Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3469 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 12/02/2020), n.3469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27839/2015 proposto da:

S.G., S.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

EAV ENTE AUTONOMO VOLTURNO S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEGLI AVIGNONESI 5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SOPRANO,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9098/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/12/2014, R.G.N. 1710/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del 10 motivo

del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO VALLEBONA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 11.12.2014, dichiarava improcedibile il gravame proposto da N.M., N.R., S.A. e S.G. avverso la decisione del Tribunale di Napoli che aveva respinto le domande dei predetti, intese ad ottenere, quanto a N.R. e a S.G., pronuncia costitutiva dei rapporti di lavoro con la Circumvesuviana e/o la EAV Bus s.r.l., ovvero la declaratoria dell’obbligo della resistente – che aveva attivato una procedura di esodo incentivato prevedente la possibilità di interruzione del rapporto di lavoro con gli originari lavoratori all’assunzione dei predetti quali familiari dei lavoratori in forza alla società, con condanna al risarcimento del danno, nonchè, per questi ultimi ( N.M. e S.A.), la condanna al risarcimento del danno per la mancata risoluzione del loro rapporto di lavoro.

2. La Corte rilevava che la nota n. 11 del 25 agosto 2005 della Circumvesuviana non poteva valutarsi come offerta al pubblico finalizzata alla stipula dei contratti di lavoro, agli effetti dell’art. 1336 c.c., ma doveva essere qualificata come mero invito a proporre, limitandosi la stessa a prevedere che i soggetti interessati ad accedere alla procedura di esodo agevolato con assunzione del figlio presentassero domanda di assunzione mediante i moduli allegati, ove in possesso dei requisiti indicati. Nella specie, la nota della società non poteva considerarsi, per i suoi contenuti, sufficientemente determinata quanto all’oggetto minimo essenziale del successivo contratto di lavoro e quanto all’inquadramento del lavoratore da assumere, tenuto conto anche della prevista riserva di valutare le necessità tecnico organizzative aziendali al momento dell’assunzione.

3. Non poteva, pertanto, ipotizzarsi alcun diritto alla costituzione del rapporto di lavoro, a ciò conseguendo l’insussistenza del diritto al risarcimento del danno in dipendenza dell’inadempimento dell’obbligo di costituire il rapporto stesso, nè era ipotizzabile alcuna ipotesi di responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, in mancanza di comportamenti a tali principi contrari da parte della società, che aveva esaminato le domande di assunzione e considerato un ordine di priorità, prima di essere stata costretta ad abbandonare l’esame delle domande per l’introduzione del divieto di assunzione senza concorso, per effetto della L.R. Campania n. 1 del 2007.

4. Doveva, poi, essere rigettata anche la domanda di N.M. e di S.A. al risarcimento del danno per mancata risoluzione del rapporto, in quanto era del tutto legittimo che il relativo rapporto non fosse stato risolto, posto che le dimissioni erano condizionate e subordinate all’assunzione dei figli, sia perchè non era stato dedotto alcun danno. Ogni altra domanda era connotata dal carattere di novità.

5. Di tale decisione domandano la cassazione S.G. ed S.A., affidando l’impugnazione a tre motivi illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. -, cui resiste, con controricorso, l’EAV s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 348 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte territoriale erroneamente dichiarato l’appello improcedibile, pur essendo la motivazione imperniata su considerazioni estranee a ragioni di improcedibilità. Sostengono i ricorrenti che l’errore di diritto possa essere rilevato dalla Cassazione anche perchè la sentenza impugnata era contestuale al dispositivo e che, in caso contrario, la pronunzia debba essere cassata.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Ove sia palese la difformità nei sensi indicati, per insanabile contrasto fra il dispositivo letto in udienza e la motivazione di cui alla sentenza successivamente depositata in cancelleria, si determina la nullità della decisione, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per la sua inidoneità a consentire la individuazione del comando concreto del giudice (fra le tante: Cass. 2958/2001; Cass. n. 1335/2000; Cass. 8946/2000). Diverso è il caso indicato dalla controricorrente (Cass. 24841/2014), in cui il giudice, nel dispositivo, aveva statuito l’inammissibilità del gravame, mentre, in motivazione, aveva specificato che, per mero errore materiale, era stata pronunciata la declaratoria di inammissibilità dell’appello in luogo del rigetto.

1.3. Tuttavia, se, in generale, nel rito del lavoro è principio condivisibile quello della non integrabilità del dispositivo con la motivazione ed è pacifico che il principio dell’interpretazione del dispositivo mediante la motivazione non possa estendersi fino all’integrazione del contenuto precettivo del primo con la statuizione desunta dalla seconda, attesa la prevalenza da attribuirsi al dispositivo, il quale, acquistando la pubblicità con la lettura in udienza cristallizza la statuizione, non può omettersi di considerare che, nella diversa ipotesi della motivazione contestuale, la sentenza si intende “pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”. In tale ipotesi, verificandosi la immediata rilevanza esterna del dispositivo e della motivazione, non è più possibile sostenere la prevalenza del dispositivo rispetto alla motivazione e deve ritenersi consentito interpretare l’uno attraverso l’altra o anche integrare la parte dispositiva sulla base delle argomentazioni di fatto e di diritto contenute nella parte motiva.

1.4. Tale approdo ricostruttivo, ritenuto valido da orientamento dottrinale autorevole, ha trovato conferma anche in sede giurisprudenziale di legittimità, essendosi affermato che “nel rito del lavoro, il principio della non integrabilità del dispositivo con la motivazione in caso di insanabile contrasto fra le due parti della sentenza, con la conseguente inidoneità delle enunciazioni eventualmente contenute nella sola motivazione a costituire giudicato, non trova applicazione nell’ipotesi in cui venga data lettura in udienza sia della motivazione che del dispositivo, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., atteso che in tal caso la parte motiva e quella dispositiva concorrono entrambe a cristallizzare la statuizione consentendo, mediante un’interpretazione complessiva, il passaggio in giudicato (anche) delle enunciazioni contenute soltanto nella motivazione” (cfr. Cass. 29.1.2004 n. 1673).

1.5. Ciò consente di ritenere superabile il contrasto evidenziato e la decisione va interpretata unitariamente, sicchè quando, come nella specie, al cospetto di una motivazione contestuale, il dispositivo (nel senso dell’improcedibilità) è incoerente con il contesto motivazionale, tutto convergente a sorreggere una pronuncia di rigetto, non può che ritenersi che il primo debba essere inteso in senso conforme alle argomentazioni (ragioni di fatto e di diritto) che conducono al rigetto del gravame.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1337 c.c., per avere la Corte territoriale violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avendo trattato diffusamente della responsabilità precontrattuale che non aveva costituito oggetto della domanda, ritenuta erroneamente reiterata in appello.

2.1. E’ stato affermato che “anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (cfr. Cass. 20.7.2012 n. 12664, Cass. 13.3.2018 n. 6014, che, in applicazione di questo principio, ha affermato che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda principale ed omesso di pronunciarsi su quella subordinata, ha comunque l’onere di riprodurre gli atti e documenti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione e di precisare l’esatta collocazione dei documenti nel fascicolo d’ufficio al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità). Nel caso qui esaminato non risultano essere stati neanche riportati i termini del ricorso in appello per la parte di interesse.

3. Il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1326 e 1336 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice del gravame erroneamente affermato che il contratto tra i ricorrenti e la società non si era perfezionato, laddove, essendo stata la proposta accettata dai ricorrenti, il contratto doveva ritenersi concluso, avendo la sentenza confuso la conclusione del contratto con la sua esecuzione che, nel caso, era differita. Non rispondeva al vero, poi, secondo parte ricorrente, che il comunicato non specificasse l’inquadramento del lavoratore, essendo lo stesso completo quanto agli elementi essenziali idonei alla conclusione del contratto.

3.1. Anche tale motivo è inammissibile, in quanto non risulta trascritto, nel corpo dello stesso, il contenuto del comunicato aziendale, nè si censura correttamente l’interpretazione dello stesso attraverso il richiamo ai canoni ermeneutici di legge asseritamente violati, limitandosi i ricorrenti a contrapporre unicamente una propria ricostruzione della volontà dell’azienda quale rilevabile dall’atto a quella effettuata dalla Corte sulla base della identificazione e della rilevata mancanza degli elementi ritenuti idonei alla conclusione di un valido contratto con i lavoratori da assumere.

4. In conclusione, il ricorso va complessivamente respinto.

5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e sono liquidate in dispositivo.

6. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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