Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34704 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22028/2014 R.G. proposto da:

D.B.V., rappresentato e difeso, per procura speciale

in atti, dall’Avv. Roberto Galeani, con domicilio eletto presso lo

studio di questi ultimi in Roma, via dei Sette Mari, n. 11/E;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 544/01/14, depositata in data 31 gennaio 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. All’esito di indagini bancarie e finanziarie effettuate ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7 e del relativo contraddittorio con il contribuente, emergendo contraddizioni tra i redditi dichiarati ed i movimenti bancari e finanziari effettuati nel periodo 2004-2006, l’Agenzia delle entrate ha emesso, nei confronti di D.B.V., due avvisi di accertamento, relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, con i quali ha rettificato gli imponibili dichiarati ai fini Irpef, Iva ed Irap.

2. Il contribuente ha impugnato ciascuno dei due accertamenti e l’adita Commissione tributaria provinciale di Roma, dopo aver riunito i ricorsi, li ha rigettati.

3. Proposto appello dallo stesso contribuente, la Commissione tributaria regionale de Lazio, con la sentenza n. 544/01/14, depositata in data 31 gennaio 2014, lo ha respinto.

4. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il contribuente.

5. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 23 Cost. e la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 32 e 55, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32,39 e 42.

Assume infatti il ricorrente che egli è coltivatore diretto e che, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 1, il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso.

Inoltre, per quanto qui interessa, a norma del comma 2, lett. b), della medesima disposizione, sono considerate attività agricole le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste.

A sua volta, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 1, stabilisce, per quanto qui d’interesse, che sono, invece, redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali e che per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate all’art. 32, comma 2, lett. b) e c), che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa.

Pertanto, sostiene il ricorrente, la tassazione del suo reddito come reddito d’impresa, e non come reddito agrario calcolato forfettariamente, presupponeva il superamento dei limiti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 2, lett. b), ovvero che la superficie adibita alla produzione eccedesse il doppio di quella del terreno su cui la produzione insisteva, circostanza che l’ufficio non avrebbe specificamente dedotto nell’avviso d’accertamento controverso.

Nè, secondo il ricorrente, a differenza di quanto erroneamente argomentato dai giudice a quo, la riqualificazione del reddito agrario del contribuente in reddito d’impresa poteva essere giustificata presumendo il superamento del limite di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 2, lett. b), in conseguenza delle rilevanti movimentazioni di denaro riscontrate ed acquisite tramite le indagini bancarie e non giustificate altrimenti dal contribuente nel contraddittorio preventivo.

Infatti, aggiunge il ricorrente, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non sarebbe – secondo Cass. 23/11/2009, n. 23852 – norma che di per sè legittima l’accertamento a carico di qualunque soggetto che abbia intestato un conto corrente, ma è disposizione che, nell’ambito di un accertamento che abbia giustificazione in diverse norme (stesso D.P.R., artt. 38 e 39), consente di accertare il reddito (o i ricavi) del contribuente, con agevolazione probatoria (inversione dell’onere della prova) in favore del Fisco.

Pertanto, secondo il contribuente, l’Ufficio avrebbe dovuto prima dimostrare che egli svolgeva attività eccedenti quelle configuranti reddito agrario forfettariamente determinato, e solo successivamente a tale approdo istruttorio avrebbe potuto determinare l’eventuale reddito d’impresa non dichiarato, servendosi delle indagini bancarie.

2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1 e 7 e dell’art. 115 c.p.c., per essersi il giudice a quo sostituito all’Ufficio nel rilevare, presumendolo, il superamento del limite di cui al art. D.P.R. n. 917 del 1986, 32, comma 2, lett. b), senza che l’Amministrazione avesse indicato specificamente, neppure negli accertamenti, i parametri che avrebbero consentito di accertare che le attività svolte dal contribuente eccedessero quelle considerate dal legislatore agricole e sottoposte al regime del reddito agrario forfettario.

3. I primi due motivi, per la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente.

Deve, innanzitutto, escludersi che il ricorrente abbia denunciato la nullità degli avvisi d’accertamento per eventuali carenze della loro motivazione, con specifico riferimento all’asserita mancata allegazione di dati specifici relativi al superamento del limite di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 2, lett. b), ovvero in ordine alla circostanza che la superficie adibita alla produzione eccedesse il doppio di quella del terreno su cui la produzione insisteva.

Infatti, manca, nel contesto dei due motivi in esame, la specifica denuncia, con i relativi riferimenti normativi, di tale vizio degli atti impositivi.

Denuncia che, peraltro, sarebbe comunque inammissibile, non avendo il ricorrente ottemperato all’onere di riprodurre (quanto meno) il passo completo della motivazione degli avvisi che si assume insufficiente nel senso indicato, ciò che peraltro appare tanto più necessario in relazione alla circostanza che (come ammesso dallo stesso ricorrente e come assunto nella sentenza impugnata) gli atti impositivi facevano comunque menzione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, che riguarda proprio il travalicamento dei limiti stabiliti nello stesso D.P.R., art. 32, comma 2, lett. b) e c), (sul relativo onere cfr. Cass. 28/06/2017, n. 16147).

3.1. Tanto premesso, i due motivi in decisione sono infondati. Invero, la tesi del ricorrente pare muovere dalla considerazione che la tassazione dei redditi dell’attività agricola avvenga esclusivamente sulla base del reddito catastale, a prescindere dal reddito effettivamente prodotto, e che sia pertanto onere del Fisco dimostrare l’esistenza di altre attività, oltre a quella agricola (nella quale non sono comprese quelle di coltivazione e di allevamento che eccedano i limiti di cui al cit. D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 2), da cui siano derivati redditi non dichiarati.

Pertanto, poichè nei confronti di chi svolge le attività agricole il reddito tassabile è quello figurativo, risultante dalle risultanze catastali, e non quello effettivamente ricavato, dovrebbe ritenersi precluso all’Ufficio di utilizzare metodi di accertamento dell’imponibile di natura sintetica od induttiva, esperibili verso gli altri contribuenti.

Tuttavia, questa Corte ha già chiarito che la disposizione speciale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32, comma 1, si configura non già come l’unica regola alla cui stregua censire la redditualità generale del contribuente coltivatore diretto, che invece ne fruisce nella più circoscritta area di determinazione dei soli redditi, appunto agrari e dominicali, per i quali le risultanze catastali debbono operare come parametri (Cass. 18711/2016, n. 23497, in motivazione).

Non è quindi precluso, in generale, all’Amministrazione l’utilizzo, anche nei confronti del contribuente coltivatore diretto, di forme di accertamento che conseguano alla rilevazione di indici di una capacità patrimoniale non coordinabile con il reddito forfettario denunciato.

Infatti, costituisce principio consolidato di questa Corte (Cass. n. 7505 del 2003; Cass. n. 6952 del 2006; Cass. n. 10385 del 2009; Cass. n. 9313 del 2010; Cass. n. 3260 del 2019) quello secondo il quale, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, l’Amministrazione può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto, comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale – determinati in base agli estimi catastali – del fondo da lui condotto, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo, incombendo, in tal caso, a norma del sesto coma dell’art. 38, al contribuente l’onere di dedurre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività agricola sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possiede altre fonti di reddito non tassabili, o separatamente tassate (cfr. Cass. n. 19557 del 2014, in motivazione).

Pertanto, neppure può ritenersi esclusa l’ammissibilità del ricorso, nei confronti del coltivatore diretto, alle indagini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 ed al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, con conseguente onere del contribuente di superare la presunzione posta da tali norme, dimostrando l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sussiste una supposta indefettibilità della determinazione forfetaria del reddito del coltivatore diretto, che escluda in via di principio la legittimità della determinazione presuntiva del reddito di impresa, operata sulla base di accertamenti bancari ed inserita nell’ambito di una ricostruzione induttiva del reddito, con la conseguente inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente, secondo quando prevedono il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2 (Cass. n. 11268 del 2018, in motivazione).

Inoltre, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava da successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2 (Cass. 2 luglio 2014, n. 15050; Cass., 20/01/2017, n. 1519; Cass., 16/11/2018, n. 29572; Cass., 09/08/2016, n. 16697; Cass. n. 104 del 2019, in motivazione, con specifico riguardo al motivo di ricorso nel quale, come nel caso di specie, veniva invocata Cass. n. 23852 del 2009).

Nè, peraltro, nel caso di specie, ed all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, si pone la necessità di elidere il valore presuntivo dei prelevamenti, considerata comunque la natura imprenditoriale dell’attività imputata al contribuente, in quanto eccedente quella agricola.

Infine, estranea al caso sub iudice appare l’invocata Cass. n. 23852 del 2009, che aveva per oggetto un accertamento nei confronti di una lavoratrice dipendente.

Non ha quindi integrato le denunciate violazioni o false applicazioni di legge la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto applicabili al caso controverso il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2, con la conseguente presunzione relativa, derivante dalle movimentazioni bancarie, dell’accertamento di maggiori ricavi, ottenuti dal contribuente esercitando attività agricole che eccedono i limiti stabiliti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32.

4. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla documentazione prodotta dal contribuente in merito: alla restituzione dei finanziamenti da lui effettuati a favore della terza Crel s.r.l.; alla restituzione del finanziamento da lui ricevuto dalla Cos.Edil s.r.l.; al pagamento, da parte del contribuente, promissario acquirente di un immobile, ai promissari alienanti, della somma di Euro 20.000,00 a titolo di caparra confirmatoria dell’acquisto a titolo definitivo.

Assume infatti il ricorrente che la CTR non avrebbe preso in considerazione tali elementi prodotti a discarico della presunzione relativa derivante dalle indagini sulle movimentazioni bancarie.

Premesso che nel ricorso il contribuente ha indicato l’allegazione della relativa documentazione al ricorso di primo grado, deve considerarsi che in tema di accertamenti bancari, poichè il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass., 03/05/2018, n. 10480).

Nel caso di specie, l’omesso esame di un fatto decisivo si configura rispetto al pagamento, da parte del contribuente promissario acquirente di un immobile ai promissari alienanti, della somma di Euro 20.000,00 a titolo di caparra confirmatoria dell’acquisto a titolo definitivo di un immobile, circostanza che non risulta valutata dal giudice a quo.

Invece, con riferimento ai finanziamenti restituiti al contribuente e dal contribuente, la sentenza impugnata argomenta puntualmente in ordine ai fatti ed alla ritenuta inadeguatezza della prova offerta dal ricorrente, cosicchè il motivo, in parte qua, si sostanzia nella richiesta, inammissibile in questa sede di legittimità, di una nuova valutazione di merito.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio, limitatamente al parziale accoglimento del terzo motivo.

P.Q.M.

Rigetta il primo ed il secondo motivo ed accoglie il terzo nei limiti di cui in motivazione;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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