Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34709 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25393/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE SAN ZIO SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Marco

Miccinesi e dall’avv. Francesco Pistolesi, elettivamente domiciliata

in Roma, via Cola di Rienzo, n. 180, presso lo studio dell’avv.

Paolo Fiorilli.

– controricorrente, ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, sezione n. 9, n. 65/09/12, pronunciata l’8/06/2012,

depositata il 6/07/2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

Immobiliare San Zio Srl, con sede legale in Montecatini Terme, esercente l’attività di acquisto, vendita e gestione di immobili, impugnò, con distinti ricorsi, innanzi alla CTP di Pistoia, alcuni avvisi di accertamenti, che recuperavano a tassazione IRES, IRAP, IVA, per le annualità 2003, 2004, 2005, ricavi non dichiarati e costi indeducibili (indebita variazione in aumento e in diminuzione del reddito, per disconoscimento della deduzione forfetaria del 15% sugli affitti; maggiori ricavi derivanti dalla vendita di immobili, maggiori ricavi derivanti dall’affitto del cespite denominato “(OMISSIS)”, indebita deduzione di componente negativo di reddito), e il giudice di primo grado, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 86/2010, in loro parziale accoglimento, annullò gli atti impositivi e (testualmente) dispose la debenza di importo complessivo di Euro 180.000,00;

ciascuna parte ha impugnato i capi della pronuncia di rispettiva soccombenza e la CTR della Toscana, con la sentenza menzionata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha annullato gli accertamenti, ad eccezione del rilievo relativo all’indebita deduzione del 15% sugli affitti degli immobili;

il giudice d’appello, in particolare, ha ritenuto che: a) l'”(OMISSIS)” è stato iscritto in bilancio tra le rimanenze come “bene merce”, che concorre alla formazione del reddito di impresa e non è un reddito fondiario; si tratta, in effetti, di un bene strumentale per natura, categoria per la quale non è prevista una deduzione del 15% sugli affitti percepiti; b) l’ufficio non ha dimostrato l’antieconomicità della locazione dell'”(OMISSIS)”, il cui canone annuo (pattuito per Euro 250.000, negli anni 2002 e 2003, per Euro 290.000, per gli anni dal 2004 al 2010) era stato iscritto a bilancio – nel biennio 2003 e 2004 – per Euro 125.000, sicchè non è giustificata la ripresa fiscale (per i medesimi esercizi) della parte dei ricavi che la società aveva rinunciato a percepire; c) è altresì illegittimo il recupero di ricavi derivanti dalla vendita sottocosto, rispetto ai valori dei beni iscritti in bilancio, di tre immobili ubicati nel comune di Empoli, poichè l’ente impositore non ha dato prova dell’antieconomicità delle operazioni, avendola dedotta esclusivamente dal disallineamento dei prezzi di vendita dai valori OMI, in considerazione dell’inattendibilità di questi ultimi e in assenza di accertamento della congruità dei valori dei cespiti registrati in bilancio e della circostanza che, effettivamente, i prezzi praticati fossero inferiori a quelli di mercato; d) quanto all’indebita deduzione di un componente negativo di reddito (Euro 64.647,53), testualmente, a giudizio della CTR, la contribuente “ha “spalmato” su cinque anni la perdita della partecipata Ecologia Valdarno Inferiore Pisano s.r.l. a termini del D.L. n. 209 del 2002. Pertanto, l’operazione è esatta, in quanto ha rappresentato una riduzione e contestuale aumento del capitale sociale della predetta partecipata.” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata);

l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati con una memoria; la società resiste con controricorso, nel quale svolge ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo del ricorso principale, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, lett. d), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (art. 2697) c.c., l’Agenzia assume che il recupero dei canoni di affitto “rinunciati” dalla contribuente nei confronti della Ecologia Valdarno Inferiore Pisano s.r.l. (propria partecipata al 99%) scaturiva dalla palese antieconomicità del comportamento della locatrice che, per gli anni d’imposta in questione, aveva ridotto i canoni senza alcuna apparente giustificazione;

addebita alla CTR di non avere considerato che è legittimo l’accertamento presuntivo di maggiore reddito, da parte dell’Amministrazione finanziaria, fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, con le quali si contesti la veridicità delle operazioni dichiarate e si recuperino i maggiori ricavi (o minori costi), determinandosi, in tale evenienza, il trasferimento sul contribuente dell’onere della prova dell’effettività e della convenienza economica dell’operazione;

2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, sempre con riferimento al rilievo relativo ai maggiori ricavi (non dichiarati) derivanti dalla locazione dell’immobile anzidetto (p. 1.), l’Agenzia censura il vizio dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, per avere negato l’antieconomicità dell’operazione, valorizzando esclusivamente la circostanza che, nei dodici anni della locazione, la società locatrice aveva recuperato l’importo pagato per l’acquisto del bene, ignorando le numerose circostanze di fatto sulle quali poggiava il rilievo di antieconomicità;

2.1. il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;

nella specie, non è chiaro se l’accertamento sia stato condotto con metodo analitico extracontabile (D.P.R. n. 60 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) o con metodo induttivo puro (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, in materia di imposte indirette), laddove il discrimine tra i due diversi metodi accertativi, secondo quanto è stato ribadito anche di recente dalla Corte (Cass. 8/03/2019, n. 6861), va ricercato rispettivamente nella “parziale od assoluta” inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, infatti, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a “completare” le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli “altri” dati contabili, con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio o delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.;

ciò premesso, sul piano dei principi di diritto, comunque, a prescindere dal metodo di accertamento adottato (analitico-induttivo o induttivo), l’apparente antieconomicità di un’operazione costituisce elemento presuntivo, della capacità contributiva non dichiarata, che libera gli accertatori da altri incombenti probatori, e determina l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare la regolarità dell’operazione, anche in relazione alla sua apparente antieconomicità (conf., con riferimento all’accertamento analitico-induttivo: Cass. 31/10/2018, n. 27804);

nel caso di specie, la CTR non è incorsa nell’errore di diritto e nel vizio di motivazione prospettati dall’Agenzia, in quanto, senza discostarsi dalle regole in tema di riparto dell’onere della prova, tra Amministrazione finanziaria e contribuente (e ciò vale ad escludere la violazione di legge), con un apprezzamento di fatto, congruamente motivato ed esente da aporie argomentative (e ciò vale ad escludere il vizio di motivazione), ha negato in radice l’inattendibilità dei canoni d’affitto dichiarati, in relazione alla locazione dell'”(OMISSIS)”, e, anzi, ha affermato che quel contratto, esaminato in termini economici rispetto alla sua intera durata (12 anni), aveva avuto effetti vantaggiosi per la società concedente che, in sostanza, aveva coperto l’intera spesa d’acquisto del bene, grazie ai canoni d’affitto complessivamente incamerati (compresi quelli ridotti, contestati dall’ufficio);

3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, con riferimento al rilievo relativo ai maggiori ricavi non dichiarati sulle vendite immobiliari, l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere superficialmente affermato l’inattendibilità dei valori OMI, senza spiegare le ragioni di un simile giudizio, e per avere negato che l’ufficio avesse accertato che i prezzi praticati non erano congrui, trascurando la scrupolosa valutazione del mercato immobiliare compiuta dall’organo di controllo e puntualmente descritta negli atti impositivi;

3.1. il motivo è fondato;

i valori OMI (come in precedenza i valori UTE) sono i normali dati di mercato desunti da uno studio statistico su una pluralità di atti negoziali registrati, al fine di estrarre un elemento numerico di valore medio mediante la rilevazione di prezzi riferibili ad immobili il più possibile omogenei;

per giurisprudenza costante della Corte, che il Collegio condivide, le valutazioni effettuate dall’OMI non possono rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell’impresa, e, ove concorrenti con altre indicazioni documentali o presuntive gravi, precise e concordanti, costituire elementi validi per la determinazione dei redditi in contestazione (Cass. 12/11/2014, n. 24054, in tema di valori UTE; conf.: 25/01/2019, n. 2155; 12/04/2017, n. 9474);

nella specie, la CTR, senza dare conto delle ragioni di un simile giudizio, ha laconicamente negato l’attendibilità dei dati OMI; inoltre, anche sotto questo aspetto incorrendo nel vizio di motivazione denunciato dall’ufficio, ha omesso di esaminare gli altri elementi oggettivi, esposti nell’atto impositivo (trascritto, nella parte d’interesse, nel ricorso per cassazione, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, desumibile dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), a cominciare dal consistente abbattimento dei prezzi di vendita dichiarati rispetto al valore degli immobili appostato in bilancio, la cui valutazione congiunta ha consentito agli accertatori di evincere (per presunzioni) il parziale occultamento dei ricavi derivanti dalla cessione dei medesimi beni;

4. con il quarto motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 61 TUIR, nella formulazione vigente ratione temporis, con riferimento ai versamenti in conto capitale a favore della partecipata Ecologia Valdarno Inferiore Pisano Srl, l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima, sul piano fiscale, la qualificazione dell’operazione come svalutazione di partecipazione che, ai sensi del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, (convertito, con modificazione, dalla L. 22 novembre 2002, n. 265), è stata considerata come un componente negativo del reddito, deducibile, in quote costanti, nell’anno in cui è iscritta e nei quattro anni successivi, laddove, invece, la stessa operazione era una spesa d’esercizio e, più specificamente, un versamento c.d. sottozero, il quale, ai sensi dell’art. 61 cit., comma 5, avrebbe dovuto essere interamente dedotto nel 2002;

4.1. il motivo è fondato;

è utile richiamare il contenuto delle due norma a confronto;

l’art. 61, comma 5, TUIR, nel testo in vigore fino al 31/12/2003 (prima dell’entrata in vigore, in data 1/01/2004, del D.Lgs. n. 344 del 2003) ed applicabile alla fattispecie in questione, in quanto relativa ad accertamento per il periodo d’imposta, sotto la rubrica “Valutazione dei titoli”, stabiliva: “L’ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società emittente, o della rinuncia ai crediti nei confronti della società stessa, si aggiunge al costo delle azioni in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria; tuttavia è consentita la deduzione dei versamenti e delle remissioni di debito effettuati a copertura di perdite per la parte che eccede il patrimonio netto della società emittente risultante dopo la copertura.”;

la disposizione, in sostanza, prevedeva che i versamenti a fondo perduto o in conto capitale fatti dai soci a favore di una propria partecipata, come anche le rinunce ai crediti nei confronti di quest’ultima, si aggiungessero al costo della partecipazione; come criterio alternativo, ammetteva altresì la deduzione immediata (dei versamenti e delle remissioni), per la parte eccedente il patrimonio netto della società partecipata risultante dopo la copertura della perdita;

ai sensi del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 1, lett. b), ai soli fini fiscali, le “minusvalenze non realizzate” relative a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono iscritte e nei quattro successivi;

per effetto dell’introduzione della deducibilità in cinque quote costanti delle svalutazioni di partecipazioni (ai sensi del n. 209/2002), si è posta la questione se la nuova disciplina valesse anche per i c.d. “versamenti sottozero”;

a giudizio della Corte, la soluzione più corretta della questione, in linea con la prassi amministrativa (circ. Agenzia delle entrate 5/02/2003, n. 7/E), è nel senso che, per tali versamenti dei soci a copertura delle perdite, continui a valere l’art. 61, comma 5, TUIR, in quanto (vedi circ. n. 7/E, cit.) tali versamenti non attengono alla valutazione del valore minimo delle partecipazioni, ma si riferiscono a perdite che vanno oltre lo zero; sul piano tecnico, questi oneri costituiscono una spesa d’esercizio, e non una svalutazione, la cui deducibilità è subordinata all’effettivo ripiano del sottozero da parte dei soci;

nel caso di specie, come si evince dalla narrativa del ricorso per cassazione, nell’esercizio 2002, la contribuente, a copertura delle perdite della partecipata Ecologia Valdarno Inferiore Pisano Srl, effettuò versamenti in conto capitale che determinarono l’azzeramento del capitale (negativo) e la ricostituzione del capitale della partecipata;

in base alle precedenti considerazioni, la CTR, laddove, con motivazione assertiva, ha ritenuto legittima la deduzione in cinque quote costanti della perdita della società partecipata, ha erroneamente sussunto la fattispecie concreta nel D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 1, lett. b), anzichè nell’art. 61, comma 5, TUIR, che è la sola (delle due norme) che le si addice;

5. con l’unico motivo del ricorso incidentale, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 37,40 e 57, TUIR, nel testo vigente ratione temporis (attuali artt. 40, 43, 90), la contribuente premette che la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento che disconosceva la deduzione del 15% sui canoni di locazione dell'”(OMISSIS)” sul presupposto che esso fosse un bene strumentale per natura (ai sensi dell’art. 43, comma 2, TUIR), non produttivo di reddito fondiario, categoria in relazione alla quale non compete detta deduzione del 15%, anche ove il bene strumentale sia concesso in locazione;

imputa alla CTR di non essersi uniformata al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ribadito dalla prassi amministrativa, per il quale la nozione di “bene strumentale” deve essere intesa restrittivamente, includendovi gli immobili che abbiano come unica destinazione quella di essere direttamente impiegati nell’espletamento delle attività imprenditoriali, sì da non essere idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti;

5.1. il motivo è inammissibile;

sotto le sembianze dell’errore di diritto, la contribuente espone una diversa rappresentazione dei fatti di causa e, in particolare, che l’immobile in questione fosse produttivo di reddito fondiario e che, quindi, in relazione ad esso, si applicasse la deduzione del 15% del canone annuo di locazione (ai sensi dell’art. 57, TUIR (attuale art. 90));

la CTR, però, con un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità (se non sotto il diverso profilo del vizio di motivazione, che, nella specie, non è stato dedotto), ha rilevato che il cespite, appostato in bilancio tra le rimanenze, come bene-merce, concorrendo alla formazione del reddito, secondo il criterio civilistico dei costi e dei ricavi, era, in realtà, un bene “strumentale per natura” (appartenente alla categoria catastale D) e non un bene (diverso dai beni strumentali e dai beni-merce), produttivo di reddito fondiario, per il quale è prevista la deduzione forfetaria del 15% del canone di locazione;

6. alla stregua di queste considerazioni, accolti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, rigettati il primo e il secondo motivo, inammissibile il ricorso incidentale, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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