Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34702 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25511/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B. s.a.s. di B.D. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore; B.D. e B.G.; tutti

rappresentati e difesi, per procure speciali in atti, dall’Avv.

Claudio Mazzoni e dall’Avv. Gianfranco Rondello, con domicilio

eletto presso lo studio di questi ultimi in Roma, via Taro, n. 35;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 96/08/11, depositata in data 20 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate ha emesso, nei confronti della B. s.a.s. di B.D. & C., avviso di accertamento, in materia di imposte dirette ed Irap, relativamente all’anno d’imposta 2003, con il quale ha rideterminato il maggior reddito d’impresa, e le conseguenti maggiori imposte dovute, comminando altresì le relative sanzioni, all’esito della contestazione alla società contribuente dei seguenti rilievi: 1) l’omessa contabilizzazione di ricavi per Euro 182.825,74; 2) l’omessa contabilizzazione di ricavi per complessivi Euro 67.431,84; 3) costi dichiarati e non documentati per Euro 12.559,52; 4) ammortamenti non deducibili per Euro 252,87; 5) l’omessa tassazione di ricavi per Euro 8.138,02.

Per effetto della rideterminazione del reddito d’impresa della predetta s.a.s., l’Ufficio, con due ulteriori e distinti avvisi d’accertamento, ha quindi rettificato, per il medesimo anno d’imposta, ai fini Irpef, il reddito da partecipazione dei soci B.D. e B.G., quantificando la maggiore imposta da ciascuno di loro dovuta e comminando le relative sanzioni.

2. La società e ciascuno dei soci hanno proposto distinti ricorsi avverso i rispettivi avvisi.

L’adita Commissione tributaria provinciale di Padova, riuniti i ricorsi, li ha parzialmente accolti, riducendo il primo rilievo all’omessa contabilizzazione di ricavi per Euro 6.693,30, in luogo di Euro 182.825,74; annullando il secondo ed il terzo; ma confermando il quarto ed il quinto.

3. Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza n. 96/08/11, depositata in data 19 settembre 2011, lo ha rigettato.

4. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, l’Agenzia delle entrate.

5. La società ed i soci si sono costituiti con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente Agenzia denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, per non essersi il giudice a quo pronunciato sull’eccezione, sollevata dallo stesso Ufficio nell’atto d’appello, di inutilizzabilità istruttoria del documento, prodotto dalle controparti, costituito dalla fattura n. 52/06, datata 10 luglio 2006, relativa a costi per Euro 67.431,84, sostenuti per la realizzazione del complesso ospedaliero euganeo, contabilizzati dalla s.a.s. in questione.

2. Aveva infatti eccepito l’Ufficio che della medesima fattura la società contribuente aveva rifiutato l’esibizione) in occasione della verifica della Guardia di Finanza che aveva dato origine all’accertamento controverso, per cui essa non poteva essere presa in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, dettato in materia d’Iva, ma richiamato in materia di imposte dirette dal rinvio, per l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche, operato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33.

3. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia denuncia, in subordine all’eventuale rigetto del primo motivo, la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, per avere il giudice a quo utilizzato, ai fini della decisione, anche la predetta fattura n. (OMISSIS), sebbene inutilizzabile, ai sensi delle norme invocate dalla ricorrente, avendone la società contribuente rifiutato l’esibizione in occasione della verifica della Guardia di Finanza alla base dell’accertamento controverso.

3.1. I due motivi sono strettamente connessi e vanno decisi congiuntamente.

Deve escludersi che essi, come invece sostengono i controricorrenti, siano inammissibili per la novità dell’eccezione di inutilizzabilità del documento, sollevata dall’ufficio per la prima volta in appello.

Infatti, questa Corte ha già chiarito che l’omessa o intempestiva risposta dei dati richiesti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento fiscale comporta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, l’automatica inutilizzabilità, amministrativa e processuale, della documentazione prodotta tardivamente, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita alla sussistenza di tale condotta non essendo richiesto alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte; al contrario, l’eventuale deroga àinutiizzabilità, deve essere fatta valere dal contribuente con le modalità ivi previste entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado (Cass. 22/06/2018, n. 16548; Cass. 23/3/2016, n. 5734).

Corollario dell’automatica inutilizzabilità della documentazione richiesta dai verificatori e non esibita dal contribuente è quindi l’operatività della conseguente preclusione processuale, a prescindere dalla proposizione, da parte dell’Ufficio, di una tempestiva eccezione, avendo infatti questa Corte precisato che, in tema di accertamento tributario, l’omessa o intempestiva esibizione da parte del contribuente di dati e documenti in sede amministrativa è sanzionata con la preclusione processuale della loro allegazione e produzione in giudizio, che prevale rispetto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2 e che non può ritenersi sanata ove l’Amministrazione finanziaria non sollevi la relativa eccezione in sede di udienza di discussione della causa, atteso il carattere perentorio del termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (Cass. 09/11/2016, n. 22745).

Pertanto, l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa e non trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, che non consente alle parti di proporre in appello domande ed eccezioni nuove (Cass. 22/06/2018, n. 16548, cit., in motivazione).

Tuttavia, i motivi sono inammissibili sotto altro aspetto, ovvero per la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

Infatti, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, cui rinvia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, si giustifica per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco (Cass. 26/05/2014, n. 11765), ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti (Cass. 01/08/2019, n. 20731).

Tanto premesso, l’omessa esibizione, da parte del contribuente, dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (Cass. 27/12/2016, n. 27069; Cass., 21/03/2018, n. 7011), non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto (Cass. 12/04/2017, n. 9487).

Nel caso di specie, l’Amministrazione ricorrente, onerata della relativa prova, non ha specificamente indicato, nei motivi in decisione, con quale atto, nella fase amministrativa, ha specificamente e puntualmente richiesto alla società verificata la produzione del documento in questione, formulando contestualmente l’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza. E, comunque, la stessa parte ricorrente non ha indicato puntualmente in quale grado e fase del giudizio di merito abbia eventualmente prodotto il documento dal quale risultino il puntuale invito ed il relativo avvertimento alla contribuente.

Non risulta quindi adempiuto dal ricorrente Ufficio l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. U., 03/11/2011, n. 22726).

4. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’Agenzia denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, in relazione ai fatti, controversi e decisivi per il giudizio, allegati dall’Ufficio al fine di evidenziare l’inattendibilità dei costi rappresentati nella ridetta fattura n. (OMISSIS).

Dato atto che al caso di specie deve applicarsi, ratione temporis, il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, antecedente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, il motivo è ammissibile e fondato.

Infatti, la lettura della sentenza impugnata evidenzia come il motivo attinga la ratio decidendi esposta (in via concorrente e subordinata o principale) nella motivazione con riferimento a tutti i e tre i rilievi oggetto dell’appello, cosicchè il ricorrente non poteva esimersi dall’estendere, a sua volta, la censura a tutti i medesimi rilievi.

Tanto premesso, questa Corte ha già affermato che, in tema di determinazione dei redditi di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), comma 1, i ricavi, i costi e gli altri oneri sono imputabili nell’esercizio di competenza in cui si è formato il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purchè l’esistenza o l’ammontare degli stessi sia determinabile in modo oggettivo, circostanze, queste ultime, che rientrano, per i componenti positivi, nell’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria e per quelli negativi in quello del contribuente (Cass. 09/11/2018, n. 28671, ex plurimis).

Con riguardo, poi, al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente in ordine ai costi, è stato precisato che, in tema di imposte sui redditi e con riguardo al reddito di impresa, la semplice produzione di documenti di spesa (nella specie, “note spese” liquidate da una società ai propri dipendenti) non prova, di per sè, la sussistenza del requisito della inerenza all’attività di impresa. A tal riguardo, infatti, perchè un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa (Cass. 09/05/2017, n. 11241).

Inoltre, con riferimento all’ipotesi nella quale, come nel caso sub iudice, il costo sia cristallizzato in una fattura prodotta dal contribuente, è stato chiarito che, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta ai contribuente, ai fini della detrazione dell’Iva e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 05/07/2018, n. 17619, in tema d’Iva).

Infine, a proposito delle modalità con le quali l’Amministrazione può adempiere al proprio onere di provare l’inesistenza delle operazioni fatturate, è stato ritenuto che nel processo tributario, ove il contribuente assolva l’onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell’IVA mediante la produzione delle fatture, l’Amministrazione finanziaria ne può dimostrarne l’inattendibilità anche mediante presunzioni, sicchè il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno delle operazioni fatturate, ivi compresi i fatti secondari indicati (Cass. 13/02/2015, n. 2935).

Ebbene, nel giudizio di merito l’Amministrazione ha sottoposto al giudice a quo (come da allegazioni di merito trascritte nel ricorso, con indicazione della documentazione offerta a sostegno istruttorio) un quadro indiziario complessivo ed articolato, relativo, tra l’altro, ad una serie di rilevanti interferenze soggettive ed oggettive tra la società ricorrente e quella che ha emesso la fattura; oltre che alla rilevata distonia della fatturazione rispetto al titolo contrattuale concluso tra le parti ed all’esecuzione del relativo rapporto, anche in ordine al pagamento tramite s.a.l.

A fronte di tale complessivo quadro istruttorio, la CTR, al fine di verificare l’esistenza o meno delle operazioni fatturate, da un lato si è limitata a considerazioni relative all’allocazione dei costi di cui alla fattura nel corretto periodo di competenza, argomento che non incide necessariamente sull’effettività e sull’inerenza delle medesime componenti negative dell’imponibile. Dall’altro ha qualificato gli indizi in questione come “mere argomentazioni di sospetto”, senza soppesarne la rilevanza inferenziale, per l’assunto “difetto di ulteriori concrete contestazioni”, formulazione generica e non coerente con la descritta ripartizione dell’onere probatorio in materia, che avrebbe fatto carico al contribuente di supportare l’effettività e l’inerenza dei costi con idonea documentazione.

Altrettanto generico, ed insufficiente al fine motivazionale, è poi il dato relativo alla circostanza che l’Ufficio stesso avrebbe indicato nell’avviso d’accertamento i costi capitalizzati al 31 dicembre 2002 in Euro 858.953,16. Infatti, deve escludersi che la CTR, con tale generica ed apodittica affermazione (priva di qualsiasi esplicazione in ordine alla collocazione, ed allo scopo, di tale indicazione nell’avviso, oltre che di ogni correlazione funzionale e quantitativa con i costi di cui alla fattura) abbia puntualmente individuato un elemento a discarico del quadro indiziario offerto dall’Amministrazione in ordine alla non attendibilità della fattura e dei costi in questione, invece pacificamente controversa nei gradi di merito.

Tanto premesso, il giudice a quo non si è adeguato, nella motivazione, ai principi giurisprudenziali consolidati già esposti, per cui la sentenza impugnata va cassata con rinvio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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