Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3468 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3468 Anno 2014
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 15863-2011 proposto da:
INDUSTRIA MECCANICA LOMBARDA SRL

in persona

dell’Amministratore unico pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo
studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
2013

LOVISOLO ANTONIO giusta delega in calce;
– ricorrente –

2119

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, AGENZIA DELLE DOGANE UFFICIO DI
GENOVA;
– intimati –

Data pubblicazione: 14/02/2014

Nonché da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

contro

INDUSTRIA MECCANICA LOMBARDA SRL, AGENZIA DELLE
DOGANE UFFICIO DI GENOVA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 72/2010 della COMM.TRIB.REG.
di GENOVA, depositata il 13/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LOVISOLO che ha
chiesto raccoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPUTI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e accoglimento del
ricorso incidentale.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

AS 263 /4J

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate di Genova emetteva nei confronti della Industria Meccanica Lombarda
s.r.l. numerosi avvisi di accertamento, rettificando le dichiarazioni di importazioni presentate dalla
. società importatrice in un periodo compreso fra l’agosto 2004 ed il 21 marzo 2005 relative
all’importazione di meccanismi per la legatura di fogli scortati da certificati From A provenienti
dal Vietnam e dal Laos.

effetti di origine cinese, rettificava l’origine delle merci da Vietnam e Laos (paesi che godevano di
dazio 0% in forza dell’art.9 reg.CE n.2501/01- preferenziale a “Cina non preferenziale”. Riteneva
l’Ufficio che non potesse applicarsi il dazio preferenziale e che andasse, invece, applicato il dazio
antidumping introdotto dal Reg.CE n. 119/97 come modificato dal Reg.2100/2000. L’ufficio
reclamava, altresì, l’IVA sulle importazioni ed irrogava, altresì, nei confronti della società le
sanzioni normativamente previste.
3. La società contribuente proponeva diversi ricorsi relativi alle rettifiche emesse per diverse
importazioni effettuate dal Laos fra il gennaio ed il marzo 2005 innanzi alla CTP di Genova che
rigettava, previa riunione, i ricorsi relativi alle rettifiche, ritenendo parzialmente fondate le censure
relative alle sanzioni che venivano ridotte ritenendo sussistente il vincolo della continuazione.
Inoltre, la CTP dichiarava cessata la materia del contendere relativa all’IVA.
4. La società contribuente e l’Agenzia delle Dogane impugnavano la sentenza di primo grado
innanzi alla CTR della Liguria che, con sentenza depositata il 13 luglio 2010, rigettava
l’impugnazione.
4.1 Osservava la CTR che la decisione del giudice di primo grado andava pienamente confermata,
ritenendo che gli atti emessi dall’Ufficio erano adeguatamente motivati attraverso il rinvio per
relationem al rapporto Olaf che la società, con le proprie difese, aveva dimostrato di conoscere in
ogni suo aspetto.
4.2 La CTR, dopo avere premesso che ai fini del riconoscimento dell’origine preferenziale
assumevano valore di prova i certificati Form/a finché non fosse emerso da controlli a posteriori che
gli stessi non erano idonei a confermare l’origine -in tal caso dovendosi considerare la merce di
origine ignota- precisava che rispetto alle posizioni antitetiche espresse dalle due parti, l’unico
elemento a disposizione dell’Ufficio e della Commissione era rappresentato dal rapporto dell’Olaf.
4.3 Precisava che gli atti provenienti da tale organo, a composizione internazionale, avevano pieno
valore, non risultando altri elementi per disattendere le risultanze ivi esposte, dalle quali era emerso
che dalla Cina erano state effettuate esportazioni verso il Laos di materie prime indicate con il
codice 7326 relativo a materie prime anziché con quello 8305 -relativo a meri componenti- proprio
i

2. L’Ufficio, ritenendo sulla base di un’indagine antielusiva svolta dall’Olaf, che i prodotti erano in

al fine di evitare il dazio antidumping, anche considerando che i macchinari per la fabbricazione dei
meccanismi non erano mai stati installati dalla società laotiana se non un anno e mezzo dopo la
prima esportazione di prodotti.
4.4 Aggiungeva che nel territorio laotiano si erano realizzate attività di mero assemblaggio e che ciò
era stato confermato dalle autorità fiscali di quel paese. Precisava, ancora, che in seguito ai controlli
quattro partite del prodotto erano state rispedite in Vietnam e successivamente in Laos,

accessori per il solo assemblaggio e che vi era stata un’attività volta ad ingannare le autorità
laotiane al fine d ottenere la certificazione di origine attraverso la dichiarazione di una voce
tariffaria errata realizzandosi, nella sostanza, un trasferimento di merci da e per l’Europa, Cina,
Vietnam e Laos avente origine cinese che, quindi, era soggetta a riscossione retroattiva di dazi
antidumping.
4.5 Precisava che l’importatore, ancorchè in buona fede, era tenuto a sopportare i comportamenti
scorretti del fornitore, non potendosi trasferire sulla collettività il rischio imprenditoriale.
4.6 Aggiungeva, ancora, che le verifiche effettuate in loco -necessariamente successive rispetto alle
importazioni svolte dall’Olaf – avevano consentito di acclarare l’assenza di macchinari idonei ad
effettuare le lavorazioni necessarie per l’identificazione del prodotto di origine, risultando
effettuate solo lavorazioni di inscatolamento o assemblaggio di scarso valore aggiunto, all’interno
di strutture “di per se modeste e comunque smantellate nel momento in cui la Comunità ha esteso i
dazi antidumping al Vietnam prima ed al Laos dopo”.
4.7 Chiariva, ancora, che parte delle merci, per effetto dei dazi successivamente imposti, erano state
rispedite al mittente dall’Europa proprio grazie ad una pattuizione che il reale produttore cinese
aveva concordato con l’acquirente in modo da accollarsi il rischio dell’eccessiva onerosità prodotta
per effetto dei dazi. Tale circostanza confermava, pertanto, che vi era stato un accordo teso ad
eludere l’applicazione dei dazi imposti sulla merce di origine cinese attraverso l’interposizione
fittizia di altro Paese, ove erano state mantenute strutture quasi simboliche facenti capo, di fatto,
comunque all’esportatore cinese.
4.8 Chiariva che per le considerazioni svolte non era ipotizzabile alcun legittimo affidamento da
parte dell’importatore che, anzi, aveva agito per ottenere indebitamente ingenti vantaggi fiscali.
Ciò che escludeva il riconoscimento di qualsiasi attenuante, non potendo nemmeno trovare
applicazione la distinzione fra terzo e primo comma dell’art.303 tuid.
4.9. Evidenziava, infine, che l’appello incidentale dell’agenzia andava disatteso, applicandosi alla
fattispecie il meccanismo della continuazione.
5. La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad undici motivi, al quale ha
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aggiungendo che dalla relazione dell’ Olaf era emerso che nel Laos erano stati importati gli

resistito l’Agenzia delle Dogane con controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un unico
motivo. La società contribuente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Con il primo motivo la società contribuente lamenta la violazione degli artt.218 e 220 c.d.c. in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. chiedendo che la Corte, ove non dovesse ritenere fondata la
censura, sollevi rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla portata interpretativa delle

6.1 Ritiene la ricorrente principale che l’Ufficio aveva tralasciato di applicare la disciplina in tema
di termini per la contabilizzazione a posteriori introdotta dagli artt.218 e 220 c.d.c., fissati
rispettivamente in due giorni per la contabilizzazione ed in due mesi, prorogabile per non oltre 14
giorni, per la contabilizzazione in materia di dumping. Ragion per cui gli atti di rettifica e di
contestazione dovevano essere annullati, avendo errato il giudice di appello nel ritenere che detti
termini, certamente dotati di natura perentoria, erano applicabili solo nei rapporti fra Stato e CEE.
6.2 Del resto, la stessa Corte di Giustizia- sent. in causa C-423-08 del 17 giugno 2010- aveva
confermato che il mancato rispetto di tali termini determinava la condanna dello Stato nei confronti
della Comunità. Ciò che imponeva la dichiarazione di annullamento dell’atto, al fine di evitare non
solo il reiterarsi di prassi illegittime, ma anche la condanna dello Stato italiano da parte della
giurisprudenza comunitaria.
6.3 Non poteva, anzi, sottacersi che il Tribuna! Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana,
posto di fronte ad analoga questione, l’aveva risolta ritenendo perentori i termini di cui alle
ricordate disposizioni.
6.4 L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza della censura, riferendosi i termini indicati
dalla ricorrente principale all’iscrizione dei maggiori dazi nella contabilità UE e non a quelli relativi
alla notifica degli atti impositivi nei confronti dei soggetti legittimati passivi.
7. La censura è infondata.
7.1 Ai fini di una più chiara comprensione della vicenda è necessario ripercorrere le misure
adottate in materia di dazi antidumping con riguardo alla Cina, al Vietnam ed al Laos rispetto
all’importazione nella Comunità europea di alcuni tipi di meccanismi per la legatura di fogli —
c.d.ring binder mechanism-.
7.2 Si tratta, in particolare, di congegni costituiti da due lame rettangolari o fili di acciaio, sui quali
sono fissati almeno quattro semianelli in filo di acciaio e che sono tenuti insieme da un rivestimento
di acciaio. Essi possono essere aperti mediante trazione dei semianelli o con un piccolo dispositivo
di acciaio a scatto fissato al prodotto in esame. Generalmente, tali meccanismi si compongono di
anello, lama, rivestimento, occhiello ed eventualmente scatto.
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disposizioni sopra ricordate.

7.3 Ciò posto, occorre premettere che l’art. 217, n. 1 c.d.c. dispone che «Ogni importo di dazi
all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale, in seguito
denominato “importo dei dazi”, deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga
degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne
faccia le veci ». Gli artt. 218 e 219 stabiliscono i termini per la contabilizzazione. E’ poi l’art. 220 —
nella versione ratione temporis vigente- a contemplare le ipotesi di contabilizzazione a posteriori,

contabilizzato ai sensi degli artt. 218 e 219 o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore
all’importo legalmente dovuto, la contabilizzazione dei dazi da riscuotere o che rimangono da
riscuotere deve avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale si è resa conto della
situazione in atto ed è in grado di calcolare l’importo legalmente dovuto e di determinarne il
debitore. Questo termine può essere prorogato conformemente all’art. 219 (…)».
Infine, l’art. 221, c.d.c. disponeva, fra l’altro, che « L’importo dei dazi deve essere comunicato al
debitore secondo modalità appropriate, non appena sia stato contabilizzato.»
7.4 Orbene, il codice doganale ha ripreso le disposizioni del Reg.CE n. 1854/89 relative al calcolo
dei dazi all’importazione o all’esportazione che dà inizio al procedimento per la riscossione del
debito doganale, quelle relative alla definizione della nozione di «contabilizzazione», nonché quelle
aventi ad oggetto il requisito della comunicazione dell’importo dei dazi secondo modalità
appropriate, non appena questo è stato contabiliz7nto.
7.5 Valgono, pertanto, i principi espressi dalla Corte di Giustizia a proposito dei termini disposti per
la contabilizzazione dei dazi, a cui tenore l’inosservanza da parte delle autorità doganali, all’atto del
recupero a posteriori dei dazi doganali, dei termini stabiliti dagli artt. 3 e 5 del regolamento n.
1854/89, non pregiudica la facoltà delle stesse autorità di procedere a tale recupero qualora
quest’ultimo venga effettuato rispettando il termine di tre anni ai sensi dell’art. 2, n. 1, del
regolamento n. 1697/79-successivamente riprodotto nell’art.221 c.d.c.-. Tale ultimo termine,
secondo la Corte europea, ha come unico obiettivo quello di garantire un’applicazione rapida e
uniforme, da parte delle autorità amministrative competenti, delle modalità tecniche di
contabilizzazione degli importi dei dazi all’importazione o all’esportazione. Ciò, peraltro, impone di
ritenere che l’inosservanza di tali termini da parte delle autorità doganali, pur potendo dare luogo al
pagamento di interessi di mora da parte dello Stato membro interessato alle Comunità, nell’ambito
della messa a disposizione delle risorse proprie, non pregiudica l’esigibilità dell’obbligazione
doganale. né la facoltà di tale autorità di procedere al recupero- Corte Giust. 26 novembre 1998,
causa C-370/96, Covita, punti 36 e 37;Corte giust. 7 settembre 1999, causa C- C-61/98, De Haan
Beheer BV, p.34-.
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prevedendo che «Quando l’importo dei dazi risultante da un’obbligazione doganale non sia stato

7.6 Orbene, i principi superiormente espressi devono ritenersi con certezza valevoli se rapportati
all’attuale disciplina dei termini di contabilizzazione, come si evince in modo chiaro da Corte
Giust.23 febbraio 2006, causa C-201/04, Belgische Staat, ove si è ritenuto che “… il codice
doganale ha ripreso, in sostanza, le disposizioni del regolamento n. 1854/89 relative al calcolo dei
dazi all’importazione o all’esportazione che dà inizio al procedimento per la riscossione del debito
doganale, quelle relative alla definizione della nozione di «contabilizzazione», poi aggiungendo

che la contabilizzazione, che consiste nell’iscrizione dell’importo dei dazi da parte delle autorità
doganali nei registri contabili o su qualsiasi altro supporto in loro luogo, deve necessariamente
precedere la comunicazione al debitore dell’importo dei dazi all’importazione o dei dazi
all’esportazione.” Si è nello stesso contesto aggiunto (par.47) che “…questo stesso approccio era
stato fatto proprio dal regolamento n. 1854/89 il cui quarto considerando faceva menzione dei
«termini entro i quali gli importi dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione contabilizzati
devono essere pagati», inoltre affermando che “…l’inosservanza dei termini fissati per la
contabilizzazione può dar luogo soltanto al pagamento di interessi di mora da parte dello Stato
membro interessato, nell’ambito della messa a disposizione delle risorse proprie”.
7.7 Tale conclusione, in definitiva, appare idonea a dimostrare che i termini riguardanti la
contabilizzazione non possono valere per il recupero degli importi, essendo stabiliti per fini
contabili e non anche per creare diritti per i singoli operatori, ciò risultando chiaro anche
considerando l’esistenza di un distinto termine di tre anni per il recupero, decorrente o dalla data
della contabilizzazione del debito doganale oppure, se non vi è contabilizzazione, dalla data in cui è
nato il debito doganale.
7.8 Le argomentazioni testò esposte escludono, dunque, la necessità di sollevare il chiesto rinvio
pregiudiziale.
7.9 Ed invero, è noto che -Cass.n.4776/2012; Cass.S.U. n. 12067 2007, Cass., sez. lav. n.
20403/2009 e Cass.n.22103/2007- il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo
di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee la questione di interpretazione di una
norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere
in presenza di un “acte claire” che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte,
ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (cfr.
Corte di Giustizia CEE 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfìt).
8. Con il secondo motivo si lamenta la violazione del Reg.CE n.119/97, come modificato dal
Reg.n.2100/2000, Reg.CE n.2074/2004, Reg.n.559/05, del Reg.CE n.33/2006 e del Reg.n.384/96 in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
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(p.46) che “…dalla inequivocabile formulazione dell’art. 221, n. 1, del codice doganale risulta…

8.1 Lamenta la parte ricorrente principale che l’Ufficio era partito dall’idea di potere applicare al
caso di specie il reg.CEE n.2100/2000 relativo ai dazi antidumping concernenti i meccanismi di
legatura dei fogli di origine cinese alle importazioni provenienti dal Laos, ancorchè tale condotta
risultasse impedita dal regolamento anzidetto, come era confermato dai successivi regolamenti
comunitari i quali, nell’estendere la misura antidumping per i medesimi prodotti di origine cinese a
quelli di provenienza Vietnam e Laos, non potevano operare per le importazioni anteriori rispetto

del provvedimento di inchiesta coincidente, per quel che riguardava il Laos, con il 14 aprile 2005.
8.2 Aggiungeva che nemmeno poteva farsi applicazione della disciplina dei regolamenti adottati per
i prodotti cinesi ai casi di aggiramento del dazio apprestato per dette merci, posto che l’art.13 par.3
del Reg.CE n.384/96- c.d. regolamento base in materia di dazi antidumping- aveva specificamente
disciplinato le ipotesi di comportamenti elusivi delle misure volte a contrastare il dumping
introdotte a livello comunitario, specificamente e dettagliatamente disciplinando un procedimento
complesso, nel quale era necessaria l’adozione di uno specifico Regolamento CE di apertura di
un’inchiesta, al quale seguiva l’adozione di altro regolamento di imposizione della misura, operante
dalla data di apertura dell’inchiesta. Ciò che era appunto avvenuto nel caso di specie con l’adozione
del Reg.n.559/2005 e del Reg.CE n.33/2006, efficace — quest’ultimo- a far data dal 14 aprile 2005
e, dunque, non operante nel caso di specie.
8.3 L’esistenza di una “riserva di regolamento” prevista dall’art.13 reg.n.384/96, peraltro connessa
al carattere fortemente limitativo della libertà commerciale sottesa alle misure antidumping,
impediva, dunque, di ritenere legittimo l’operato dall’Ufficio, non potendosi ritenere comunque
applicabile l’art.25 c.d.c. proprio perché derogato dalla disciplina speciale (che appunto
regolaval’ipotesi di assemblaggio considerata esistente dall’Ufficio) e successivamente introdotta a
livello comunitario. Né poteva giustificarsi tale ampliamento in forza dell’inciso finale contenuto
nello stesso art.13 cit., ove rinviava alle ulteriori disposizioni vigenti in materia di dazi.
8.4 Anche in questo caso la società rilevava, in via graduata, la necessità che questa Corte
promuovesse rinvio pregiudiziale sull’interpretazione della disciplina comunitaria.
9. L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza delle censure, in quanto nel caso specifico
l’Ufficio aveva applicato i dazi previsti dal Reg.119/97 e 2100/2000, ricadendo sull’operatore
l’onere di accertare la reale origine della merce.
9.1 Chiariva che non era stata fatta applicazione retroattiva del Reg.1733/03 e del reg.1208/04. Ciò
che escludeva la necessità di sollevare il rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia.
10. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa, insufficiente motivazione della sentenza, in relazione
all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. La CTR non aveva adeguatamente spiegato le ragioni che
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ai periodi di vigenza dei regolamenti, avendo applicazione retroattiva limitata al periodo di avvio

consentivano all’amministrazione di pretendere dalla società contribuente il dazio antidumping
imposto per i prodotti cinesi rispetto alle importazioni laotiane in relazione alla riserva di
regolamento introdotta dall’art.13 del reg.n.384/97 ed alla “retroattività limitata” imposta dalla
medesima disposizione ai due regolamenti CE che avevano esteso, ma soltanto per il periodo
successivo alle importazioni in esame, il dazio antidumping cinese per i meccanismi di legatura
fogli di provenienza laotiana.

secondo motivo.
12. I due motivi testé esposti meritano un esame congiunto ed appaiono infondati.
12.1 Giova premettere, ai fini di un più chiara comprensione della questione, che con Reg.CE n.
119/97 sono stati istituiti dazi antidumping definitivi sulle importazioni di alcuni tipi di
meccanismi per la legatura di fogli originari della Repubblica popolare cinese, poi aumentati
nell’importo con regolamento (CE) n. 2100/2000.
12.2 Con successivo regolamento (CE) n. 1208/2004 le misure istituite dal regolamento originario
sono state estese alle importazioni dei meccanismi per la legatura di fogli spediti dalla Repubblica
socialista del Vietnam e confermate dal Reg.CE n. 2074/2004 del Consiglio.
12.3 Per quel che riguarda il Laos, il 28 febbraio 2005 la Commissione CE riceveva dalla Ring
Alliance Ringbuchtechnik Handelsgesellschaft GmbH, per conto di produttori che rappresentano
una quota maggioritaria della produzione comunitaria di alcuni tipi di meccanismi, una domanda di
apertura di un’inchiesta sulla presunta elusione delle misure antidumping istituite sulle importazioni
di alcuni tipi di meccanismi originari della Cina. Nella domanda si sosteneva che le misure
antidumping in vigore sulle importazioni di alcuni tipi di meccanismi originari della Cina venivano
eluse mediante il trasbordo attraverso la Repubblica democratica popolare del Laos. La denunzia
assumeva, ancora, che le importazioni di alcuni tipi di meccanismi dalla Cina e dal Vietnam
sarebbero state sostituite da ingenti volumi di importazioni di alcuni tipi di meccanismi dal Laos.
12.4 L’inchiesta svolta dalle autorità comunitarie, nel corso della quale né i produttori cinesi, né
quelli vietnamiti o laotiani hanno fatto pervenire notizie, ha riguardato il periodo compreso tra
l’ 1 gennaio e il 31 dicembre 2004. Come emerge dalle premesse al Reg.CE 33/2006, è stato
acclarato che a seguito dell’istituzione di misure definitive sulle importazioni del prodotto in esame
dalla Cina verso la Comunità, le importazioni dalla Cina sono diminuite sensibilmente,
corrispondendo a tale diminuzione dapprima un aumento delle importazioni dei medesimi congegni
dal Vietnam e, successivamente all’estensione delle misure antidumping estese a tale Paese, una
contrazione delle importazioni. In questa ultima fase è poi stato verificato un aumento delle
importazioni dei meccanismi di cui si è detto dal Laos verso la Comunità-considerando 17 e 18
7

11. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, ribadendo quanto dedotto con riferimento al

Reg.CE n.33/2006-.
12.5 In definitiva, l’incremento delle esportazioni dal Laos, come risulta dal già ricordato Reg.CE
n.33/2006, è stato accertato dopo l’apertura, nell’agosto 2003, dell’inchiesta sulle importazioni di
meccanismi dal Vietnam, in tal modo coincidendo con la modifica della configurazione degli
scambi tra Cina, Vietnam e Laos da una parte, e la Comunità dall’altro.
12.6 Fatte queste necessarie premesse, rileva la Corte che gli avvisi di rettifica e gli atti di

periodo in cui non erano ancora in vigore le misure antidumping che la Comunità europea avrebbe
esteso a Vietnam e Laos per i medesimi meccanismi di legatura dei fogli, fossero in realtà di
origine cinese, con il duplice effetto, indicato dall’Ufficio, di elidere il carattere preferenziale della
merce in relazione alla provenienza del Paesi indicato dall’esportatore- che godeva di dazio
agevolato- e di rendere applicabile il dazio antidumping previsto per i medesimi prodotti di origine
cinese in base ai due regolamenti già ricordati (nn.119/97 e 2100/2000).
12.7 Orbene, di nessun pregio è, per l’effetto, la tesi difensiva nella parte in cui intenderebbe
affermare l’esistenza di una “riserva di regolamento” tale per cui alle merci di provenienza
vietnamita e laotiana sarebbe stato possibile applicare esclusivamente le misure antidumping
introdotte in forza dei Reg.CE Reg.559/2005(con riferimento al Laos).
12.8 Ed infatti, non è mai stato in discussione che, nel caso di specie, l’Ufficio abbia ritenuto di
applicare ai prodotti di provenienza laotiana(per quel che qui importa) o vietnamita i dazi introdotti
in seguito alle missioni degli organi ispettivi comunitari dai quali è poi scaturita l’adozione dei
regolamenti di cui si è detto nelle premesse.
12.9 Ed infatti, nel procedimento attivato dalla società contribuente si è discusso esclusivamente
delle rettifiche operate dall’amministrazione per non avere questa contestato l’origine preferenziale
dichiarata dall’importatore e per avere, parimenti, ritenuto l’origine cinese della merce, applicando
conseguentemente i dazi introdotti dalla disciplina regolamentare sicuramente in vigore rispetto alle
importazioni per le quali è processo, collocabili nel periodo immediatamente successivo al
dicembre 2004 e prima dell’entrata in vigore del 14 aprile 2005.
12.10 Né persuasivo appare il richiamo, operato dalla società contribuente, alla disciplina di cui
all’art.13 Reg.CE n.384/1996 ed alla necessità che le misure antidumping istituite a norma del
detto regolamento possono estendersi alle importazioni da Paesi terzi di prodotti simili o di loro
parti, se le misure in vigore vengono eluse, solo attraverso l’adozione di un apposito regolamentoqual è poi stato introdotto-, con le forme indicate nell’art.13 par. 3 (e nel successivo art.14),
regolando specificamente detta ultima disposizione i casi di assemblaggio elusivi.
12.11 Appare infatti evidente che le ragioni poste a base della rettifica da parte dell’ufficio
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contestazione sono partiti dal presupposto che i prodotti importati dalla società contribuente, nel

riposavano nel carattere integralmente elusivo dell’attività posta in essere in Laos da parte del
produttore cinese che, in ragione dell’esistenza dei dazi sui prodotti cinesi, aveva fatto figurare
partite di merce introdotte in territorio laotiano come materie prime ancorchè si trattasse di meri
componenti da inscatolare e, talvolta, da assemblare, peraltro posti in essere in assenza di
macchinari capaci di produrre le marce secondo le caratteristiche sue proprie.
12.12 Tale prospettiva era vieppiù avvalorata dal fatto che le stesse autorità fiscali laotiane avevano

comportasse l’acquisizione di un carattere di novità alla merce o che si potesse configurare né
trasformazione sostanziale né identificazione del prodotto di origine. Il tutto, mediante condotte che
assumevano i tratti di attività fittizia, destinata ad essere smantellata in ragione dell’applicazione dei
dazi antidumping successivamente disposti dalle autorità comunitarie con i regolamenti di cui si è
detto tanto per il Vietnam che, successivamente, per il Laos.
12.13 Ciò consente agevolmente di ritenere che nel caso di specie l’Ufficio doganale nazionale
abbia correttamente operato i propri controlli al fine di verificare l’origine del prodotto per come
dichiarato dall’importatore, proprio in relazione alla riserva contemplata dall’ultimo paragrafo
dell’art.13 reg.n.284/1997 il quale, ad onta di quanto diversamente opinato dalla società
contribuente, lascia inalterata l’applicazione delle ulteriori regole previste dal codice doganale
comunitario, fra le quali assume qui specifico rilievo l’art.24 del c.d.c.
12.14 In questa prospettiva, non si ravvisa alcun dubbio in ordine alla portata complessiva del
sistema che, per un verso, prevede l’adozione di misure antidumping in estensione rispetto ai paesi
che producono prodotti simili a quelli soggetti a dazi antidumping disposti dalla Comunità. Ipotesi
per le quali è stata introdotta una disciplina apposita, destinata a definirsi con l’adozione di un
regolamento comunitario dotato di efficacia temporale delimitata dall’apertura della istruzione.
12.15 Accanto a tale ipotesi non viene peraltro meno la possibilità che l’amministrazione doganale
provveda, nell’ambito dei controlli comunitari e nazionali disposti, ad accertare l’eventuale
insussistenza del carattere di origine preferenziale dichiarato dall’importatore, al fine di fruire
indebitamente del dazio preferenziale correlato al paese di origine dichiarato e di eludere
l’applicazione del dazio antidumping che risulta dovuto in ragione dell’effettiva origine dei prodotti
importati per come individuata sulla base delle indagini degli organi comunitari ispettivi. Pertanto
non viene, ad onta di quanto diversamente postulato dalla società contribuente in ricorso ed in
memoria, in discussione l’estensione indebita del regolamento che prevede i dazi in materia di
meccanismi di legatura dei fogli di origine cinese ma, per l’appunto, la sua diretta ed immediata
applicabilità in ragione della riscontrata origine cinese proprio in relazione al combinato disposto
degli artt.24 e 25 c.d.c., sicuramente applicabili alla fattispecie proprio in ragione della norma di
9

confermato che in quel paese si era svolta la mera attività di assemblaggio senza che tale attività

chiusura contenuta nell’art.13 ult.par.del Reg.CEE n.384/96, tale da escludere che le attività
ispettive compiute a livello comunitario dalle quali emerga l’effettiva origine della merce già
sottoposta a dazio antidumping vengano vanificate, impedendo alle autorità doganali di verificare
l’origine anzidetta.
12.16 Nè persuasiva risulta, pertanto, la prospettiva della società contribuente volta a ritenere
un’incompatibilità tra la disciplina di cui ai richiamati artt.24 e 25 c.d.c. e l’art.13 reg.CEE n.384186

la procedura inizialmente rivolta a verificare l’esistenza di pratiche elusive per i medesimi
meccanismi di legatura fogli prodotti in Tailandia, risultando detto considerando rivolto ad
escludere l’esistenza di un’attività di mero assemblaggio da parte della società tailandese sottoposta
a verifica, dopo che i controlli avevano dimostrato che, in effetti, i meccanismi erano stati
integralmente prodotti in quel Paese.
12.17 In definitiva, la motivazione sul punto esposta dalla CTR appare, pertanto, esaustiva ad onta
di quanto postulato dalla società contribuente, evidenziando in modo chiaro i passaggi logici che
hanno condotto il giudicante a disattendere la tesi difensiva esposta, tutti incentrati
sull’individuazione degli elementi, tratti dalla relazione Olaf, alla stregua dei quali la merce
importata dal Laos era, in effetti, di provenienza cinese. Non ricorre, pertanto, alcun dubbio in
ordine alla portata complessiva dei regolamenti comunitari sopra richiamati. Ciò che esclude
l’obbligo di sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia pure sollecitato dalla società
contribuente.
13.0ccorre a questo punto passare all’esame dei motivi 4, 5, 6, 9 e 10.
Con il quarto motivo si prospetta il vizio di contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia. La CTR, pur riconoscendo il carattere di prova al certificato Form A, aveva poi deciso
di risolvere la controversia basandosi esclusivamente sulla relazione dell’ Olaf, peraltro dotata di
scarso contenuto probatorio, tralasciando di considerare il valore delle certificazioni sopra ricordate,
tanto più che le autorità interne non si erano avvalse del meccanismo collaborativo di cui all’art.94
reg.CEE n.2454/1993, coinvolgendo le autorità laotiane. Le quali ultime avrebbero potuto chiarire il
significato della lettera “W”, riportata proprio nel Form A, dalla quale doveva trarsi il
convincimento che le merci erano state sufficientemente trasformate e lavorate in quel Paese,
indicando in realtà il termine “worked”. Ciò che avrebbe anche consentito di acclarare se l’attività
di assemblaggio svolta in Laos era in grado di conferire l’origine laotiana della merce.
13.1 Peraltro la motivazione della sentenza era contraddittoria, avendo dapprima la CTR affermato
che il Form A costituiva una delle prove e, successivamente, considerato tale certificazione
tamquam non esset.
10

nemmeno apparendo probante il richiamo al considerando 15 del Reg.223 1/2004/CE che ha chiuso

14. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure, evidenziando la piena valenza probatoria
della relazione Olaf proprio in ragione del coinvolgimento di diversi Stati nelle sospette irregolarità
che imponevano l’effettuazione delle missioni da parte degli organi investigativi comunitari.
14.1 Infatti, le autorità vietnamite erano state pienamente coinvolte nelle indagini ed avevano
consegnato copia di tutte le dichiarazioni doganali e dei documenti giustificativi relativi alle
importazioni di componenti forniti alla società OXMCL dalla società HKS, risultanti di origine

prime) e non con la voce 8305 relativa ai meccanismi di legatura di fogli finiti ancorchè non
assemblati.
14.2 Aggiungeva che il rapporto Olaf aveva evidenziato le ragioni di siffatto sistema, rivolto per un
verso a fruire dell’esenzione daziaria per le importazioni di materie prime e, per altro verso, ad
avvantaggiare gli importatori della merce acquistata dal Vietnam, sostenendo che ivi si era
realizzata una trasformazione essenziale della merce, in modo da fruire del trattamento
preferenziale previsto dal Sistema delle Preferenze generalizzate per eludere il dazio antidumping
per la merce di origine cinese.
14.3 Chiariva che nel rapporto Olaf si era accertato che l’assemblaggio avvenuto in Vietnam non
conferiva l’origine vietnamita, in base all’a11.15 DAC. Peraltro, l’amministrazione aveva provato la
falsità dei certificati Fonti A, ragion per cui doveva essere non solo esclusa l’origine preferenziale,
ma anche applicato il dazio antidumping.
15. Con il quinto motivo si prospetta la violazione degli artt.81 e 84 Reg.CEE n.2454/93, dell’art.9
par.2 del Reg.n.1073/99, nonché degli artt.115 c.p.c. e 24 d.lgs.n.546/92 e degli artt.2697 e 2700
c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta la società contribuente che la CTR,
tralasciando di considerare i certificati Form A, aveva violato le disposizioni normative anzidette,
risultando i certificati dotati del valore di “atti pubblici”, avendo la dogana laotiana attestato
l’origine Laos della merce. Ragion per cui solo la dimostrazione specifica in ordine alla non
corrispondenza di tale dichiarazione alla realtà avrebbe potuto giustificare la decisione della CTR
che, al contrario, si era basata solo sulle risultanze della relazione Olaf datata 30 marzo 2005, la
quale aveva valenza probatoria privilegiata quanto alla provenienza dl pubblico ufficiale, ma non
certo in ordine a quanto ivi affermato, essendosi i fatti per i quali era causa, collocati temporalmente
fino al settembre 2003- così si legge in ricorso-. Peraltro, il criterio di individuazione dell’origine
dei meccanismi individuato dall’Olaf, per il quale la merce era stata indicata con una voce doganale
diversa da quella dei suoi componenti, era opinabile, come irrilevante era la circostanza che non
esistessero i macchinari necessari per la produzione dei meccanismi, non essendo stati i prodotti
importati sottoposti ad un processo di cromatura, ma semplicemente ad un trattamento di
11

cinese. Questi ultimi elementi erano stati dichiarati con la voce doganale 7326 (relativa alle materie

nichelatura. In definitiva, il valore della relazione Olaf era quello delle relazioni amministrative
degli ispettori nazionali, non era dotato di fede privilegiata, si riferiva al periodo Novembre 2004 e,
dunque, non era pertinente rispetto alle vicende.
16. L’Agenzia ha dedotto l’erroneità della censura.
16.1 Osservava, quanto al rilievo fondato sull’art.94 DAC, che in caso di possibili frodi doganali i
controlli riguardanti una pluralità di dogane coinvolte richiedevano lo svolgimento delle indagini da

con le Dogane dei singoli Paesi. Proprio nell’ambito di tale attività la relazione Olaf aveva acclarato
la falsità ideologica dei certificati Form A emessi su richiesta della società OXMCL e sulla base di
tale attività la Dogana di Genova aveva provveduto alle rettifiche. Ogni altra ipotesi operativa
doveva ritenersi dispendiosa, creando una duplicazione di controlli già effettuati.
16.2 Aggiungeva che la relazione Olaf aveva riconosciuto l’origine cinese sulla base di diversi
fattori, non soltanto correlati all’inesistenza di macchinari deputati alla produzione dei prodotti
accertata nel corso della missione risalente al periodo novembre-dicembre 2004, ma anche
all’esame della documentazione attestante l’acquisto dalla Cina di componenti finiti, ancorchè non
assemblati, dichiarandoli con un’errata voce doganale al fine di potere presentare la richiesta per
l’emissione dei certificati FORM A.
16.3 Precisava che le modalità di attribuzione dell’origine delle merci da parte dell’Olaf aveva
seguito le regole doganali vigenti e che proprio i funzionari dell’Olaf avevano verificato la
documentazione relativa all’importazione di “materie prime” dalla Cina, constatando che la stessa
riguardava componenti finiti per i quali la dichiarazione mendace era finalizzata ad eludere
l’applicazione daziaria.
16.4 Doveva poi escludersi che nella relazione Olaf fossero stati emessi dei meri giudizi, avendo
quell’organo fatto corretta applicazione dell’art.904 Reg.CEE n.2454/93, alla cui stregua non si
poteva procedere a rimborso o sgravio in caso di documenti falsi, anche se presentati in buona fede.
Del resto, i certificati Form A venivano predisposti dall’esportatore senza che all’autorità doganale
che avevano emesso le certificazioni in assenza di controlli preventivi fosse impedito di svolgere,
successivamente, le verifiche opportune. Ed era poi l’importatore che si sarebbe potuto tutelare
rispetto all’assenza dell’origine dichiarata dall’esportatore.
17. Con il sesto motivo si prospetta il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, in relazione
all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta la società contribuente che la CTR non aveva considerato
come le importazioni rilevanti, compiute fra il gennaio ed il marzo 2005, si riferivano a periodo
anteriore a quello esaminato dalla relazione OLAF, risalente al dicembre 2004; epoca nella quale,
peraltro, non era mai stata esaminata la posizione della società contribuente. Peraltro, dalla stessa
12

parte dell’OLAF proprio al fine di una gestione unitaria della questione, collaborando tale organo

relazione era emerso che tre macchinari di produzione erano stati spediti dal Vietnam al Laos
nell’ottobre 2004 e, dunque, posteriormente alle prime esportazioni dal Laos dei meccanismi in
esame. Ora, tale circostanza non consentiva affatto di ritenere che nello stabilimento laotiano non vi
fossero altri impianti idonei a produrre i meccanismi, tanto piu’ che era emersa l’esistenza di una
licenza di produzione in Laos in testa al direttore della EAP . Peraltro, la relazione Olaf aveva tratto
dalla visita ispettiva in Vietnam (nel corso della quale era emerso l’invio, nell’agosto 2004, di un

stoccaggio di tali materie in Laos, senza avvedersi che tale dato di fatto non consentiva affatto di
ritenere che in Laos non fossero pervenuti in precedenza altri materiali da utilizzare per la
produzione dei meccanismi per la legatura dei fogli. Ed in ogni caso tali risultanze confermavano
che in Laos vi erano state importazioni finalizzate alla produzione di siffatti meccanismi, non
realizzandosi attività di mero assemblaggio. Ciò che era comprovato anche dalle fotografie allegate
alla relazione OLAF, dalle quali risultavano sei presse a taglio pesanti necessarie a realizzare i
meccanismi di cui si e’ detto. D’altra parte, le ricordate risultanze confermavano che all’epoca delle
importazioni realizzate dalla società contribuente erano esistenti in Laos i macchinari per produrre i
meccanismi, ad onta di quanto affermato nella relazione Olaf.
17.1 Aggiungeva che l’affermazione, espressa dalla relazione Olaf, per cui in Laos non si era
realizzata alcuna lavorazione-trasformazione sostanziale, mancando i macchinari per l’attività di
cromatura, aveva tralasciato di considerare che le importazioni realizzate dalla società contribuente
avevano riguardato meccanismi per i quali si era realizzata la fase di nichelatura in Laos e non di
cromatura. Vanamente era stata chiesta nel corso del giudizio una ctu per verificare le
caratteristiche dei prodotti importati, non avendo il giudice di merito esaminato tale richiesta.
17.2 Specificava, inoltre, che la relazione OLAF aveva erroneamente enfatizzato la circostanza che
la merce dalla Cina in Laos era stata importata usando un codice relativo alle materie prime -7220per ingannare le autorità laotiane. In realtà in Laos, come emerso dalla stessa relazione OLAF, si
erano avute importazioni di materie prime e componenti, utilizzando la voce tariffaria 7326 che si
riferiva ad ” altri lavori di ferro o acciaio”. Emergeva, ancora una volta, l’erroneità della decisione
impugnata che si era limitata a ricopiare la relazione OLAF, tralasciando le critiche
dettagliatamente esposte dalla difesa della società.
17.3 La stessa CTR, del resto, aveva ipotizzato l’esistenza di una società fantoccio costituita in
Laos per la produzione di meccanismi al solo fine di eludere i dazi antidumping per le merci cinesi,
tralasciando di considerare che in Laos si era effettivamente svolta quanto meno l’attività di
assemblaggio.

13

consistente quantitativo di acciaio laminato a freddo al Laos) elementi in ordine al mancato

18. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure, evidenziando che la missione Olaf, ad onta
di quanto ritenuto dalla società ricorrente, non era affatto limitata al controllo delle sole operazioni
svolte durante la visita ispettiva, risultando piuttosto dalle pagine iniziali della relazione che essa
intendeva “determinare la vera origine dei prodotti in questione esportati nella comunità dalla fine
di maggio 2002 e quindi stabilire se tali merci fossero soggette ad antiduping”. A nulla poi rilevava
il fatto che la società contribuente non fosse stata menzionata nel rapporto Olaf, risultando il

Né la motivazione della sentenza poteva ritenersi insufficiente.
19. Con il nono motivo si prospetta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione
dell’a11.15 reg.2454/1993 e dell’art.24 del c.d.c., inoltre sostenendosi la violazione del giudicato
interno formatosi sull’inapplicabilità del ricordato al1.15. Lamenta la contribuente che la relazione
OLAF aveva utilizzato, per ricostruire l’origine delle merci, un criterio giuridicamente errato
considerando, ai fini del carattere non preferenziale- regolati dall’a11.15-, gli stessi parametri
previsti per l’individuazione del carattere preferenziale delle merci, ancorché ciò non si ricavasse
affatto dall’art.24 CDC, questo consentendo di considerare come avvenuta una trasformazione
sostanziale pur in assenza di un prodotto nuovo. Ciò purché risulti realizzata una fase importante
del processo di lavorazione.
19.1 Evidenziava che il giudice di primo grado aveva escluso l’applicazione del criterio contemplato
dall’allegato 15 al reg.n.2454/1993 cit. E poiché sul punto si era formato un giudicato implicito
interno, la CTR non avrebbe potuto limitarsi a rinviare alla relazione OLAF che aveva condiviso
tale parametro.
19.2 A conferma della censura veniva poi richiama la giurisprudenza comunitaria e di questa stessa
Corte che valorizza la possibilità di attribuire l’origine del prodotto anche per effetto del solo
assemblaggio, risultando totalmente irrilevante il cambiamento della classificazione tariffaria.
20. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure, precisando che nel rapporto Olaf era stato
adeguatamente e correttamente indicata la definizione di prodotto nuovo ai fini dell’applicazione
dell’art.24 c.d.c., facendosi riferimento al “prodotto con voce doganale diversa da quella dei suoi
componenti”. Precisava che i criteri fissati dall’art.24 cit. riguardavano anche l’origine non
preferenziale, occupandosi il reg.2454/93- e proprio l’all.n.15- dei criteri da utilizzare per l’origine
preferenziale, fra i quali la voce doganale 8035 comprendeva “la fabbricazione a partire da materiali
di qualsiasi voce, esclusi quelli della stessa voce del prodotto”. Era pertanto corretta l’affermazione
contenuta nella relazione Olaf, alla cui stregua l’attribuzione dell’origine preferenziale e
dell’origine non preferenziale coincidono. Nemmeno era vero che il giudice di primo grado avesse
escluso l’applicazione dell’ali. 15 cit. al caso di specie e che, sul punto, si fosse formato il giudicato
14

comprovato coinvolgimento della società sua fornitrice nel commercio elusivo dei prodotti cinesi.

interno parziale, avendo la CTP pienamente condiviso la posizione dell’Ufficio, ritenendo provata
l’origine cinese della merce.
20.1 Nemmeno poteva ritenersi decisivo il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte sul tema
dell’assemblaggio, né a quella comunitaria, riferentesi ad un caso specifico(concernente le
magliette) per il quale era proprio la normativa comunitaria a determinare dei criteri diversi rispetto
a quelli previsti per le merci in esame.

all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR aveva tralasciato di considerare che l’attività di
assemblaggio svolta pacificamente in Laos era in grado di integrare l’ultima trasformazione
rilevante e dunque l’origine laotiana della merce, peraltro aggiungendo che dalla perizia giurata era
emerso che in Laos era stato svolto almeno il 97 % delle lavorazioni con macchinari adeguati e
specifici. Ribadiva che il carattere decisivo attribuito dalla relazione Olaf alla cromatura dei
meccanismi era smentito dal fatto che la merce importata presentava il diverso processo di
nichelatura, che rendeva il prodotto resistente agli agenti atmosferici.
21.1 Precisava che dalla perizia di parte era emerso che tutte le attività principali che consentivano
di individuare in Laos l’origine del prodotto erano state ivi effettuate, unitamente alla produzione di
lame di acciaio, indispensabili alla produzione dei meccanismi di legatura, sicchè erano
incomprensibili le conclusioni della CTR, nella parte in cui avevano tralasciato l’esame della
perizia. Senza ancora considerare che già solo l’attività di assemblaggio avrebbe consentito di
attribuire il carattere di origine laotiana ai prodotti, alla stregua della giurisprudenza comunitaria.
Ciò perché l’attività di assemblaggio, che pure richiedeva un’attività di perizia e precisione elevate,
era tale da trasformare i pezzi separati, inizialmente inerti, nei meccanismi di legatura costituiti
dagli anelli perfettamente allineati, dotati di scatto adeguato e di forza sufficiente di chiusura e di
adeguata chiusura della custodia.
22. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure, richiamando quanto esposto con riguardo al
precedente motivo. Infatti, era stato dimostrato che la società OXMCL importava dalla Cina
componenti cui la normativa comunitaria attribuiva la medesima voce doganale del prodotto
assemblato. Ragion per cui, sulla base dell’a11.15 DAC, importandosi ed esportando un prodotto
rientrante sempre nella voce doganale 8305, la lavorazione eseguita non era sufficiente a conferirgli
il carattere di origine Vietnam. Per tali ragioni la perizia di parte non poteva ritenersi attendibile,
posto che la scelta della società OXMCL di dichiarare alla voce 7326 la merce che andava, invece,
classificata con il codice 8305 al fine di ottenere il rilascio dei certificati Form A per i prodotti
esportati verso la Comunità, era funzionale ad eludere il dazio antidumping previsto per i prodotti
cinesi.
15

21. Con il decimo motivo si prospetta l’insufficiente motivazione della sentenza, in relazione

23. I motivi di ricorso sopra riportati, che meritano un esame congiunto in relazione alla loro stretta
connessione censura, sono infondati.
23.1 Ed invero, ad onta di quanto postulato dalla società contribuente, l’efficacia attribuita dalla
CTR alla relazione Olaf si muove sui binari già tracciati dalla giurisprudenza di questa Corte e del
giudice comunitario, alla cui stregua gli accertamenti compiuti a posteriori dagli organi esecutivi
della Commissione per la lotta antifrode (OLAF), ai sensi del Reg. CEE n. 1073 del 1999, hanno

ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di
applicabilità del regime agevolativo-cfr., fra le altre, Cass.n.18403/12 che pure richiama Cass.
n.4997/2009-. Non è, infatti, in discussione il principio per cui in materia di tributi doganali,
l’applicazione del regime di agevolazioni tariffarie concesse in base ad un regime preferenziale di
origine della merce presuppone la prova della regolarità formale e sostanziale della documentazione
attestante l’effettiva origine della stessa, che, in applicazione del principio affermato dalla sentenza
della Corte di Giustizia del 14 maggio 1996, C- 153/94 e C-204/94, può essere fornita unicamente
attraverso il certificato di origine (nella specie, Form A). Ma nemmeno può dubitarsi che tali
certificazioni sono tuttavia passibili di verifica da parte delle autorità doganali dello Stato di
destinazione e che (Cass.n.5892/13). In questi casi, infatti, si realizza l’inversione dell’onere della
prova a carico del debitore per evitare la contabilizzazione “a posteriori” dei dazi dovuti, quando il
certificato sia stato rilasciato sulla base di una dichiarazione dell’esportatore, ritenuta falsa a seguito
di indagini dei competenti organismi nazionali e/o comunitari.
23.2 Proprio l’affermazione di principio appena espressa mette, d’altra parte, in evidenza come in
ragione degli accertamenti ispettivi degli organi comunitari è il contribuente a dovere dimostrare
l’origine ed il carattere preferenziale della merce. Erra, dunque, la parte contribuente nel ritenere
che la CTR ha svalutato il valore delle certificazioni Form A, essendosi il giudice di appello
(correttamente) limitato a non considerare rilevante, ai fini della prova del carattere laotiano della
merce, quelle certificazioni che l’autorità ispettiva comunitaria aveva accertato essere false; il tutto
dopo che le stesse autorità laotiane avevano concordato che la merce importata dalla Cina e
presentata alle autorità laotiane, ben lungi dall’essere una materia prima da lavorare come
dichiarato in sede di importazione, integrava dei veri e propri componenti semplicemente
assemblati in quest’ultimo Paese.
23.3 Del resto, si è anche di recente chiarito che il certificato FORM A attestante l’origine della
merce importata nell’Unione europea dei Paesi in via di sviluppo non è precostituito a garanzia della
pubblica fede, ai sensi degli arti. 2699 e 2700 cod. civ., in quanto, secondo detta disciplina, esso è
rilasciato a seguito di domanda scritta dell’esportatore o del suo rappresentante autorizzato (art. 81,
16

piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che

terzo comma) ed è sottoposto alla sola verifica che il formulario del certificato e la domanda siano
debitamente compilati (art. 81, settimo comma).Ragion per cui non può dubitarsi della legittimità
del controllo “a posteriori” sull’esattezza dell’origine indicata nel certificato -cfr.Cass.n.6637/13-.
23.4 Senza ulteriormente considerare, valendo tali considerazioni con generale riferimento a tutte le
censure esposte dalla società contribuente in ordine all’erroneità delle conclusioni esposte nella
relazione Olaf, che le stesse contestazioni operate dalla società contribuente alle conclusioni

monte, prive del carattere di specificità per non avere la società contribuente riportato nei suoi tratti
essenziali l’intero contenuto della relazione ispettiva verso il quale si appuntavano le critiche
esposte dalla contribuente. Risulta, infatti, impedita a questa Corte quell’attività di verifica che la
contribuente sollecita ipotizzando illogicità varie correlate ad elementi spesso non risultanti dalla
sentenza resa dalla CTR, soprattutto quando la società contribuente tenta di prospettare l’assenza di
coerenza della sentenza impugnata per effetto dell’omesso o incongruo esame, da parte dell’Olaf, di
elementi fattuali dei quali non vi è traccia nella sentenza impugnata.
23.5 Né ad inficiare il ragionamento condotto dalla CTR può valere la circostanza che gli
accertamenti dell’Olaf non riguardarono direttamente le importazioni della società contribuente, se
solo si consideri che le verifiche compiute hanno pacificamente riguardato un lasso di tempo a
ridosso delle importazioni stesse; né la società contribuente ha in alcun modo dimostrato, come ha
puntualmente evidenziato la CTR, che le importazioni in parola fossero frutto di un sistema di
messa in commercio dei meccanismi di legatura fogli diverso da quello, ben rodato, che aveva
condotto il reale produttore cinese a realizzare in modo solo apparente la produzione in Laos ed in
Vietnam, proprio al fine di eludere le misure antidumping fissate per i prodotti cinesi e per
consentire agli importatori di fruire dei benefici fiscali correlati all’apparente origine preferenziale
della merce.
23.6 Quanto all’asserita omessa ponderazione, da parte della CTR, degli elementi prospettati dalla
perizia di parte, occorre rammentare che nel giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento, il
giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le
risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo
sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende
fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti
morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni
difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale-cfr.Cass.

n.

16650/2011;Cass. n. 259/2013-. Ciò che è in grado di confutare le censure sul punto spiegate dalla
contribuente. Peraltro la complessiva ponderazione del materiale probatorio operata dalla CTR non
17

esposte nella più volte evocata relazione OLAF e trasfuse nella complessa censura appaiono, a

può essere posta in discussione in questa sede, attenendo al giudizio di merito svolto dal giudice di
appello, non essendo stati offerti significativi elementi per potere inferire che le valutazioni
espresse dalla CTR siano inficiate da illogicità o incongruità manifesta o, ancora, fondate su
valutazioni giuridiche erronee, nemmeno risultando che gli elementi esposti in perizia assumessero
il carattere della decisività, come è noto indispensabile per inferire l’incompiuta valutazione del
materiale probatorio da parte del giudice di merito. Ciò perché la società contribuente intenderebbe

è, per contro, snodato su una trama argomentativa logica e coerente. Partendo, infatti, dalle attività
di erronea classificazione delle merce in ingresso in Laos, il giudice di merito ha ritenuto che le sole
attività di inscatolamento e in qualche caso di assemblaggio compiute in quest’ultimo Paese non
fossero in grado né di incidere sul carattere originario cinese della merce, né tanto meno di conferire
l’origine preferenziale, correlata all’assenza di attrezzature specifiche in loco per effettuare le
lavorazioni “idonee alla identificazione del prodotto di origine del paese di esportazione”. La stessa
CTR ha poi aggiunto che proprio l’esistenza di pattuizioni fra esportatore ed importatore dirette a
garantire la restituzione della merce a causa dell’eccessiva onerosità dei dazi dimostrava come
esistesse un accordo con il cliente volto a tentare la elusione attraverso la interposizione fittizia di
altro Paese finchè ciò fosse stato possibile, realizzando strutture simboliche in Laos facenti capo
comunque all’esportatore cinese, ciò risultando “ampiamente dettagliato e circostanziato dalla più
volte citata relazione OLAF al cui contenuto si rimanda per eventuali approfondimenti”. Ed è bene
evidente che rispetto alla logica e coerente ricostruzione degli eventi esposta dalla CTR, appaiono
vani i tentativi della parte ricorrente di contestare, in modo parcellizzato, il contenuto della
relazione, peraltro come detto mai riprodotta nel ricorso.
23.7 Nemmeno persuasivo appare il ragionamento della società contribuente laddove assume che le
autorità laotiane sarebbero state estromesse dall’attività di controllo doganale avendo, per converso,
lo stesso giudice di appello riferito che le medesime autorità doganali avevano condiviso
l’affermazione, espressa nella relazione Olaf, per cui in quel Paese si era realizzata un’attività di
mero assemblaggio, in tal modo dimostrandosi il diretto coinvolgimento di quelle autorità
nell’attività di controllo che, d’altra parte, investendo diversi Paesi esterni alla comunità, non
poteva che prendere corpo dalle verifiche facenti capo, direttamente, alla Comunità medesima, le
cui risorse finanziarie erano in gioco.
23.8 Ed è appena il caso di aggiungere che non può la società contribuente dolersi del fatto che a
causa del mancato coinvolgimento delle autorità doganali del Laos non vi siano elementi per
dimostrare che la lettera “W” apposta sul certificato Form A attestasse che in quel Paese vi era stata
una lavorazione tale da giustificare l’origine della merce, risultando come si è visto, non solo che
18

frazionare, in modo invero non ammissibile, il ragionamento complessivo esposto dalla CTR che si

tale coinvolgimento vi fu ma anche, per quanto detto, che l’onere della prova dell’origine della
merce ricadeva sulla società contribuente e non sull’Ufficio dopo che la relazione Olaf aveva
esposto gli elementi recepiti dalla CTR a sostegno della falsità delle certificazioni rilasciate dalle
autorità doganali.
23.9 Erra, ancora, la società contribuente nel ritenere che i commissari Olaf avrebbero dovuto
provare che nello stabilimento laotiano mancava qualsiasi macchinario idoneo alla produzione, in

doveva essere la società a dimostrare tale esistenza e, ancora, che tali macchinari avessero prodotto
la merce importata. Non agevolmente comprensibile, d’altra parte, risulta l’assunto della
contribuente laddove intenderebbe provare tale circostanza attraverso il rilascio di licenza di
produzione al direttore di produzione dell’EAP o dagli altri assolutamente equivoci elementi
indicati nella difese dalla società anzidetta. Cosiccome inammissibile e privo di rilevanza risulta il
richiamo, operato in sede di ricorso, a fotografie — non considerate dalla CTR- che riprodurrebbero
nel sito produttivo del Laos di “presse a taglio pesanti”, apparendo alla Corte non agevolmente
comprensibile il rilievo che tali riproduzioni potrebbero avere rispetto all’onere di provare che la
merce importata era stata prodotta in Laos dagli anzidetti macchinari. Immune da vizi è, dunque, sul
punto la decisione impugnata.
23.10 Per quel che poi riguarda la questione relativa all’origine, preferenziale e non dei prodotti,
giova premettere che secondo l’art. 24 del codice doganale comunitario «Una merce alla cui
produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima
trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa
attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia
rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione».
23.11 L’art. 25 dello stesso codice dispone, poi, che «Una trasformazione o lavorazione per la
quale è accertato o per la quale i fatti constatati giustificano la presunzione che sia stata effettuata
per eludere le disposizioni applicabili nella Comunità alle merci di determinati paesi, non può in
alcun modo essere considerata come conferente, ai sensi dell’articolo 24, alle merci così ottenute
l’origine del paese in cui è effettuata».
23.12 Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, dall’art. 24 del codice doganale
emerge che, qualora più paesi abbiano contribuito alla produzione di una merce, quest’ultima è
considerata come originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione
sostanziale, operazione economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale
scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase
importante del processo di fabbricazione.
19

quanto a fronte dal complesso compendio di elementi evidenziati dall’Olaf e recepiti dalla CTR

23.13 Al riguardo, la Corte ha dichiarato che dall’art. 5 del regolamento (CEE) del Consiglio 27
giugno 1968, n. 802, relativo alla definizione comune della nozione di origine delle merci,
disposizione che ha preceduto l’art. 24 del codice doganale, ma redatta in termini identici a
quest’ultimo, risulta che il criterio determinante è quello dell’ultima trasformazione o lavorazione
sostanziale (sentenze 13 dicembre 1989, causa CE26/88, Brother International, punto 15, e 13
dicembre 2007, causa C E372/06, Asda Stores, punto 32).

Industrieerzeugnisse, ha dichiarato che, se è pur vero che le regole di elenco elaborate dalla
Commissione contribuiscono a determinare l’origine non preferenziale delle merci, tali regole non
sono giuridicamente vincolanti. Pertanto, il contenuto di queste regole deve essere conforme a
quelle in materia di origine, come quella enunciata all’art. 24 del codice doganale, e non può
modificarne la portata. Tale constatazione vale anche per le note introduttive.
23.15 Per quanto poi concerne la questione della pertinenza del criterio del cambiamento di
classificazione tariffaria, canone risultante dalle regole di elenco, al fine di determinare se le
operazioni costituiscano una trasformazione o una lavorazione che conferisce il carattere originario
ai sensi dell’art. 24 del codice doganale, è stata ancora la Corte di giustizia a dichiarare che non
basta ricercare i criteri per la determinazione dell’origine delle merci nella classificazione doganale
dei prodotti trasformati, giacché la tariffa doganale comune è stata concepita in funzione di esigenze
specifiche, non già al fine di consentire la determinazione dell’origine delle merci (v. sentenze
Gesellschaft ftir eberseehandel, punto 5; 23 marzo 1983, causa 162/82, Cousin e a., punto 16,
nonché HEKO Industrieerzeugnisse, punto 29).Nè si è mancato di sottolineare che, sebbene sia
certamente esatto che il cambiamento di classificazione tariffaria di una merce, dovuto
all’operazione di trasformazione di essa, costituisce un’indicazione del carattere sostanziale della
sua trasformazione o della sua lavorazione, cionondimeno una trasformazione o una lavorazione
può avere carattere sostanziale anche in mancanza di un siffatto cambiamento di classificazione
tariffaria ( sentenza HEKO Industrieerzeugnisse, punto 35). Tale constatazione si applica altresì al
criterio del cambiamento di classificazione tariffaria-cfr.Corte giust. 11 febbraio 2010, causa C373/2008, Hoesch Metals and Alloys GmbH, p.43-.
23.16 Da ciò consegue che, per determinare se le operazioni di trasformazione sono state idonee a
conferire il carattere originario tenuto conto delle condizioni di cui all’art. 24 del codice doganale,
devono essere presi in considerazione criteri diversi da quello relativo al cambiamento di
classificazione tariffaria.
23.17 Infatti, la determinazione dell’origine delle merci va fatta in base ad una distinzione
oggettiva e concreta fra prodotto base e prodotto trasformato, tenendo conto in sostanza delle
20

23.14 Peraltro, la Corte stessa, nella sua sentenza 10 dicembre 2009, causa CE260/08, HEKO

caratteristiche materiali specifiche di ciascuno dei suddetti prodotti (v. v. Corte giust., 26 gennaio
1977, Causa 49/76, Gesellschaft fiir (Jberseehandel, p. 5; Corte giust., 23 marzo 1983, causa C162/82, Cousin e a., punto 16, nonché Corte Giust., HEKO Industrieerzeugnisse, cit., punto 29;
Corte giust. 13 dicembre 2007, causa C-372/06, Asda Stores Ltd)). Nel rendere i superiori
chiarimenti la Corte europea ha quindi ritenuto che l’ultima trasformazione o lavorazione deve
ritenersi «sostanziale», ai sensi dell’art. 24 del codice doganale, solo qualora il prodotto che ne

tale trasformazione o lavorazione. Ne consegue che le operazioni che modificano l’aspetto esteriore
del prodotto ai fini della sua successiva utilizzazione, lasciandone sostanzialmente inalterate, sotto
il profilo qualitativo, le caratteristiche essenziali, non possono determinare l’origine del prodotto
stesso (v. sentenze Gesellschaft ftir eberseehandel, cit., punto 6; 23 febbraio 1984, causa 93/83,
Zentrag, punto 13, e HEKO Industrieerzeugnisse, cit., punto 28).
23.18 D’altra parte, è la stessa Corte di Giustizia a precisare che le operazioni di trasformazione di
un prodotto che non ne comportano una modifica sostanziale delle proprietà e della composizione,
dato che esse consistono soltanto in una ripartizione e in una modifica del suo aspetto esteriore, non
costituiscono, per contro, una modifica qualitativa abbastanza marcata tale da poter essere
considerata come fabbricazione di un prodotto nuovo ovvero come costituente una fase importante
della fabbricazione di detto prodotto (v., in tal senso, Corte giust. Zentrag, punto 14).
23.19 Principi, questi ultimi, che la Corte (Corte giust. 13 dicembre 2007, causa C-372/06, cit.,
p.36) ha ribadito anche di recente occupandosi del c.d. assemblaggio dei componenti. In particolare,
si è ribadito che “…per quanto riguarda la questione se un’operazione di assemblaggio di diversi
elementi costituisca una trasformazione o una lavorazione sostanziale, la Corte ha già giudicato che
una siffatta operazione è idonea ad essere considerata come conferente l’origine allorché
rappresenta, sotto un profilo tecnico e rispetto alla definizione della merce in questione, lo stadio
produttivo determinante durante il quale si concretizza la destinazione dei componenti utilizzati e
nel corso del quale sono conferite alla merce in questione le sue proprietà qualitative specifiche”.
23.20 Nella stessa occasione il giudice comunitario ha precisato che “…tenuto conto della varietà
delle operazioni che rientrano nella nozione di assemblaggio, vi sono situazioni nelle quali l’esame
in base a criteri d’ordine tecnico può non essere decisivo per la determinazione dell’origine di una
merce. In questi casi è d’uopo prendere in considerazione il valore aggiunto per effetto
dell’assemblaggio come criterio sussidiario (Corte giust. 13 dicembre 1989, causa 26/88, Brother
International, punto 20)”.
23.21 Orbene, dovendo questa Corte uniformarsi ai principi espressi dalla Corte di Giustizia, non si
ravvisa, ad onta di quanto postulato dalla società contribuente, alcuno dei vizi come prospettati
21

risulta abbia composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a

nella decisione impugnata dalla contribuente in ordine alla ritenuta origine della merce.
23.22 Anzitutto, non vi è alcuna prova che si sia formato un giudicato interno parziale in ordine alla
rilevanza dell’art.15 all. al Reg. di attuazione al c.d.c., non avendo la società contribuente
dimostrato simile circostanza attraverso la riproduzione, anche parziale, della parte della sentenza di
primo grado dalla quale, a dire della stessa, risulterebbe l’erroneità dei criteri utilizzati dalla
relazione Olaf. E sul punto la censura è dunque sprovvista del requisito di specificità. D’altra parte,

elemento che sarebbe stato posto a base della relazione OLAF, ma che non risulta specificamente
posto a base della decisione da parte della CTR.
23.23 Per altro verso, la CTR ha non solo preso atto della circostanza che, secondo quanto esposto
nella relazione Olaf, in Laos, mancando le attrezzature specifiche per effettuare le lavorazioni
idonee alla identificazione del prodotto di origine del paese di esportazione, si svolgevano attività
di mero inscatolamento e “solo in qualche caso” di assemblaggio ben diverse da quelle considerate
rilevanti dalla Corte di Giustizia per attribuire l’origine di una merce e tali da non conferire alcun
elemento di trasformazione idoneo a giustificare l’origine laotiana della merce, ma ha altresì
evidenziato il carattere fraudolento posto in essere dall’esportatore cinese che, introducendo in
Laos, appunto, componenti dei meccanismi di legatura con il codice relativo alle materie prime,
aveva realizzato il duplice fine illecito di cui si è detto- eliminazione del dazio antidumping cinese e
realizzazione del profitto per l’importatore attraverso il riconoscimento dell’origine preferenziale
per i prodotti laotiani-. Ciò che consente agevolmente di superare i rilievi difensivi volti a sostenere
un’errata applicazione delle regole comunitarie in tema di origine -preferenziale e non- della merce
e di assemblaggio, per le quali occorre invece rifarsi a quanto sopra esposto. Valutazione
assolutamente immune da vizi di ordine logico che non poteva rimanere scalfita dalle
argomentazioni esposte nella perizia giurata, per le considerazioni già sopra esposte in ordine al
valore di tale elemento. Parimenti inconferenti appaiono le difese della contribuente nella parte in
cui vorrebbero trarre dalla assenza dei macchinari per la cromatura dei prodotti accertata dall’OLAF
la dimostrazione che la semplice nichelatura dei prodotti esportati avrebbe costituito il carattere
sostanziale della lavorazione. Le stesse, infatti, si pongono sulla base di una critica a quanto
affermato dalla relazione Olaf senza tuttavia riprodurre il contenuto della stessa e restano, come
detto in precedenza, paralizzate dal difetto di specificità, introducendo elementi fattuali non
esaminati dal giudice di appello che questa Corte non può vagliare. Senza dire che rispetto alla
questione della nichelatura è sufficiente rinviare alle considerazioni esposte con riguardo all’esame
di altro specifico motivo proposto dalla contribuente-v.infra, p.23.25-.
23.24 Né può ritenersi che la CTR abbia fondato l’assenza del carattere di origine della merce sulla
22

la questione è mal posta dalla società contribuente, in quanto la stessa si è sforzata di confutare un

classificazione tariffaria. Ed infatti, la CTR, nel richiamare i codici relativi alle materie prime
(7326- corrispondente nell’allegato 15 (ratione temporis vigente) alla voce “semiprodotti, prodotti
laminati piatti e vergella o bordione, barre e profilati in altri acciai legati, barre forate per la
perforazione, di acciai legati o non legati Fili di altri acciai legati”) ha inteso stigmatizzare, come
aveva fatto l’Olaf, la circostanza che l’importazione dalla Cina era stata fatta utilizzando voci
tariffarie idonee a confermare che si trattasse di materie prime- non soggette a dazio- omettendo la

23.25 Rispetto a tale ragionamento nessun vizio — sub specie di omissione o contraddittorietà della
motivazione- è dato individuarsi, né le conclusioni esposte dalla CTR si pongono in contrasto con
i principi di diritto espressi dalla Corte di Giustizia, avendo il giudice di appello ritenuto che la
particolare tipologia del prodotto non consentiva di ritenere che le attività svolte in Laos fossero
idonee a conferire l’origine di quel paese sulla base di un ragionamento composito.
23.26 Ed infatti, muovendo dalla fittizia introduzione in quel Paese di “componenti”, invece
spacciati come “materie prime”, il giudice di appello aveva evidenziato come il produttore cinese
avesse realizzato una assai articolata attività volta alla creazione di strutture ove venivano
apparentemente prodotti i meccanismi fuori dal territorio cinese ancorchè in Laos si fosse realizzata
una mera attività di assemblaggio o inscatolamento di merce già lavorata in Cina.
23.27 Peraltro, l’assenza, riscontrata dall’Olaf, di macchinari idonei alla produzione dei prodotti,
oltre a non essere stata in alcun modo confutata dalla società contribuente attraverso elementi idonei
a superare i rilievi espressi dalla relazione Olaf, nemmeno risulta superata da precisi elementi che
la società avrebbe dovuto offrire circa l’origine dei prodotti importati e le caratteristiche che questi
avevano, in modo da confermare che quelli importati si differenziavano da quelli esaminati dalla
relazione Olaf ed avevano subito in Laos un trattamento tale da giustificarne l’origine.
23.28 Ed è ben evidente che tali elementi non poteva certo essere affidati, quanto alla loro prova, ad
una mera perizia — come detto avente valore di mera allegazione difensiva – o ad un mero campione
di merce abbisognando, piuttosto della dimostrazione dei quantitativi e della qualità di merce
importata e delle loro caratteristiche.
23.29 Né l’onere della prova anzidetta poteva essere superato attraverso la c.t.u. alla quale pure ha
fatto riferimento la contribuente.
23.30 Sul punto, infatti, questa Corte è ferma nel ritenere che la consulenza tecnica d’ufficio,
avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di
questioni che necessitino di specifiche conoscenze non può essere utilizzato al fine di esonerare la
parte dal fornire la prova di quanto assume, tanto che la stessa non può essere ammessa qualora la
parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di
23

corretta individuazione della voce tariffaria(8305).

compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati-cfr.Cass.
n. 3130 del 08/02/2011-.
23.31 Principio che assume, peraltro, valenza peculiare in ambito tributario, nel quale l’art. 7 del
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che prevede la possibile acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, è
norma eccezionale, la quale preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti,
sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo-

23.32 Erra dunque la società contribuente quando afferma che “i commissari dell’Olaf…non hanno
provato che nello stabilimento laotiano mancava qualsiasi macchinario idoneo alla produzione”, in
quanto era onere della contribuente anzidetta comprovare l’origine del prodotto laotiano e la messa
in funzione di quei macchinari che avrebbero poi consentito la produzione in territorio laotiano del
meccanismo di cui si discute.
23.33 In definitiva, la società contribuente ha tentato, con le censure esposte, di offrire una lettura
critica di singoli elementi rappresentati dall’Olaf nella relazione che ha fondato gli atti di rettifica e
di contestazione, senza tuttavia coglierne il dato qualificante ed unificante, rappresentato dal fatto
che solo formalmente la produzione di meccanismi per la legatura dei fogli era stata realizzata in
quel territorio, invece risultando che la stessa era stata realizzata in Cina per poi essere trasferita in
Laos ove venivano svolte attività assolutamente marginali, inidonee a conferire l’origine del
prodotto alla stregua della disciplina doganale vigente.
23.34 E d’altra parte, tale ricostruzione frammentaria dalla relazione dell’Olaf non può che inficiare
la stessa ammissibilità di tutti quelle censure che hanno contestato detta relazione senza offrire
all’esame della Corte l’intero testo della relazione medesima. Esame che, come detto, risultando
impedito alla Corte, avrebbe eventualmente consentito una verifica in ordine alle incongruità della
relazione, il cui testo era stato integralmente richiamato dalla CTR-… Tanto quanto precede e
sinteticamente esposto risulta ampiamente dettagliato e circostanziato dalla più volte citata
relazione Olaf al cui contenuto si rimanda per eventuali approfondimenti…”.
23.35 Nemmeno può rilevare la questione relativa alle caratteristiche della merce ed alla
circostanza che i meccanismi di cui si discute sarebbero stati sottoposti ad un processo di
nichelatura piuttosto che a quello di cromatura, per modo che i macchinari introdotti
successivamente in Laos non sarebbero serviti alla realizzazione del prodotto.
23.36 Ed infatti, nessun elemento la società contribuente ha anche solo prospettato in questa sede
per confermare l’affermazione che i prodotti importati avessero le caratteristiche indicate dalla
contribuente e dunque si differenziassero da quelli indicati dall’OLAF, non potendo certo affidarsi
una simile valutazione ad una perizia di parte, né risultando pertinente il richiamo alla c.t.u.-, per le
24

cfr.Cass. n. 18976 del 10/09/2007;Cass. n. 14960 del 22/06/2010-.

considerazioni sopra svolte- rispetto al dato che la stessa parte avrebbe dovuto invece documentare
non certo con un campione di merce del quale la stessa contribuente nulla ha specificato quanto alla
sua provenienza ed alla sua identità con la merce importata.
24. Con il settimo motivo si lamenta, in relazione all’art.360 comma 1 nn.3 e 5 c.p.c., l’inadeguata
motivazione degli atti emessi dall’Ufficio- in relazione agli artt. 7 1.n.212/2000-, i quali avevano
fatto riferimento alla relazione dell’Olaf ancorchè questa si riferisse non solo ad un lasso temporale

diverse, mai menzionando la società contribuente. Ed anche la sentenza della CTR risultava carente
nella parte in cui aveva giustificato la correttezza in punto di motivazione dei provvedimenti di
rettifica. Peraltro, la CTR aveva violato gli artt. 2 Reg. base 384/96, 9 par. 2 reg.1073/1999 e gli
artt. 2697 e 2700 c.c., attribuendo alla relazione OLAF un valore probatorio che essa non aveva
quanto agli apprezzamenti ed induzioni ivi contenute.
25. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure riportandosi a quanto esposto nei punti
precedenti.
26. Tale censura è infondata.
26.1 Ed invero, la C.T.R. ha correttamene ritenuto assolto il requisito formale di cui alla L. n. 212
del 2000, art. 7, attraverso la motivazione “per relationem” alle risultanze delle indagini condotte
dall’OLAF, essendo pacifica la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla piena legittimità di tale
forma di motivazione(v.Cass. n.2748/2009 n. 2749;Cass.n.2806/2010;Cass.n.8504/2010 quanto alla
indicazione) ed alla idoneità degli elementi di prova portati a conoscenza della società contribuente
ed in base ai quali risultavano espressamente motivati gli avvisi di rettifica.
26.2 Del resto, questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’avviso di accertamento in materia
doganale deve ritenersi legittimamente motivato ove risponda alle prescrizioni dell’art. 11, comma 5
bis, del d.lgs. n. 374 del 1990 e cioè riporti nei tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di
difesa, il contenuto di quegli atti presupposti richiamati “per relationem” anche se non allegati,
potendo all’uopo utilizzarsi gli atti istruttori compiuti dalle autorità ispettive nazionali e comunitarie
che sono equiparati ai verbali ispettivi dell’OLAF (Cass. n. 14036/2012;Cass. n. 13890/2008;). Ne
consegue che la pretesa di recupero dei dazi, azionata con avviso di accertamento, è congruamente e
sufficientemente dimostrata ove si basi sulle risultanze di atti ispettivi (allegati o richiamati) degli
organismi antifrode comunitari, come nella specie l’OLAF, salva la prova contraria della sussistenza
delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo fornita dal contribuente (Cass. nn. 23985/
2008, 13496/2012, 1583/2012 e 5892/13). Dalla riconosciuta valenza probatoria degli accertamenti
compiuti dall’OLAF discende inoltre che l’avviso di accertamento in materia doganale, fondato su
verbali ispettivi del servizio antifrode della Comunità europea deve ritenersi legittimamente
25

diverso da quello delle importazioni effettuate dalla società, ma anche ad importazioni totalmente

motivato ove risponda alle prescrizioni del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, e cioè
riporti nei tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, il contenuto di quegli atti
presupposti richiamati per relationem ancorché non allegati (Cass. n. 19841/2012 e Cass.23985 del
2008, cit.).
26.3 Quanto poi alla non rilevanza degli accertamenti compiuti dall’Olaf con riguardo alle
importazioni compiute dalla contribuente, è sufficiente rinviare a quanto esposto sub par.23.5.

d.lgs.n.374/1990, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta la contribuente che sarebbe
stato violato dall’Ufficio il principio del contraddittorio, per come declinato dalla giurisprudenza
comunitaria- e come tale applicabile anche ex officio dal giudice e per la prima volta in sede di
legittimità-, non avendo l’amministrazione vagliato la posizione del contribuente, limitandosi a
recepire acriticamente quanto affermato nella relazione OLAF.
28. L’Agenzia ha dedotto l’insussistenza del prospettato vizio riportandosi non solo a quanto
esposto con riguardo ai motivi 4,5,6 e 7, risultando gli atti adeguatamente motivati per relationem.
29. Il motivo di ricorso è infondato.
29.1 E’ nel vero la società ricorrente incidentale laddove ricorda che la possibilità di evocare per la
prima volta in sede di legittimità vizi connessi alla prospettata violazione del diritto comunitario,
non risultando quest’ultima condizionata alla deduzione di uno specifico motivo ed anzi
richiedendo, come nei casi dello ius superveniens e della modifica normativa determinata dalla
dichiarazione di illegittimità costituzionale, l’esame anche d’ufficio-cfr.Cass. 3/2/2006 n.
2420;Cass.n.11642/2010-.Nondimeno, la censura è infondata.
29.2 Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, anche di recente, che il principio del
contraddittorio, declinato da Corte Giust. 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/ quale principi
fondamentale del diritto dell’Unione europea in “qualsiasi procedimento” si esplicita nel “…diritto
di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento
individuale lesivo,”

nonché nel “…diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo

riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale” e
“…nell’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.”-cfr.sent.M.M., cit., p.83

trova pieno rispetto nell’ambito degli accertamenti in rettifica in materia doganale ex art. il
d.lgs.n.374/90-cfr.Cass.n.8060/13- peraltro chiarendosi che la denuncia di vizi di attività
dell’Amministrazione capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto
se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di
difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del
provvedimento finale— Cass.n. 6621/2013-.
26

27. Con l’ottavo motivo si prospetta la violazione dell’art.7 1.n.212/2000 e dell’art.11

29.3 Orbene, ad onta di quanto affermato dalla società contribuente, la circostanza che la rettifica
abbia avuto ad oggetto la relazione Olaf non sembra avere determinato una concreta lesione al
diritto al contraddittorio in relazione al carattere dettagliato della motivazione posta a base delle
rettifiche, per l’appunto adottata sulla base delle risultanze dell’organo ispettivo comunitario dotato
ex art.9 Reg.CE n.1073/99 del potere di redigere una relazione contenente i fatti accertati capace di
costituire elemento di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel

30. Con l’undicesimo motivo si prospetta la violazione dell’art.220 c.d.c. e dell’art.2697 c.c. e
l’insufficiente motivazione sull’esistenza della buona fede dell’importatore, in relazione all’art.360
comma 1 nn.3 e 5 c.p.c.Lamenta la contribuente che la CTR, individuando nell’importatore il
soggetto comunque responsabile anche in caso di sua buona fede in caso di errore delle autorità
doganali provocato dal dichiarante aveva omesso di considerare che, in forza della giurisprudenza
comunitaria, l’esonero della responsabilità del predetto era giustificato le quanto volte l’autorità
doganale fosse stata in grado di individuare che la merce non poteva godere del regime
preferenziale. Ciò che nel caso concreto si era verificato, posto che le autorità doganali laotiane
avevano rilasciato il certificato Forni A, formalmente genuino, senza sollevare alcuna obiezione,
pur essendo in grado di stabilire, attraverso le fatture relative alla merce importata dalla Cina
allegate al rapporto Olaf- dalle quali risultava che la descrizione delle merci come anelli o altri
componenti del prodotto in questione e non come materie prime-, che i meccanismi non
rientravano nel regime preferenziale e risultando peraltro l’importatore in buona fede. Quest’ultimo,
infatti, non poteva riconoscere l’errore anche per effetto dell’indicazione che le lavorazioni erano
svolte in Laos, come risultava dalla lettera “W” apposta sul certificato Form A.
30.1 Del resto, la società importatrice, non accontentandosi delle rassicurazioni avute dai
responsabili del gruppo HKS- che controllava l’EAP- aveva chiesto ulteriori rassicurazioni alla
direzione generale di Hong Kong circa la fornitura. Né poteva disconoscersi l’affidamento- valevole
anche per gli elementi dell’imposizione diversi da sanzioni ed interessi- ingenerato sulla società
contribuente dal fatto che le rettifiche, invece di essere compiute entro il termine perentorio di due
giorni, erano intervenute a distanza di oltre un anno e mezzo da quando erano stati stilati i verbali
dell’OLAF. Nè era stata adeguatamente considerata l’assoluzione nell’ambito del procedimento
penale strumentalmente apertosi in ragione delle denunzie dell’ufficio e protrattosi, con gravi danni
a carico della società, per tre anni, avente ad oggetto le rettifiche concernenti le importazioni dal
Vietnam e del Laos la circostanza che la stessa società contribuente non era mai stata menzionata
nella relazione Olaf.

27

quale risulti necessario avvalersene. Ciò che esclude il prospettato pregiudizio.

31. L’Agenzia delle dogane ha dedotto l’infondatezza della censura, non risultando sufficiente ai
fini dello sgravio, la buona fede dell’importatore, non essendosi in presenza di un errore attivo da
parte della dogana. E se era vero che dal controllo incrociato fra esportazioni ed importazioni delle
“materie prime” le autorità vietnamite avrebbero potuto rilevare l’irregolarità commesse dalla
società OXMCL, non poteva ritenersi che la normativa comunitaria imponesse il controllo della
veridicità delle documentazione allegata al rilascio dei certificati d’origine preferenziale prima della

esaminato gli allegati alle dichiarazioni di importazione delle materie prime — che avevano
consentito di individuare la manovra elusiva-, ritenendo che la lavorazione svolta in quel paese
fosse sufficiente a conferire l’origine preferenziale. La Dogana italiana si era, pertanto, mossa
nell’ambito dei principi fissati dalla giurisprudenza comunitaria- causa C-293/04- essendo risultato
dalla relazione Olaf che l’inesatta rappresentazione era dipesa da quanto dichiarato dall’esportatore.
31.1 Non poteva, dunque, ritenersi esistente alcun legittimo affidamento in capo all’importatore,
trovando tale condizione tutela a livello comunitario solo in presenza di un comportamento
colpevole dell’autorità doganale e non potendo la Comunità subire gli effetti negativi di
comportamenti scorretti dei fornitori dei cittadini che, per contro dovevano ricadere in capo a chi
esercitava l’attività commerciale. Buona fede che, d’altra parte, la stessa CTR ha in modo congruo
posto in discussione proprio in relazione alla peculiare tipologia di pattuizione concordata fra
importatore ed esportatore che consentiva la risoluzione del rapporto in caso di eccessività dei dazi
eventualmente applicati.
32. Tale censura è infondata.
32.1 Questa Corte ha già avuto occasione di evidenziare, anche di recente- per tutte cfr.
Cass.n.19841/2012, Cass. n. 4022/12 e Cass.n. n. 13065/2006- che le autorità doganali devono
procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi, a meno che sussistano contemporaneamente
tutte le condizioni poste dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Reg. CEE n. 2913/92 e cioè che la riscossione
sia dovuta ad errore delle autorità competenti, che l’errore sia tale da non poter essere
ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale
e diligenza, e che il debitore abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore
relativamente alla dichiarazione in dogana; in particolare, detto errore non può consistere nella mera
ricezione di dichiarazioni inesatte dell’esportatore, dato che l’Amministrazione non deve verificarne
o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo, perché il legittimo affidamento del
debitore è protetto solo se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la
sua fiducia, mentre la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di
comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori.
28

loro vidimazione. Le autorità vietnamite, all’atto dell’emissione dei certificati Form A, non avevano

32.2 DInoltre, si è parimenti ritenuto che l’esenzione prevista dall’art. 220 c.d.c., n. 2, lett. B)
presuppone ineludibilmente la genuinità del certificato di origine. Ragion per cui spetta
all’importatore che intende usufruire dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che importa e,
in ogni caso, il suo stato soggettivo di buona fede, mediante la prova della sussistenza cumulativa di
tutti i presupposti indicati dalla citata norma, mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente
l’onere di dare dimostrazione delle irregolarità delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi
certificato risultante inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza necessità di alcun
procedimento intermedio che convalidi la non autenticità, provvedendo gli stessi organi
dell’esecutivo comunitario a fornire tramite le disposte commissioni di inchiesta le conclusioni cui
debbono attenersi le autorità nazionali.
32.3 Pertanto, in assenza dei presupposti per il riconoscimento dell’esenzione, è irrilevante che il
dichiarante abbia agito in buona fede, per aver ignorato l’irregolarità da cui è derivata la mancata
riscossione dei dazi.
32.4 Tali principi trovano, del resto, specifica conferma nella giurisprudenza comunitaria, a cui
tenore se “…le autorità dello Stato di esportazione abbiano rilasciato certificati Eur.1 inesatti nel
contesto di un sistema di cooperazione amministrativa, tale rilascio deve essere considerato, in forza
dell’art. 220, n. 2, lett. b), commi 2 e 3, un errore commesso da dette autorità, a meno che non risulti
che siffatti certificati siano stati redatti sulla base di una presentazione inesatta dei fatti da parte
dell’esportatore. Qualora tali certificati siano stati redatti sulla base di false dichiarazioni
dell’esportatore, la prima delle tre condizioni cumulative suddette..”, aggiunge la Corte di
Lussemburgo, “…non è soddisfatta e il recupero a posteriori dei dazi all’importazione deve, quindi,
aver luogo, a meno che, in particolare, non sia evidente che le autorità che hanno rilasciato i
certificati in parola sapevano o avrebbero dovuto sapere che le merci non soddisfacevano le
condizioni richieste per beneficiare del trattamento preferenziale”.D In definitiva, per la Corte
europea, “…qualora le autorità dello Stato di esportazione siano state indotte in errore dagli
esportatori, il rilascio di certificati Eur.1 inesatti non può essere considerato un errore commesso
dalle stesse autorità.”-v. di recente, Corte Giust. 8 novembre 2012, causa C-438/11, Lagura
Vermógensverwaltung GmbH,

p.19 che richiama l’indirizzo già espresso da Corte Giust.

15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C 11409/10, p.48-.
32.5 Orbene, l’accertata falsità, con adeguata e congrua motivazione da parte della CTR che si è
riportata alla relazione OLAF, delle dichiarazioni relative all’origine delle merci in questione che
l’esportatore ha presentato alle autorità doganali laotiane esclude che dette autorità, nel rilasciare i
certificati risultati irregolari, abbiano commesso un errore derivante da un loro comportamento
attivo e rende, parimenti, irrilevante l’eventuale buona fede dell’importatore, per come
29

puntualmente evidenziato dalla CTR. D’altra parte, la valorizzazione, pure operata dalla CTR, delle
pattuizioni, insolite nell’ambito dei rapporti di vendita, che consentivano all’acquirente di risolvere
il contratto in caso di eccessiva onerosità dei dazi deponeva, in ogni caso, per la piena
consapevolezza dell’importatore circa la reale origine (cinese) della merce.
33. Passando all’esame del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Dogane, con il primo motivo, ha
prospettato la violazione dell’art.12 comma 5 d.lgs.n.472/1997, in relazione all’art.360 comma l n.3

principio della continuazione senza considerare che le violazioni accertate erano tutte da ritenere
sostanziali e non formali, per di più relative a dichiarazioni doganali autonome ed indipendenti, pur
se riferibili a beni omogenei. La valorizzazione del dato temporale operata dal primo giudice,
tuttavia, non era corretta, anche a non voler considerare che le importazioni si erano svolte nel
periodo maggio-settembre 2003.
34. La censura è fondata.
34.1 Ed invero, male ha fatto la CTR a ritener applicabile la c.d. continuazione- disciplinata
dall’art.12 c.5 d.lgs.n.47211997 alle plurime violazioni sostanziali contestate alla società
contribuente per avere operato diverse importazioni dei medesimi prodotti dal Laos.
34.2 Ed invero il concorso materiale si ha quando con più azioni od omissioni viene violata una
medesima disposizione di legge, purchè essa concerna obblighi di carattere formale, non incidenti
sulla determinazione del tributo.
34.3 Peraltro, il concorso vale solo per le violazioni di carattere formale- la quale ricorre in
presenza di due concorrenti requisiti – non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di
controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul
versamento del tributo —cfr.Cass.n.5897/13- di guisa che nel caso di ripetute violazioni di natura
sostanziale, quali sembrano essere le ripetute violazioni della disciplina doganale in tema di origine
che hanno dato luogo, in parte qua, all’adozione di diversi atti di contestazione concernenti sanzioni
per ciascuna delle violazioni, devono applicarsi tante sanzioni quante sono le violazioni
commesse, sulla base del cumulo materiale, non configurandosi il fine unico di evasione. Ha
dunque errato la CTR nel ritenere applicabile il beneficio della continuazione, nemmeno potendosi
tacere che lo stesso viene specificamente riconosciuto per plurime violazioni verificate in diversi
periodi di imposta. Circostanza questa solo parzialmente sussistente nel caso di specie, in cui si
discuteva di plurime importazioni compiuta in un arco temporale ben definito.
35. Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Agenzia ha prospettato la violazione degli
artt.12 comma 1 prima parte, 3 e 7 dig.n.472/1992, in relazione all’art.360 comma 1 n.3
c.p.c.Lamenta che la CTR avrebbe implicitamente disatteso la quantificazione delle sanzioni
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c.p.c. Si duole che la CTR, confermando la decisione di primo grado, abbia riconosciuto il

operata dall’ufficio il quale aveva considerato, correttamente, solo il primo comma dell’art.12 e non
la seconda parte, non potendosi le violazioni contestate inquadrarsi fra quelle formali. In sostanza
l’Ufficio, dopo avere verificato il concorso fra le violazioni ai sensi dell’art.12 c.7
d.lgs.n.472/1992, aveva calcolato per ciascuna delle violazioni, le relative sanzioni procedendo al
cumulo materiale sulla base della sanzione più grave aumentata di un quinto- in relazione a quanto
previsto dal comma 3 dell’art.12 cit.35.1 Tale censura difetta di chiarezza, non essendo dato comprendere il senso dell’affermazione,
esposta nella censura, a cui tenore “si impugna la sentenza anche nella parte in cui ha,
implicitamente, disatteso la determinazione delle sanzioni sulla base delle nonne in rubrica come
calcolate dall’ufficio Doganale. Non risulta, in definitiva, in alcun modo chiarito quale sia il capo
della decisione impugnato e, ancora prima, se e con quali modalità tale censura sia stata formulata
in fase di appello.
35.2 La censura va quindi respinta.
38.In conclusione, il ricorso principale va rigettato mentre va accolto il primo motivo di ricorso
incidentale, rigettato il secondo motivo.
La causa, non richiedendosi ulteriori accertamenti in punto di fatto, può essere decisa nel merito alla
stregua dell’art.384 c.p.c. rigettando il ricorso del contribuente nella parte in cui aveva chiesto il
riconoscimento della continuazione per le sanzioni applicate.
Le spese seguono la soccombenza della società contribuente e si liquidano come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso principale,
Accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, rigettato il secondo.
Cassa la sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui ha rigettato l’appello incidentale
proposto dall’Agenzia delle Dogane e rigetta il ricorso della società contribuente in ordine al
riconoscimento della continuazione fra le sanzioni applicate.
Condanna la società contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in
euro 12.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso il 17 giugno 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

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