Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34721 del 16/11/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2021, (ud. 16/09/2021, dep. 16/11/2021), n.34721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21257/2019 proposto da:

C.L.O. LAVORATORI ORTOMERCATO S.C.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 94, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CARDILLI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI

MASALA;

– ricorrente –

contro

D.M.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato FABIO LUZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/01/2019 R.G.N. 268/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del primo e secondo

motivo del ricorso e accoglimento del terzo per quanto di ragione.

udito l’Avvocato GIOVANNI MASALA

udito l’Avvocato ENZO GIARDIELLO, per delega verbale Avvocato FABIO

LUZI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in funzione di giudice del lavoro, pronunziando sul ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, con il quale D.M.F. aveva impugnato sia la Delib. in data 20 giugno 2016, di esclusione dalla C.L.O. Cooperativa Lavoratori Ortomercato s.c.r.l. sia il licenziamento disciplinare comunicatogli con nota in pari data, previa ordinanza di mutamento del rito (da rito cd. Fornero a rito del lavoro), dichiarò la illegittimità di entrambi i provvedimenti e risolti sia il rapporto societario che il rapporto lavorativo condannando la Cooperativa resistente al pagamento in favore del ricorrente di un’indennità risarcitoria pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

2. La Corte di appello di Ancona, respinto l’appello principale della Cooperativa, in parziale accoglimento dell’appello incidentale del D.M., dichiarata la persistenza del rapporto sociale, ha condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, la Cooperativa alla reintegrazione del socio lavoratore nel posto di lavoro, alla corresponsione della indennità risarcitoria, rideterminata in 12 mensilità della retribuzione, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal licenziamento alla reintegrazione.

3. Per quel che ancora rileva, il giudice di appello, premesso che non era stato adeguatamente censurato l’accertamento del giudice di prime cure di insussistenza del fatto posto a base sia della Delib. di espulsione che del licenziamento disciplinare, e che tale ricostruzione era frutto di condivisibile valutazione delle risultanze istruttorie, ha ritenuto che tanto comportava la illegittimità della Delib. di esclusione del socio e del licenziamento con ricostituzione ex tunc del rapporto associativo; ha fondato l’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18, sul rilievo che la L. n. 142 del 2001, art. 1, comma 1, di revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore, esclude la tutela reale non in maniera generalizzata ma solo nei casi in cui venga meno in via definitiva il rapporto associativo; viceversa, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, vi era stato ripristino del rapporto associativo nulla ostava all’applicazione nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, art. 18; in tale prospettiva la tutela reintegratoria si giustificava con l’accertamento dell’insussistenza del (medesimo) fatto materiale a base sia della Delib. di espulsione che del licenziamento, fatto consistente in ” diverbio litigioso… cui siano seguite le vie di fatto anche con conseguenze di lieve entità”.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.L.O. Lavoratori Ortomercato s.c.r.l. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva il Collegio che la esistenza di un procedimento (iscritto al n. RG 21261/2021) tra la Cooperativa ricorrente e R.L., procedimento che nella nota di segnalazione depositata dal procuratore della società si assume, senza ulteriori esplicitazioni, essere “collegato” all’odierno procedimento, non giustifica il differimento ad altra udienza della trattazione del presente giudizio vertente tra parti solo parzialmente coincidenti con quelle di cui al procedimento indicato dal procuratore della società.

2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 436 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per non avere considerato che il capo della sentenza di primo grado con il quale era stato dichiarato risolto il rapporto associativo non era stato investito dal gravame di controparte; il giudice di appello aveva errato laddove, analizzando i motivi di appello incidentale, aveva ritenuto che con esso il lavoratore aveva inteso conseguire anche il ripristino del rapporto associativo, in tal senso valorizzando la memoria di costituzione in appello del D.M.; tale ricostruzione si poneva, infatti, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che esigeva che l’atto di gravame contenesse la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 2909 c.c., e/o dell’art. 324 c.p.c., per omesso rilievo del giudicato formatosi sulla cessazione del rapporto associativo, cessazione dalla quale scaturiva la preclusione della accordata tutela reale e la sola eventuale applicabilità della tutela obbligatoria.

4. Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa della L. n. 142 del 2001, art. 2. Assume che la tesi della Corte distrettuale secondo la quale in caso di ripristino del rapporto associativo non vi erano ostacoli all’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, confligge con il dettato testuale dell’art. 2 cit. che esclude l’applicabilità dell’art. 18 cit. quando la cessazione del rapporto di lavoro sia effetto della Delib. di esclusione.

5. Il primo e il secondo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, sono infondati.

5.1. Parte ricorrente, pur formalmente riconducendo le censure articolate al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sviluppa ragioni di doglianze intese in realtà a far valere anche e soprattutto un vizio di attività del giudice di merito e quindi un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma, 1 n. 4.

5.2. Sotto il profilo della violazione di legge, la circostanza che la Corte distrettuale abbia dato atto che la censura che investiva la cessazione del rapporto associativo era stata formulata in maniera indiretta non è affermazione intrinsecamente idonea di per sé sola e per la sua genericità a evidenziare l’errore di diritto del giudice di merito in ordine al significato ed alla portata applicativa delle prescrizioni in tema di chiarezza e specificità dell’impugnazione desumibili dal paradigma legale dell’art. 342 c.p.c. e dall’art. 434 c.p.c., secondo la interpretazione offertane dalla giurisprudenza di questa Corte; con indirizzo consolidato, infatti, il giudice di legittimità, ferma la esigenza di chiarezza nella individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata in ragione della permanente natura di revisio prioris istantiae del giudizio di appello, ha escluso la necessità dell’utilizzo di forme sacramentali o di redazione di un progetto alternativo di sentenza ai fini della validità dell’impugnazione (Cass. Sez. Un. 16/11/2017, n. 27199 e, in senso conforme, tra le altre: Cass. 30/05/2018, n. 13535; Cass. 12/02/2019, n. 4136).

5.3. In relazione al denunziato difetto di attività del giudice di merito, per come concretamente denunziato, occorre premettere che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) od a quello del tantum devolutum quantum appellatum (art. 437 c.p.c.), trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti. (Cass. 10/10/2014 n. 21421; Cass. 22/07/09, n. 17109; Cass. 12/01/2006 n. 409; Cass. 24/06/2004, n. 11755). L’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda richiede tuttavia che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Un. 22/05/2012 n. 8077; Cass. 28/11/2014 n. 25308; Cass. 21/04/2016 n. 8069).

5.4. Parte ricorrente non ha osservato tale onere in quanto ha proceduto nel ricorso per cassazione ad una trascrizione solo parziale della memoria di costituzione con appello incidentale di controparte; manca, infatti, del tutto la parte relativa alle conclusioni spiegate in quel giudizio ed inoltre la stessa trascrizione della parte espositiva è connotata dalla presenza in più parti di puntini sospensivi, presenza che preclude in radice la completa conoscenza dell’atto la cui portata deve essere verificata, per costante giurisprudenza di questa Corte, attraverso la complessiva valutazione dello stesso (v., tra le altre, Cass. 18/07/2007, n. 15966; Cass. 04/08/2006 n. 17760. Tale trascrizione nello specifico si rendeva tanto più necessaria in quanto nella sentenza impugnata sono trascritte le conclusioni spiegate dal D.M. con l’appello incidentale, conclusioni che contengono un chiaro riferimento alla richiesta di ricostituzione del rapporto associativo (v. punto 2, delle conclusioni dell’appellante incidentale riportate a pag. 3 della sentenza impugnata).

6. Dalle considerazioni che precedono deriva quindi che nessun giudicato può ritenersi formato sulla cessazione del rapporto associativo, conseguendone la inconfigurabilità in radice del mancato rilievo di esso denunziato con il secondo motivo.

7. Il terzo motivo di ricorso è meritevole di accoglimento.

7.1. Il tema delle tutele esperibili in fattispecie quale quella della cooperativa di lavoro – caratteristicamente connotata dalla esistenza di un duplice rapporto, associativo e di lavoro, e dalla correlativa differenziazione dei relativi atti estintivi – ed, in particolare, la verifica degli spazi di applicabilità della tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, che aveva trovato soluzioni differenziate nella giurisprudenza di questa Corte, è stato ricomposto con l’intervento nomofilattico di Cass. Sez. Un. 20/11/2017, n. 27436 nel senso che ” In tema di

estinzione del rapporto del socio lavoratore di cooperativa, ove per le medesime ragioni afferenti al rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la Delib. di esclusione ed il licenziamento, l’omessa impugnativa della Delib. non preclude la tutela risarcitoria contemplata dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, mentre esclude quella restitutoria della qualità di lavoratore. (Nella specie, la S.C. in applicazione del principio enunciato, ha rigettato il motivo di ricorso avverso la decisione d’appello che aveva ritenuta ammissibile l’impugnativa del licenziamento da parte del socio lavoratore pur in carenza di impugnazione della Delib. di esclusione, e rimesso gli atti alla sezione lavoro per il seguito di competenza” (Cass. Sez. Un. 27436/2017 cit.).

7.2. A tale approdo il Supremo Collegio è pervenuto sulla base delle seguenti considerazioni: a) nelle cooperative regolate dalla L. n. 142 del 2001, il collegamento fra rapporto associativo e rapporto di lavoro nella fase estintiva assume caratteristica unidirezionale nel senso che la cessazione del rapporto associativo “trascina” con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non può più essere lavoratore; b) è la caratteristica morfologica dell’unidirezionalità del collegamento fra i rapporti che determina la dipendenza delle loro vicende estintive, non già l’indagine, necessariamente casistica, sulle ragioni che sono poste a fondamento dell’espulsione del socio lavoratore; c) alla duplicità di rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi, in quanto ciascun atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni;, d) la mancata impugnazione della Delib. di esclusione preclude la sola tutela restitutoria; e) la invalidazione della Delib. di esclusione ha, invece, un effetto restitutorio dal quale deriva la ricostituzione sia del rapporto societario, sia dell’ulteriore rapporto di lavoro ripetendosi in tal modo la genesi e fisionomia della dinamica del rapporto sociale; f) tale tutela “risulta quindi del tutto estranea ed autonoma rispetto alla tutela reale prevista dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori, di matrice, appunto, lavoristica (sulla quale invece punta, una volta “rimosso il provvedimento di esclusione”, Cass. 4 giugno 2015, n. 11548)” (Cass. Sez. Un., n. 27436/2017 cit.).

7.4. Il coerente sviluppo di tali indicazioni riferite alla fattispecie in esame, connotata dalla presenza di due provvedimenti entrambi impugnati, la Delib. di esclusione ed il provvedimento di irrogazione del licenziamento (disciplinare), comporta che l’accertamento della illegittimità della Delib. determina, con efficacia ex tunc, ove, come nel caso di specie, sia la Delib. che il licenziamento siano fondati sul medesimo fatto, in simmetria con gli effetti connessi alla sua adozione, sia la ricostituzione del rapporto associativo sia la ricostituzione del rapporto di lavoro “travolto” dalla Delib. di espulsione risultata illegittima.

7.5. L’effetto pienamente ripristinatorio del rapporto – associativo e di lavoro – conseguente all’annullamento della Delib. di espulsione per insussistenza del medesimo fatto alla base del recesso non consente di individuare residui spazi per l’utile esplicazione della tutela reintegratoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

7.6. L’apparato rimediale in punto di conseguenze economiche connesse all’illegittimità del recesso sarà in questo caso quello di regola previsto dall’ordinamento per le ipotesi in cui venga affermata la giuridica continuità del rapporto di lavoro di fatto interrotto (come accade ad es. in tema di contratto di lavoro nel quale sia dichiarata la illegittimità del termine, oppure in tema di licenziamento orale, per questo inefficace) per cui all’effetto ripristinatorio sarà possibile affiancare, in presenza dei relativi presupposti e ferma la necessità della costituzione in mora della società, la tutela risarcitoria secondo gli ordinari criteri.

7.7. La soluzione qui propugnata non finisce, come sostenuto, con il vanificare il disposto della L. n. 142 del 2001, art. 2, a mente del quale “Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la L. 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’art. 18, ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”, per cui – si sostiene – una volta venuta meno la delibera di esclusione e ripristinato il rapporto associativo non vi sarebbero ragioni per precludere la tutela ex art. 18 cit..

7.8. E’, infatti, pur sempre possibile recuperare spazi all’applicazione della tutela ex art. 18 St. lav.; ciò non solo nella ipotesi, invero teorica, di licenziamento intimato in assenza di Delib. di espulsione dalla compagine sociale ma anche quando la Delib. di espulsione del socio e l’atto di licenziamento, sia pure contestuali, riposino su ragioni differenti non sovrapponibili; in questo caso, infatti, appare più coerente con la ricostruzione della posizione del socio lavoratore in termini di coesistenza di una duplicità di rapporti lavorativo e societario – ritenere che la caducazione della Delib. di espulsione invalida non comporti direttamente un effetto ripristinatorio (anche) del rapporto di lavoro pregresso, inciso dall’autonomo effetto estintivo scaturito dal licenziamento; se il rapporto si è estinto sulla base di un atto di licenziamento fondato su ragioni autonome e distinte rispetto a quelle alla base della Delib. di esclusione, l’annullamento di tale Delib. determina solo la rimozione dell’effetto preclusivo all’instaurazione del rapporto di lavoro connesso alla necessaria qualità di socio ma non travolge l’effetto estintivo conseguente al licenziamento; in questo caso, per il concreto ripristino del rapporto di lavoro, sarà necessaria la rimozione dell’atto che ne ha determinato la cessazione con possibilità quindi di ricorrere alla tutela reintegratoria ex art. 18 St. Lav..

8. La sentenza impugnata, laddove in presenza di Delib. illegittima fondata sui medesimi fatti alla base del licenziamento, ha riconosciuto al lavoratore la tutela reale non è coerente con la ricostruzione complessiva sopra operata per cui, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, si impone la cassazione in parte qua della decisione con rinvio alla Corte di appello di Bologna.

9. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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