Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34720 del 16/11/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2021, (ud. 16/09/2021, dep. 16/11/2021), n.34720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15138/2018 proposto da:

M.G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato MADDALENA BOFFOLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

NAPOLI SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18,

presso lo studio dell’avvocato NUNZIO RIZZO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

ELPIS S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7564/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/11/2017 R.G.N. 3604/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per accoglimento del terzo, quarto,

quinto, sesto e ottavo motivo del ricorso respinti gli altri,

assorbito il settimo;

udito l’Avvocato MADDALENA BOFFOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.G.P., dipendente con qualifica dirigenziale di Elpis s.r.l., adì il giudice del lavoro chiedendo accertarsi la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla società datrice di lavoro in data 28.10.2011 e la condanna di quest’ultima al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso, dell’indennità supplementare prevista dal c.c.n.l. applicabile e del trattamento di miglior favore previsto dalla lettera di assunzione; chiese, inoltre, la condanna della società al pagamento delle differenze retributive connesse alla unilaterale riduzione della retribuzione, degli aumenti contrattuali previsti dalla disciplina collettiva, della retribuzione relativa al periodo 1.7/4.11. 2011, dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute e del saldo del tfr nonché la condanna al risarcimento del danno all’immagine ed alla professionalità; Elpis s.r.l. costituitasi spiegò domanda riconvenzionale chiedendo la condanna del M. al pagamento della somma di Euro 110.000,00 per varie causali; l’originario ricorrente nel corso del giudizio chiamò in causa Napoli Servizi s.p.a. quale cessionaria di ramo di azienda da Elpis s.r.l. estendendo alla terza chiamata in causa tutte le domande già formulate nei confronti della originaria convenuta.

2. Il giudice di primo grado respinse la domanda del M., ad eccezione della pretesa relativa al tfr e la domanda riconvenzionale della società.

3. La decisione, appellata dal solo M., è stata confermata dalla Corte di appello di Napoli la quale ha respinto l’impugnazione del dipendente osservando che: a) la eccezione di tardività della contestazione disciplinare era infondata in quanto la complessità della vicenda, generata dalla conoscenza del ruolo attivo rivestito da un dirigente apicale quale il M. nella bancarotta fraudolenta in danno di AIP s.r.l., società con cui il Comune di Napoli aveva costituito Elpis s.r.l., obbligava la società datrice ad attente e preliminari verifiche come da espressa riserva formulata all’atto della sospensione cautelare del rapporto di lavoro; b) nel merito, il M. non aveva preso posizione sugli addebiti limitandosi ad evidenziare che i fatti dovevano essere accertati dalla magistratura; c) il coinvolgimento di un dirigente apicale in una vicenda di oggettiva gravità, comportante la sottoposizione a procedimento penale per peculato e bancarotta verso un soggetto a proprietà pubblica, implicava una compromissione del vincolo fiduciario che nulla aveva a che vedere con la invocata presunzione di innocenza rilevante in sede penale; d) la peculiarità e la enormità del fatto rendevano del tutto inverosimile la tesi attorea del licenziamento ispirato a motivo illecito determinante; e) la legittimità del licenziamento comportava il rigetto della domanda di condanna alle varie indennità richieste; f) era legittima la riduzione della retribuzione lorda percepita conseguente alla modifica dell’assetto societario della Elpis (divenuta interamente partecipata dal Comune di Napoli) in quanto tale modifica aveva comportato la soppressione della figura del Direttore Generale rivestita dal M.; a questi era stata attribuita la qualifica di dirigente “semplice” con riconoscimento di un trattamento economico rapportato a quello spettante al dirigente di pari anzianità del Comune di Napoli; g) infine, non spettava la retribuzione per il periodo nel quale il M. era stato sottoposto agli arresti domiciliari alla luce del disposto dell’art. 23 c.c.n.l., disposizione avente la finalità – non ricorrente nello specifico – di tutelare il dirigente chiamato a rispondere di fatti penali nell’adempimento dei propri doveri.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.G.P. sulla base di dieci motivi; Napoli Servizi s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso; l’intimata Elpis s.r.l. in liquidazione non ha svolto attività difensiva; parte ricorrente ha depositato memoria in relazione alla adunanza camerale del 10 marzo 2021 fissata per la trattazione della presente causa, adunanza all’esito della quale, stante il rilievo nomofilattico di alcune delle questioni oggetto del ricorso, è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e degli artt. 1175 e 1375 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere respinto la eccezione di tardività della contestazione disciplinare; evidenzia che la società datrice, sulla quale ricadeva il relativo onere, non aveva dimostrato la necessità di svolgere specifici accertamenti nel periodo decorrente dalla data – 20 giugno 2021 – del decreto di perquisizione e sequestro adottato nei confronti del M. nell’ambito del procedimento penale alla lettera di contestazione di addebito disciplinare del 13 ottobre 2011.

2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di fatto controverso e decisivo rappresentato dalla circostanza che il procedimento disciplinare era stato avviato a distanza di circa quattro mesi dalla notifica del decreto di perquisizione e sequestro senza considerare la intervenuta revoca – il 29 settembre 2011 – della misura cautelare degli arresti domiciliari.

3. Con il terzo e quarto motivo di ricorso, illustrati congiuntamente, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 2119 c.c., censurando la sentenza impugnata in quanto adottata in violazione del criterio di riparto dell’onere della prova in tema di fatti giustificativi del licenziamento, onere pacificamente ricadente sulla parte datrice di lavoro; il giudice di appello, inoltre, nel pervenire all’affermazione della responsabilità del M. aveva trascurato di esaminare le giustificazioni addotte dal lavoratore in sede disciplinare nonché quanto da questi rappresentato e documentato nei propri scritti difensivi in ordine alle accuse oggetto di addebito in sede penale.

4. Con il quinto ed il sesto motivo di ricorso, illustrati congiuntamente, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1375,2104 e 2119 c.c., e motivazione apparente e/o inesistente in relazione alla ritenuta sussistenza della giusta causa di licenziamento. Assume che in violazione del percetto di cui all’art. 2119 c.c., la Corte distrettuale aveva mostrato di conferire rilievo al solo fatto oggettivo dell’assoggettamento del M. a procedimento penale; né poteva tenersi conto del riferimento alla condanna per alcuni reati emerso in sede di discussione orale in quanto la legittimità del licenziamento doveva essere verificata al momento della relativa irrogazione e con vaglio critico degli specifici riflessi sul piano del rapporto di lavoro di quanto emerso in sede penale; tanto in ragione dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale; la Corte territoriale era altresì incorsa in apparenza di motivazione essendosi limitata ad indicare le fonti di prova senza alcuna valutazione critica ed argomentata degli elementi acquisiti.

5. Con il settimo motivo deduce motivazione omessa o apparente in ordine al mancato riconoscimento del trattamento di miglior favore contrattualmente stabilito fra le parti nella lettera di assunzione; denunzia a riguardo omesso esame di un fatto controverso e decisivo e “in alternativa” denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronunzia sulla relativa domanda.

6. Con l’ottavo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 e 2103 c.c. in tema di divieto di riduzione unilaterale della retribuzione e violazione della D.L. n. 112 del 2008, art. 18, censurando la sentenza impugnata per avere affermato, in contrasto con le norme richiamate, la legittimità della riduzione unilaterale della retribuzione da parte della società datrice sul rilievo della modifica della compagine societaria della Elpis s.r.l. divenuta interamente partecipata dal Comune di Napoli e della soppressione della figura del Direttore Generale rivestita all’epoca dal M..

7. Con il nono motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 7, c.c.n.l. dirigenti Aziende terziario censurando la sentenza impugnata per avere respinto la domanda d condanna alle retribuzioni relative al periodo di sospensione cautelare, pacificamente non erogate. Contesta che, come ritenuto dal giudice di appello, le parti collettive con tale previsione avessero inteso tutelare esclusivamente il dirigente chiamato a rispondere penalmente in connessione all’adempimento dei propri doveri e sostiene che, in ogni caso, il procedimento penale concerneva condotte commesse nell’esercizio dell’attività lavorativa.

8. Con il decimo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia sulla richiesta di pagamento delle differenze retributive maturate dalla contestazione disciplinare al licenziamento, delle competenze di fine rapporto, del saldo sul tfr, degli aumenti contrattuali, domande la cui decisione non poteva ritenersi assorbita dalla pronunzia sul licenziamento.

9. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione presentano un profilo di inammissibilità derivante dalla incompleta esposizione del fatto processuale e della mancata trascrizione o esposizione per riassunto del contenuto dei documenti alla base delle censure articolate (lettera di contestazione disciplinare e decreto di perquisizione e sequestro), in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, adempimenti indispensabili a dare contezza del presupposto alla base delle doglianze sviluppate e cioè il rapporto temporale fra la lettera di contestazione e il decreto di perquisizione e sequestro del procedimento penale, rapporto non desumibile dalla sentenza impugnata che invece pone in relazione la sospensione cautelare con la sottoposizione del M. alla misura degli arresti domiciliari (sentenza, pag. 2).

8.1. E’ inoltre da rimarcare che secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità il requisito della immediatezza della contestazione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, fatto costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze è riservata al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (v. tra le altre, Cass. n. 16841 del 2018; Cass. n. 281 del 2016; Cass. n. 15649 del 2010). Nel caso di specie, il giudice di merito ha fatto riferimento alla complessità della vicenda ed alla necessità di attente e preliminari verifiche da parte della società datrice che già all’atto della sospensione si era riservata di attivare il procedimento disciplinare in relazione a quelli che sarebbero stati gli esiti dei successivi sviluppi e approfondimenti; tale motivazione appare del tutto congrua e logica se si considerano da un lato la obiettiva difficoltà di accertamento dei plurimi illeciti di natura penale dai quali è originata la contestazione disciplinare e dall’altro la cautela richiesta dal fatto che i presunti illeciti investivano una figura dirigenziale di spicco nell’ambito della società e che, comunque, il lasso temporale tra la presumibile conoscenza dei fatti in coincidenza con la sospensione cautelare e la lettera di contestazione disciplinare era limitato a pochi mesi.

9. Il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, trattati congiuntamente per reciproca connessione, sono fondati.

9.1. Il giudice di appello ha confermato la legittimità del licenziamento sulla considerazione che nel merito degli addebiti il M. non aveva preso posizione limitandosi ad evidenziare che i fatti dovevano essere accertati dalla magistratura, che il coinvolgimento di un dirigente apicale in una vicenda di oggettiva gravità, comportante la sottoposizione a procedimento penale per peculato e bancarotta verso un soggetto a proprietà pubblica, assumeva rilevanza giuslavoristica di compromissione del vincolo fiduciario che prescindeva dalla presunzione penale di innocenza fino a prova contraria, che nella specie il licenziamento era stato irrogato in conseguenza del ” contestato” ruolo attivo e consapevole nella condotta di appropriazione di risorse spettanti alla Elpis ovvero al Comune di Napoli.

9.2. La Corte distrettuale in tal modo ha mostrato di fondare l’accertamento dei fatti oggetto di addebito disciplinare (neppure specificamente individuati in sentenza) sul solo tenore della difesa spiegata dal M. la quale, peraltro, nei termini in cui è riportata in sentenza non si presta ad essere interpretata come ammissione dei fatti medesimi; le argomentazioni che sorreggono la decisione non recano in realtà alcuno specifico concreto accertamento dei fatti contestati in via disciplinare ma mostrano di ancorare la responsabilità del dirigente al solo fatto oggettivo del “coinvolgimento” del M. in un’indagine penale e ciò a prescindere dalla stessa verifica in tale sede o in sede disciplinare della sussistenza e riferibilità degli illeciti ascritti; per come pacifico, infatti, all’epoca del recesso datoriale non era intervenuta alcuna sentenza di condanna penale; né tale accertamento può ritenersi sostenuto dal riferimento alle condanne per alcuni dei reati, riferimento emerso in sede di discussione orale, in quanto le condizioni di legittimità del licenziamento devono essere sussistenti all’epoca della relativa irrogazione e non verificate in relazione a circostanze sopravvenute.

9.3. Le ragioni alla base del decisum rendono la decisione affetta da plurimi errori di diritto; in primo luogo, come osservato, essa risulta fondata su un sostanziale travisamento del criterio di distribuzione dell’onere della prova il quale, ai sensi dell’art. 2697 c.c., e dalla L. n. 604 del 1966, art. 5, grava sul datore di lavoro: è questi che deve offrire dimostrazione delle condotte oggetto di addebito nei loro profili oggettivi e soggettivi e del relativo rilievo disciplinare sotto il profilo della idoneità delle stesse a determinare la lesione del vincolo fiduciario (Cass. 7830 del 2018; Cass. n. 17108 del 2016; Cass. n. 19189 del 2013; Cass. n. 17337 del 2013; Cass. n. 2988 del 2011; Cass. n. 16213 del 2003); in secondo luogo, è stato violato il principio per cui il recesso datoriale deve essere “giustificato”; la “giusta causa” rilevante sul piano disciplinare ex art. 2119 c.c., postula, infatti, il concreto accertamento delle condotte contestate, considerate nel loro aspetto oggettivo e soggettivo, accertamento che costituisce l’indispensabile substrato fattuale al quale rapportare la verifica della idoneità lesiva del vincolo fiduciario dell’addebito contestato; in questa prospettiva, il dato oggettivo, valorizzato in sentenza, del mero ” coinvolgimento” del lavoratore in un’indagine penale, sia pure per fatti di rilevante gravità come il peculato e la bancarotta fraudolenta, non dà specifica contezza sia della mancanza colpevole della quale il lavoratore può essere chiamato a rispondere disciplinarmente sia del concreto ruolo svolto dal dirigente nella vicenda e quindi della riferibilità allo stesso delle condotte oggetto di addebito. Come chiarito da questa Corte, il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, di cui all’art. 27 Cost., comma 2, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore suscettibile di integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, neppure nel caso in cui il c.c.n.l. preveda la più grave sanzione espulsiva solo in tale circostanza. Ne consegue che il giudice, davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare, intimato a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore, per gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario – ancorché non commessi nello svolgimento del rapporto -, non può limitarsi alla valutazione del dato oggettivo del rinvio a giudizio, ma deve accertare l’effettiva sussistenza dei fatti contestati e la loro idoneità, per i profili soggettivi ed oggettivi, a supportare la massima sanzione disciplinare (Cass. n. 18513 del 2016). Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale, né la mancata attivazione del processo penale per il medesimo fatto addebitato, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso (Cass. n. 21549 del 2019; Cass. n. 37 del 2011).

10. In base alle considerazioni che precedono si impone la cassazione in parte qua della decisione con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione per la rivalutazione dei presupposti giustificativi del licenziamento alla luce dei principi richiamati.

11. L’esame del settimo motivo di ricorso, incentrato sul diritto alla somma pattuita in sede di assunzione per l’ipotesi di recesso datoriale, è assorbito dall’accoglimento dei motivi precedenti.

12. L’ottavo motivo di ricorso è fondato.

12.1. Preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di inammissibilità del motivo ancorata dalla parte controricorrente alla mancata trascrizione in ricorso, in asserita violazione del principio di autosufficienza, della lettera di assunzione con la previsione del trattamento economico convenuto.

12.2. Invero, il motivo in esame non può ritenersi propriamente “fondato” ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, su tale documento non essendo in discussione, siccome risultante dalla medesima sentenza impugnata, che in sede di assunzione venne concordato un determinato trattamento economico in seguito unilateralmente ridotto dalla società datrice; la trascrizione del documento quindi non era necessaria al fine della questione, di mero diritto, posta dal motivo in esame, rappresentata dalla verifica della legittimità della condotta datoriale alla luce della sopravvenuta modifica della originaria compagine sociale per effetto dell’assunzione della totale partecipazione di Elpis s.r.l. da parte dell’ente pubblico locale. Il tema che si pone e’, infatti, se il fondamentale principio di irriducibilità della retribuzione ex art. 2103 c.c., (in disparte le questioni poste dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 23, non applicabile ratione temporis) diventi recessivo per la “preminenza” del profilo pubblicistico scaturente dalla acquisizione della intera partecipazione societaria di Epis s.r.l. da parte di un soggetto pubblico nello specifico rappresentato dal Comune di Napoli.

12.3. La soluzione della questione deve necessariamente muovere dalla fondamentale indicazione delle Sezioni Unite di questa Corte le quali, chiamate a pronunciare in tema di società partecipate sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno, in estrema sintesi, affermato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le altre, Cass. Sez. Un. 24591 del /2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. Sez. Un. 7759 del 2017).

12.4. Detta ricostruzione sistematica è stata fatta propria dal legislatore trovando la sua codificazione nel D.Lgs. n. 165 del 2016, art. 1, comma 3, (Testo Unico delle società a partecipazione pubblica) nel quale è previsto che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato.”. Quanto ai rapporti di lavoro l’art. 19 richiama al comma 1 “le disposizioni del capo I, 42 titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi” facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto come ad es. avviene in tema di reclutamento del personale (art. 19, comma 2, T.U. cit.).

12.5. Tanto premesso, si osserva che nell’ambito del rapporto di lavoro di diritto privato, in relazione alla disciplina all’epoca vigente, trovava piena esplicazione il principio di irriducibilità della retribuzione (successivamente eroso nella sua pienezza dalla modifica all’art. 2103 c.c., introdotta dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 3), desumibile anche dall’art. 36 Cost., (Cass. n. 20310 del 2008), il quale, alla luce dell’art. 2103 c.c., nel testo all’epoca vigente, implicava che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non fosse riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e sanzionava con la nullità ogni patto contrario, salvo che, in caso di legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello ius variandi; la garanzia della irriducibilità della retribuzione si estendeva alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche, essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa (Cass. n. 4055 del 2008); tale garanzia operava anche in fattispecie nelle quali in sede di patto individuale era stata concordata una retribuzione più favorevole rispetto a quella prevista dal contratto collettivo (Cass. n. 1421 del 2007). In tema di rapporto di lavoro pubblico la irriducibilità della retribuzione è stata affermata, con indirizzo consolidato di questa Corte, in fattispecie di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra; in questi casi si è stabilito il mantenimento del trattamento economico collegato al complessivo ‘status’ posseduto dal dipendente prima del trasferimento, fermo restando il limite del riassorbimento in occasione di miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento, dovendosi contemperare, in assenza di una specifica previsione normativa, il principio di irriducibilità della retribuzione, con quello di parità di trattamento dei dipendenti pubblici stabilito dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 45, (Cass. n. 169 del 2017, Cass. n. 24949 del 2014; Cass. n. 23366 del 2013).

12.6. in base a tutto quanto osservato deve ritenersi che il principio di irriducibilità della retribuzione continua a rappresentare, per le sue implicazioni costituzionali (per le quali v. Cass. 20310/2008 cit.), un principio fondamentale che governa il rapporto di lavoro anche dopo la modifica all’art. 2013 c.c., ad opera del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 3, in quanto con tale modifica la possibilità di una riduzione del trattamento retributivo a fronte di una modifica delle mansioni è stata consentita, in presenza di determinati presupposti, solo sulla base di accordo individuale nelle sedi qualificate di cui all’art. 2113 c.c., comma 4.

12.7. Le considerazioni che precedono orientano nella soluzione della concreta fattispecie nel senso che la garanzia della irriducibilità doveva ritenersi operante anche in relazione al rapporto di lavoro del M. e precludeva alla datrice di lavoro Elpis s.r.l. la facoltà di riduzione unilaterale della retribuzione concordata in sede di contratto individuale.

12.8. Ne’ tale modifica poteva ritenersi consentita, come sembra opinare la Corte di merito, sulla base del disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, convertito in L. n. 133 del 2008 in tema di società a partecipazione pubblica.

12.9. Nel testo applicabile ratione temporis la disposizione in esame risultava, infatti, incentrata essenzialmente, sulla definizione delle modalità di reclutamento del personale in relazione al quale la L. n. 102 del 2009, di conversione del D.L. n. 78 del 2009, al comma 1, aveva esteso alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 3, e il comma 2, prescritto alle “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”. Il comma 2 bis, prevedeva, inoltre, che “le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 5”.

12.10. Per quanto concerne il tema del trattamento economico, riferito sia al personale dipendente sia ai collaboratori della società partecipata, nel testo all’epoca vigente dell’art. 18 cit., l’unico riferimento che si coglie è nella previsione secondo la quale “Le predette società adeguano inoltre le proprie politiche di personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze….”.

12.11. La disposizione in esame, per la parte di interesse, si limita quindi a dettare alle società a partecipazione pubblica una mera regola di condotta imponendo alle stesse l’adeguamento nelle politiche del personale alle disposizioni vigenti per le società controllanti; la ampiezza e genericità della espressioni utilizzate, “adegua” “politiche del personale”, per definire l’obbligo della società a partecipazione pubblica, la mancata previsione di una specifica sanzione connessa all’inosservanza della disposizione da parte dei soggetti destinatari, conferiscono alla disposizione in esame una valenza meramente programmatica che ne esclude ogni diretta ed immediata incidenza sul trattamento economico applicato al personale dipendente dalla società partecipata.

12.12. La interpretazione qui condivisa del testo del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, convertito in L. n. 133 del 2008, vigente all’epoca, trova significativa conferma nelle modifiche apportate all’art. 18 cit., comma 2 bis, ad opera della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 557, invocato dal controricorrente, ma non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.

Il testo modificato dell’art. 18 cit., comma 2 bis, così recita: “2-bis. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società’ a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività’ nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 5. Si applicano, altresì, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti medesimi della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria.

A tal fine, su atto di indirizzo dell’ente controllante, nella contrattazione di secondo livello è stabilita la concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria, fermo restando il contratto nazionale di lavoro vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Fermo restando quanto previsto dall’art. 76, comma 7, del presente decreto, le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall’applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo. Per queste società, l’ente locale controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, stabilisce modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno adottate con propri provvedimenti. Fermo restando quanto previsto dall’art. 76, comma 7, del presente decreto, gli enti locali di riferimento possono escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime limitativo le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo restando l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale”.

12.13. Dal testo dell’art. 18 modificato, ora richiamato, si evince che il legislatore del 2013, in termini volutamente più incisivi e stringenti rispetto alla previsione di mero adeguamento delle politiche del personale dell’amministrazione controllante contemplata nella versione precedente dell’art. 18 cit., comma 2 bis, stabilisce direttamente la applicabilità delle disposizioni che pongono a carico delle pubbliche amministrazioni locali obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva mediante misure di estensione al personale delle società a partecipazione pubblica; anche in questo caso tuttavia lo specifico meccanismo prefigurato dalla norma (atto di indirizzo dell’ente controllante-concreta applicazione dei vincoli alla retribuzione individuale ed alla retribuzione accessoria in sede di contrattazione di secondo livello) non consente di ritenere possibile per la società partecipata di intervenire, al di fuori di esso, in assenza quindi di un atto di indirizzo dell’ente controllante e di un recepimento nel contratto di secondo livello, sui trattamenti economici in essere dei propri dipendenti.

12.14 Tanto costituisce indiretta conferma della correttezza della soluzione qui adottata nel senso della inconfigurabilità di una previsione desinata ad operare direttamente (mediante un meccanismo sostitutivo ex art. 1419 c.c., comma 2, del trattamento retributivo concordato in sede di pattuizione individuale, quale effetto della nullità (sopravvenuta) per violazione di norma imperativa) sul singolo rapporto di lavoro in essere tra la società partecipata ed il proprio dipendente.

12.15. La sentenza impugnata non si è conformata ai principi sopra richiamati per cui si impone la cassazione con rinvio nella parte investita dal motivo in oggetto.

13. Il nono motivo di ricorso è infondato.

13.1. L’art. 23 c.c.n.l. contratto collettivo Aziende Terziario così recita. ” Nei casi in cui le norme di legge o di regolamento attribuiscano al dirigente specifiche responsabilità civili, penali e erariali, egli deve disporre dei poteri effettivi e dell’autonomia decisionale necessari per agire secondo le prescrizioni di tali norme. Le responsabilità e le conseguenze di natura civile verso terzi, causate da violazioni delle norme suddette, commesse dal dirigente nell’esercizio delle sue funzioni, sono a carico del datore di lavoro. In caso di procedimento penale di ogni grado a carico di un dirigente, per fatti relativi alle sue funzioni e responsabilità, tutte le spese e gli eventuali oneri sono a carico del datore di lavoro, comprese quelle di assistenza legale. La scelta del difensore, ove non sia concordata tra le parti, spetta al datore di lavoro, ma il dirigente avrà sempre facoltà di farsi altresì assistere da un legale di propria fiducia con onere a carico del datore di lavoro stesso. Il rinvio a giudizio del dirigente per fatti attinenti all’esercizio delle funzioni attribuitegli non giustifica, di per sé, il licenziamento. Le garanzie e le tutele di cui sopra si applicano anche posteriormente alla cessazione del rapporto di lavoro e possono essere assicurate anche attraverso la stipula di apposita polizza, con onere a totale carico dell’azienda. In caso di privazione della libertà personale il dirigente avrà diritto alla conservazione del posto con corresponsione della retribuzione di fatto. Le garanzie e le tutele di cui ai commi precedenti sono escluse nei casi di dolo o colpa grave del dirigente, accertati con sentenza passata in giudicato”.

13.2. E’ da condividere la interpretazione del giudice di appello, coerente con il tenore letterale della previsione secondo la quale il I complesso delle tutele e garanzie apprestate dalla norma collettiva è riconosciuto solo nella ipotesi in cui il dirigente sia chiamato a rispondere di fatti penali commessi nell’ambito dei doveri legati al ruolo svolto. In tal senso è dirimente il testuale riferimento alle responsabilità e conseguenze scaturite verso terzi per fatti relativi alle funzioni connesse all’esercizio da parte del dirigente delle funzioni che gli sono proprie; tale interpretazione appare come più persuasiva anche da un punto di vista logico in quanto in presenza di condotte di rilievo penale, estranee all’esercizio delle specifiche funzioni dirigenziali (o addirittura in contrasto con il corretto esercizio di esse), sarebbe incongruo che la parte datoriale si facesse carico di tutti gli obblighi scaturenti dalla previsione collettiva.

14. Il decimo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità; dalla esposizione del fatto processuale non emerge che le domande in relazione alle quali si lamenta la omessa pronunzia siano state coltivate anche in appello. Trova pertanto applicazione il consolidato orientamento di questa Corte, che richiede, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione; ciò in quanto ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 2014, Cass. n. 21226 del 2010; Cass. n. 6361 del 2007).

15. In conclusione, in parziale accoglimento del ricorso, devono essere accolti il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e l’ottavo motivo, assorbito il settimo e respinti gli altri e la sentenza cassata con rinvio in relazione ai motivi accolti.

16. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e l’ottavo motivo di ricorso, assorbito il settimo e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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