Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 347 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 22/09/2016, dep.10/01/2017),  n. 347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12738/2015 proposto da:

R.B., M.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MIRANDOLA 20, presso lo studio dell’avvocato MARIO RANUCCI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA LAURA PASSANANTE, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi a 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 1273/2014 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA del 3/07/2014, depositato il 03/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

M.S. e R.B. adivano la Corte d’appello di Caltanissetta per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, per la durata irragionevole di una procedura esecutiva di espropriazione immobiliare svoltasi nei loro confronti innanzi al Tribunale di Marsala dal 1984 al 2011.

Resistendo il Ministero, la Corte d’appello con decreto del 3.11.2014 dichiarava inammissibile la domanda, per non aver i ricorrenti dimostrato l’assunzione della qualità di parte nel processo esecutivo presupposto. Osservava, in particolare, che dall’estratto storico del fascicolo processuale risultava che il debitore esecutato risultava essere M.S. “quale socio illimitatamente responsabile”.

Per la cassazione di tale decreto ricorrono M.S. e R.B., in base ad un motivo.

Il Ministero della Giustizia ha depositato un “atto di costituzione”, in vista della partecipazione all’udienza di discussione.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con motivo di ricorso è denunciata la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3, artt. 6, 8 e 13 CEDU e artt. 2056 e 1226 c.c. e il vizio di “motivazione insufficiente, incongrua, illogica e contorta”, in relazione, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Si sostiene che nel procedimento per equa riparazione alla parte ricorrente non può essere addebitata nessuna carenza probatoria, quest’ultima essendo superabile, in base alle norme della L. n. 89 del 2001, anteriori alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, mediante le iniziative officiose che il giudice è tenuto a assumere.

2. – Il ricorso è infondato per una ragione di carattere assorbente.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicchè egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica (Cass. n. 89/16).

Infatti, la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, poichè egli dall’esito del processo riceve un danno giusto. Pertanto, ai fini dell’equa riparazione da durata irragionevole, l’esecutato ha l’onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell’espropriazione, dimostrando che l’attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente (Cass. n. 14382/15).

Diversamente, il ritardo nel portare a compimento il processo esecutivo non fa che procrastinare un giusto danno, che il debitore non può dolersi di non aver subito prima.

2.1. – Nello specifico, i ricorrenti non hanno allegato altro che l’essere stati debitori esecutati nel processo di esecuzione presupposto. Circostanza di fatto che, per i superiori principi esposti, non legittima alcuna presunzione di danno da ritardata definizione della pendenza giudiziaria.

3. – Il ricorso va, pertanto, respinto.

4. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero della Giustizia svolto un’attività difensiva idonea a giustificarne il regolamento.

5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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