, in tal caso,
sottoponendo al giudice d’appello dette
argomentazioni – perché ritenute giuste e idonee al
conseguimento della pretesa fatta valere -, si
adempia pienamente all’onere di specificità dei
motivi”
(Cass. 14031/2006; cfr. Cass. 23742/2004 e
Cass.4784/2011).
In sostanza, al fine di ritenere soddisfatto il
requisito
prescritto
dall’art.53
del
d.lgs.
546/1992, è sufficiente che, in tutto l’atto
d’appello, e particolarmente nella esposizione dei
fatti e dei motivi, sia possibile individuare con
chiarezza la sentenza impugnata, le statuizioni
della sentenza impugnata investite del gravame e le
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evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al
specifiche critiche ad esse indirizzate (cfr.
Cass.628/2012), essendo peraltro ammissibile anche
la prospettazione delle medesime ragioni addotte
nel giudizio di primo grado, purché ciò determini
una critica adeguata e specifica della decisione
impugnata e consenta al giudice del gravame di
percepire con certezza il contenuto delle censure,
in riferimento alle statuizioni adottate dal primo
Conseguentemente, la censura in esame è infondata,
in quanto deve ritenersi che, anche in tema di
processo tributario, la riproposizione, in appello,
delle stesse argomentazioni poste a sostegno della
validità
dell’atto
impugnato,
considerate
dall’Amministrazione idonee a sostenere la
legittimità dell’atto ed confutare le diverse
conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo
grado, è idonea ad assolvere l’onere d’impugnazione
specifica, richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992,
n. 546, art. 53.
Dall’altro lato, non ricorre il vizio, denunciato
con il secondo motivo di ricorso, di violazione del
divieto di novum in appello, ai sensi dell’art.57
d.lgs. 546/1992 (norma questa, peraltro, richiamata
dal ricorrente solo nel corpo del motivo secondo,
essendo la rubrica ed anche il quesito di diritto
formulati invece con riguardo all’art.53, pur
contenendo il motivo, in realtà, contestazione
sulla improponibilità in appello di nuove
eccezioni). La posizione dell’Ufficio territoriale
di Viareggio in appello è stata invero di mera
difesa, a fronte dell’impugnazione dell’atto da
parte del contribuente, concretandosi nella
richiesta di rigetto del ricorso avversario. Non vi
è stata, di conseguenza, proposizione di domande o
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giudice (Cass. SU n. 28057 del 2008).
eccezioni nuove in appello, essendosi limitata
l’Agenzia delle Entrate a difendersi in tale
giudizio (cfr. Cass. Trib. 8316/2012 e
3338/2011:”/n
tema di contenzioso tributario, il
divieto di proporre nuove eccezioni in appello,
posto dall’art.57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
546, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia
lo strumento processuale con cui il contribuente,
valere un fatto giuridico avente efficacia
modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma
non limita la possibilità dell’Amministrazione di
difendersi dalle contestazioni già dedotte in
giudizio, perché le difese, le argomentazioni e le
prospettazioni dirette a contestare la fondatezza
di un’eccezione non costituiscono, a loro volta,
eccezioni in senso tecnico.”).
Il quarto motivo (violazione dell’art.2909 c.c. sul
giudicato) e infondato, non potendo assumere
rilievo il giudicato esterno formatosi sull’istanza
del contribuente di rimborso dell’IRAP, versata,
relativa a diversi – precedenti – anni di imposta.
Deve essere, al riguardo, osservato che l’efficacia
di giudicato esterno, finalizzato ad evitare la
formazione di giudicati contrastanti, va
riconosciuta a quelle situazioni con la quale si
accertano elementi costitutivi della fattispecie
che, estendendosi ad una pluralità di periodi di
imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche
preliminari all’applicazione di una specifica
disciplina tributaria), assumano carattere
tendenzialmente permanente ed acquistano efficacia
di giudicato con riferimento alle imposte dello
stesso tipo dovute per gli anni successivi. Non può
invece ricorrere alcuna efficacia vincolante quando
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in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa
l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su
presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.
(Cass. n. 18923 del 2011; Cass. n. 20029 del 2011;
Cass. n.
18907 del 2011).
Più precisamente, gli
elementi costitutivi della fattispecie contemplata
dalla norma tributaria, suscettibili di
rivestire carattere di invarianza nei diversi
giudiziale, divenuto immodificabile, può quindi
esplicare efficacia preclusiva, anche in altri
giudizi tra le stesse parti, in cui viene in
applicazione la medesima norma tributaria,
sono soltanto quelli che non sono destinati ad
esaurirsi o modificarsi necessariamente – o almeno
tendenzialmente – in dipendenza del trascorrere del
tempo (come appunto le
“qualificazioni giuridiche”
– non soggette a vincoli temporali di efficacia od
a condizioni o requisiti da rinnovabili
periodicamente – da cui dipende l’applicazione di
una specifica disciplina tributaria), e non anche,
quindi, a quegli elementi di fatto – emersi, ad
es., dalla attività di indagine degli organi
accertatori compendiata nel processo verbale di
constatazione – che costituiscono invece oggetto
della attività valutativa della loro rilevanza ed
efficacia probatoria, rimessa al prudente
apprezzamento del Giudice tributario (cfr. Cass. n.
11226 del 2007; Cass. 26173 del 2011).
Il giudicato relativo al periodo di imposta può,
quindi, fare stato, anche per altri periodi,
qualora riguardi presupposti impositivi che si
riflettono su diverse annualità, mentre non
costituisce giudicato esterno quello attinente a
situazioni di fatto potenzialmente diverse
(Cass.3804/2013).
periodi di imposta, ed il cui accertamento
Nella specie,
controvertendosi di
IRAP,
non
versata, dovuta per anni successivi a quelli
oggetto delle precedenti istanze di rimborso del
contribuente, i cui contenziosi, sul silenziorifiuto opposto dall’Ufficio finanziario, si erano
conclusi a favore del professionista, non ricorreva
la preclusione del giudicato esterno, essendo i
presupposti impositivi, in fatto, potenzialmente
Il quinto motivo (omessa motivazione sul punto
relativo al giudicato formatosi per gli anni
1998,1999 e 2000) è, di riflesso, inammissibile per
irrilevanza ai fini del decidere.
Il terzo motivo (implicante violazione dei principi
in tema di riparto dell’onere della prova) è del
pari infondato.
Con riguardo al profilo dell’onere della prova, a
differenza dell’ipotesi in cui il contribuente
azioni un diritto al rimborso dell’imposta
indebitamente versata, impugnando il diniego da
parte dell’Ufficio dell’istanza presentata,
effettivamente, in tema di accertamento e controllo
delle dichiarazioni dei redditi effettuate ai sensi
dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, la
cartella esattoriale che contenga la rettifica dei
risultati della dichiarazione del contribuente ha
natura impositiva, parificabile ad un atto di
accertamento, e pertanto, nell’ipotesi di
impugnazione dell’atto, da parte del contribuente,
l’Amministrazione Finanziaria, che ha utilizzato il
procedimento di cui all’art. 36 bis DPR 600/73,
deve dar prova, anche in via presuntiva, della
pretesa azionata.
Tuttavia, nella specie, i giudici tributari non
hanno negato che l’onere della prova della
9
mutevoli nel tempo.
fondatezza della pretesa impositiva ricadesse
sull’Ufficio, limitandosi ad affermare che il
contribuente non avesse offerto documentazione
idonea in prova contraria, al fine di confutare il
presupposto, l’autonoma organizzazione, della
cartella di pagamento.
I motivi sesto, settimo ed ottavo (implicanti
il nono motivo (vizio di insufficiente motivazione
sul punto della sussistenza dell’autonoma
organizzazione) sono inammissibili, in quanto i
quesiti di diritto, prescritti dall’art.366 bis
c.p.c. – disposizione questa operante, trattandosi
di sentenza impugnata pubblicata nel novembre 2008
non sono correttamente formulati, quanto ai
motivi implicanti vizi di violazione di legge,
contenendo, con riferimento alla medesima
violazione, interpelli plurimi (essendo stato da
questa Corte ritenuto invece ammissibile un unico
articolato motivo d’impugnazione, relativo a vizi
diversi ovvero con riferimento a diverse e
concorrenti violazioni di legge, qualora lo stesso
si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno
dei quali riferito al singolo profilo dedotto ed
idoneamente formulato, Cass. S.U. 5624/2009; Cass.
15242/2012), generici, astratti, ovvero difettano
del tutto, quanto al motivo implicante vizio
motivazionale, di un’illustrazione contenente
“la
chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa
o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali
la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione”.
In ogni caso, attraverso i suddetti motivi, il
ricorrente introduce, inammissibilmente, dinanzi a
10
(“#/
violazione degli àrtt.2 e ss. d.lgs. 546/1992) ed
questa Corte, una diversa ricostruzione dei fatti,
contrastante con quella già accertata nella
sentenza di merito.
Gli ultimi due motivi,
in punto di spese
processuali liquidate, sono infondati, in quanto,
da un lato, l’art.15, comma 2-bis, del d.lgs. n.
546/1992 – introdotto dall’art. 12 del DL 8 agosto
ottobre 1996, n. 556 – stabilisce, a proposito
delle spese del giudizio tributario, che:
“Nella
liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del
Ministero delle finanze, se assistito da funzionari
dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale,
se assistito da propri dipendenti, si applica la
tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con
la riduzione del venti per cento degli onorari di
avvocato ivi previsti. La riscossione avviene
mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo
dopo il passaggio in giudicato della sentenza”,
ed
i giudici tributari hanno fatto applicazione di
detta normativa, e, dall’altro lato, non è stato
precisato dal ricorrente il parametro base, cui
riferire la violazione dei minimi e dei massimi,
costituito dallo scaglione tariffario determinato
alla stregua del valore della causa.
La Corte rigetta il ricorso.
Le
spese
processuali,
liquidate
come
in
dispositivo, in conformità del D.M. 140/2012,
attuativo della prescrizione contenuta nell’art.9,
comma 2 ° , d.l. 1/2012, convertito dalla 1. 271/2012
(Cass.S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte
ricorrente al rimborso delle spese processuali del
presente giudizio di legittimità, liquidate in
11
1996, n. 437, quale convertito dalla legge 24
ESENTEDAPT- Gl’,,TRAZICN’E
V:11A
complessivi C 1.500,00, a titolo di compensi, oltre
eventuali spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della