Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34708 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24179/2012 R.G. proposto da:

R.G., rappresentato e difeso dall’avv. Vitantonio

Caramia, elettivamente domiciliato in Roma, viale del Pinturicchio

n. 89, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Nardelli.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione staccata di Taranto, sezione n. 29, n. 109/29/12,

pronunciata il 22/05/2012, depositata il 23/05/2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

R.G. propone ricorso, sulla base di quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della CTR della Puglia (sezione staccata di Taranto), menzionata in epigrafe, che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento che, in esito al controllo della GdF della posizione fiscale del contribuente, che svolgeva attività di commercio all’ingrosso di piante e fiori, aveva recuperato a tassazione IRPEF, IRAP, IVA, per l’annualità 2002, maggiori ricavi non dichiarati e costi indeducibili perchè non inerenti – ha confermato la sentenza di primo grado, sfavorevole al contribuente;

la commissione regionale ha premesso che, nell’atto di gravame, venivano riproposti i motivi già dedotti in primo grado e ha condiviso la decisione del giudice di prossimità, che aveva riconosciuto la legittimità dell’indagine della GdF, secondo cui, nel periodo d’imposta 2002, il contribuente aveva acquistato 813 piante d’ulivo, per poi cederne 519, verso un corrispettivo di Euro 124.064,59 (prezzo medio unitario Euro 239,05) e, posto che le esistenze iniziali e le rimanenze finali, del medesimo esercizio, erano pari a zero, in assenza di adeguate spiegazioni, da parte dell’interessato, aveva presunto la cessione delle piante residue, con conseguenti ricavi non dichiarati per Euro 70.280,70;

la CTR ha escluso, inoltre, che valesse a superare tale presunzione la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà menzionata nel ricorso introduttivo e, al riguardo, ha rilevato che il contribuente (che aveva omesso di farlo) avrebbe semmai dovuto dimostrare, nel rispetto delle modalità previste dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, art. 2, comma 4, l’intervenuta distruzione dei beni e avrebbe dovuto fornire la documentazione di riscontro di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, sicchè egli non aveva provato il presupposto della inoperatività della presunzione di cessione dei beni senza fatturazione, desumibile da dati obiettivi come la valutazione delle rimanenze di magazzino.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo del ricorso, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere confermato la ricostruzione induttiva dei ricavi compiuta dall’ufficio, in difetto di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti e, soprattutto, in presenza della prova contraria, fornita dall’interessato e soggiunge che la CTR ha omesso di motivare sull’eccepita nullità e infondatezza dell’avviso di accertamento, per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d);

il motivo è inammissibile;

costituisce ius receptum che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vigente ratione temporis, di: “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” attiene necessariamente a un: “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia a un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (cfr., ex multis, Cass. 29/07/2015, n. 15997; Cass. 29/07/2011, n. 16655);

nel caso in esame, in realtà, non si imputa alla sentenza impugnata di avere omesso di esaminare o di avere erroneamente motivato su elementi fattuali decisivi della controversia, ma si allegano, inammissibilmente, questioni di diritto; ancora, si sostiene che la CTR avrebbe “omesso di motivare” in relazione ad asseriti ed eccepiti vizi dell’atto impositivo e, infine, si contesta l’apprezzamento, da parte della commissione regionale, delle risultanze probatorie e degli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento (analitico-induttivo) di ricavi non dichiarati;

con il secondo motivo, denunciando violazione e/o “errata” applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente evidenzia il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, nel quale non si dà atto delle giustificazioni addotte dallo stesso contribuente in merito alla divergenza tra ricavi dichiarati e ricavi presunti;

il motivo è inammissibile;

il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso che, riferendosi necessariamente alla sentenza impugnata, assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito;

ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità e esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.;

nella specie, il motivo non è correttamente formulato in quanto la critica in esso contenuta, anzichè essere rivolta alla sentenza di merito, investe direttamente ed esclusivamente l’atto impositivo;

con il terzo motivo, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere adeguatamente apprezzato alcune dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, compresa quella rilasciata dalla moglie del contribuente, durante la verifica fiscale, in base alle quali solo 519 delle 813 piante d’ulivo acquistate erano state rivendute, mentre le altre – malformate e perciò non destinabili alla vendita – erano state distrutte e utilizzate come “legna da ardere”;

il motivo è inammissibile;

come osservato in precedenza (vedi il primo motivo), anche questa critica è rivolta, in modo non consentito, alla valutazione delle risultanze probatorie, rimessa ai giudici di merito e insindacabile in sede di legittimità;

con il quarto motivo, denunciando violazione e/o “errata” applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si censura la sentenza impugnata per avere affermato che il contribuente, il quale avrebbe dovuto dimostrare, con le specifiche modalità previste dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 2, comma 4, la distruzione dei beni, aveva omesso di farlo, il che giustificava la presunzione di cessione dei medesimi beni, senza considerare che tale presunzione legale (iuris tantum) non opera se viene fornita la prova che i beni sono stati perduti o distrutti;

il motivo è inammissibile;

sotto le sembianze dell’errore di diritto, in realtà, si criticano, ancora una volta, la ricostruzione in fatto e l’apprezzamento delle risultanze probatorie compiuti dalla CTR, la quale, secondo la prospettazione difensiva del ricorrente, disattesa nei gradi di merito, non avrebbe considerato che quest’ultimo aveva superato la presunzione di cessione senza fatturazione delle piante di ulivo, fornendo adeguata dimostrazione della loro distruzione;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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