Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34710 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26596/2012 R.G. proposto da:

BARGA SRL IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea

Mifsud, elettivamente domiciliato in Roma, via della Ferratella in

Laterano, n. 33, presso lo studio dell’avv. Aurora Spaccatrosi.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente con atto di costituzione –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 8, n. 71/08/12, pronunciata il 6/06/2012,

depositata il 13/06/2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

Barga Srl impugnò innanzi alla CTP di Milano l’avviso di accertamento (notificato il 18/07/2009) che recuperava a tassazione, per il periodo d’imposta 2004, maggiore IRES, per Euro 228.637,00 (e irrogava identica sanzione);

era accaduto che, in data 26/02/2004, erano stati risolti due contratti di associazione in partecipazione, stipulati dalla società (il primo) con F.L. (che apportava alla società Euro 129.114,00, fino al 22/12/2004, verso una partecipazione agli utili del 50%), e (il secondo) con la società Profil. Mec (che apportava all’associante Euro 361.519,82, fino al 31/12/2004, verso una partecipazione agli utili del 75%);

a causa dell’alta partecipazione agli utili prevista dagli stessi contratti, della mancata effettiva corresponsione degli utili e della mancata restituzione delle somme apportate, l’ufficio aveva ritenuto che i contratti fossero stati conclusi, con intento elusivo, al fine di permettere alla società di dedurre detti utili dalla base imponibile (come consentito dall’art. 62, comma 4, TUIR, ratione temporis vigente), anche perchè, nell’esercizio 2005, i debiti della società (in seguito ad una serie di successioni nella posizione dell’associato) erano stati trasformati in debiti infruttiferi verso i soci e non erano mai stati estinti, sicchè gli utili dedotti e i capitali apportati (nelle precedenti annualità) venivano considerati come sopravvenienze attive, maturate nel 2004, e come tali erano recuperati a tassazione, come disposto dall’art. 88 TUIR;

la CTP di Milano, con la sentenza n. 11/2011, respinse il ricorso;

la CTR della Lombardia, con la sentenza menzionata in epigrafe, nel contraddittorio dell’Agenzia, ha rigettato l’appello della contribuente, sul rilievo che i due contratti di associazione in partecipazione avevano uno scopo puramente elusivo ed erano privi di giustificazione economica e che, conseguentemente, i debiti iscritti in bilancio, per gli utili e per il capitale, erano fittizi;

il giudice d’appello, in definitiva, ha qualificato come legittimo l’operato dell’ufficio che: “ha ripreso a tassazione tali esposizioni fiscalmente non esistenti e correttamente lo ha fatto per l’anno 2004 considerato che esse nei bilanci di tale anno ancora non risultavano esposte e che la inesistenza dei debiti è venuta alla luce, sopravvenuta, proprio in quell’anno allorchè con la risoluzione dei contratti insorgeva formalmente, ma non sostanzialmente, l’obbligo di restituzione delle somme per capitale non ricevute e della distribuzione degli utili non versati in precedente.” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);

la contribuente ricorre per la cassazione, sulla base di tre motivi; l’Agenzia delle entrate resiste con atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo del ricorso, rubricato: “Primo mezzo: violazione e/o errata e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 62 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, la ricorrente censura la sentenza impugnata: a) per omessa motivazione sul significato del concetto di sopravvenienza attiva, disciplinata dall’art. 88 TUIR; b) per avere riconosciuto che, nel 2004, le esposizioni debitorie della società nei confronti degli associati esistevano ancora, salvo poi affermare contraddittoriamente che, nello stesso esercizio, i medesimi importi erano qualificabili come sopravvenienze attive, le quali, invece, presuppongono l’estinzione dell’obbligazione per causa diversa dall’adempimento e la cancellazione della passività dal bilancio; c) per la sua intrinseca contraddittorietà in quanto, muovendo dall’assunto che i contratti in esame fossero fittizi, i costi e le passività iscritte avrebbero dovuto essere considerati come insussistenti ab origine e non come sopravvenienze attive; d) per avere, quindi, erroneamente ritenuto esistente la fattispecie dell’art. 88, TUIR, cit.; e) per avere violato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, in forza del quale gli atti impositivi debbono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 del mese di dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nella specie, posto che l’avviso era stato notificato il 18/07/2009, l’ente impositore era ormai decaduto dal potere di contestare, per ciascuno degli esercizi anteriori al 2004, il supposto (ma in realtà inesistente) rimborso del capitale apportato dagli associanti; f) infine, per non avere fatto corretta applicazione dell’art. 2697 c.c., avendo ritenuto legittima la ripresa fiscale in assenza della dimostrazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, gravata del relativo onere, che la società avesse effettivamente dedotto dal reddito, in alcuna delle annualità anteriori al 2004, il capitale e gli utili spettanti agli associati in partecipazione;

1.1. il complesso motivo, nelle sue diverse articolazioni, è fondato;

è opportuno comporre il quadro normativo di riferimento;

l’art. 62 (sotto la rubrica “Spese per prestazioni di lavoro”), TUIR, nel testo in vigore fino al 31/12/2003 (prima dell’entrata in vigore, in data 1/01/2004, del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), al comma 4, disponeva che: “Le partecipazioni agli utili spettanti ai lavoratori dipendenti e agli associati in partecipazione sono computate in diminuzione del reddito dell’esercizio di competenza, indipendentemente dalla imputazione al conto dei profitti e delle perdite.”;

l’art. 88, TUIR (attualmente in vigore), sulle sopravvenienze attive, al comma 1, stabilisce che: “Si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonchè la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.”;

la sentenza impugnata, da un canto, ha ravvisato il carattere fittizio dei due contratti di associazione in partecipazione, sulla base dell’accertamento di fatto, per il quale non era stata data alcuna prova e addirittura alcuna indicazione della movimentazione delle somme apportate dagli associati e dei loro rimborsi; d’altro canto, ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione, ex art. 88 TUIR – come sopravvenienze attive -, dei medesimi importi (capitali apportati e utili), esposti nel bilancio 2004, in quanto, nello stesso anno, per effetto della risoluzione dei contratti (di associazione in partecipazione), nasceva l’obbligo di restituzione dei capitali, non ricevuti, e di distribuzione degli utili, non versati in precedenza;

la statuizione del giudice d’appello si è discostata dall’indirizzo della Corte, al quale s’intende aderire, secondo cui: “In tema d’imposte sui redditi di impresa, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55 (attuale art. 88) qualifica come sopravvenienza attiva da iscrivere in bilancio anche la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in precedenti esercizi, ovvero esistenti al momento della loro iscrizione e poi venute meno per fatti sopravvenuti, ipotesi da tenersi distinta rispetto alla passività fittizia, cioè inesistente, che come tale non può essere equiparata alle altre passività iscritte nei precedenti esercizi in quanto essa rileva al momento della sua eliminazione per decisione discrezionale del contribuente.” (Cass. 2/08/2017, n. 19219; vedi anche: Cass. 14/12/2018, n. 32433, secondo cui, in tema di redditi di impresa, per attività (o passività) fittizie devono intendersi le rappresentazioni contabili false sin dal momento della loro iscrizione in bilancio);

in altri termini, la commissione regionale ha errato laddove ha qualificato come sopravvenienze attive – recuperabili nell’esercizio 2004 costi dedotti e passività iscritte (per utili riconosciuti agli associati e per il capitale dai medesimi apportato), registrati nei bilanci precedenti, dopo avere affermato l’insussistenza ab origine dei medesimi costi e passività, in ragione dell’originaria fittizietà dei contratti in associazione che li prevedevano;

tali considerazioni, assorbenti rispetto agli altri profili critici sollevati dalla contribuente, conducono ad affermare che: “In tema di imposte sui redditi di impresa, la sopravvenienza attiva, di cui all’art. 88 TUIR (già art. 55), si realizza quando viene meno una passività effettivamente esistente e non in presenza di una passività fittizia, ossia della originaria insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.”;

2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 53 Cost., la ricorrente censura la sentenza impugnata in quanto, considerando legittima la ripresa fiscale, ha assoggettato a tassazione non un reddito effettivamente prodotto, ma attività che non rivelavano alcuna capacità contributiva;

2.1. il motivo è inammissibile;

per giurisprudenza pacifica e condivisibile di questa Corte (Cass. 15/06/2018, n. 15879; conf.: 17/02/2014, n. 3708/2014), non è consentito fare valere, direttamente, con il motivo di ricorso per cassazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di norme costituzionali in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata;

3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “vizio di motivazione – erronea valutazione delle risultanze di causa – omesso esame di documenti decisivi”, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere completamente omesso l’esame della documentazione versata in atti dall’appellante (mastrini e estratti conto della società) che dimostravano, inequivocabilmente, che la contribuente, negli anni successivi all’accertamento fiscale, aveva estinto i debiti nei confronti degli associati, corrispondendo loro gli utili maturati e rimborsando loro il capitale apportato, quali aspetti che, ove fossero stati adeguatamente ponderati, avrebbero potuto condurre la CTR ad una conclusione diversa in punto di ravvisato carattere fittizio dei contratti di associazione in partecipazione e di ripresa a tassazione di importi (erroneamente) qualificati come sopravvenienze attive;

3.1. il motivo è inammissibile;

sotto l’egida del vizio dello sviluppo argomentativo della decisione, si prospetta una diversa ricostruzione in fatto della vicenda, che si regge su talune risultanze documentali che sarebbero state ignorate dalla commissione regionale;

al riguardo, è utile rammentare il radicato indirizzo della Corte, al quale il Collegio aderisce, in difetto di ragioni ostative desumibili dal ricorso della società, per il quale: “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.” (Cass. 10/06/2016, n. 11892);

4. accolto il primo motivo, inammissibili il secondo e il terzo, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, che riesaminerà la controversia attenendosi al principio di diritto enunciato (p. 1.) sulla definizione di “sopravvenienze attive”, attive”, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo, cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto, rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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