Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3468 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 12/02/2020), n.3468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26329/2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso la sede della Società, avvocato ROSSANA

CLAVELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSARIA ANTONIA

BIANCO;

– ricorrente –

contro

S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA ZAMPIERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 349/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/08/2015, R.G.N. 857/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNA MARIA URSINO per delega verbale avvocato

ROSARIA ANTONIA BIANCO;

udito l’Avvocato NICOLA ZAMPIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza impugnata (n. 349 del 2015), in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda, proposta da S.N., volta al riconoscimento del superiore inquadramento nel profilo Quadro di secondo livello di cui all’art. 44 del CCNL 26.11.1994, con decorrenza dal 24 aprile 1997, ed ha condannato la società al pagamento del maggior trattamento economico in favore dell’appellante, con decorrenza dal 24.4.2002 in ragione dell’intervenuta prescrizione del diritto di credito.

1.1. A tale riguardo, per quanto di maggior rilievo nella fattispecie, la Corte territoriale ha osservato come, dalla lettura delle declaratorie professionali, emergesse che il dato differenziale tra l’area operativa riconosciuta al lavoratore e l’area quadri rivendicata fosse rappresentato dal diverso livello di specializzazione richiesto (media o parziale per l’area operativa), dall’ampiezza dell’autonomia (operativa/esecutiva in un caso e di iniziativa nell’ambito delle direttive generali nel secondo), dalla responsabilità per le direttive ricevute e dal conseguimento del risultato, nonchè dalla collaborazione con i responsabili di struttura di superiore livello (queste ultime previste solo per i Quadri); non era, invece, requisito indispensabile per l’appartenenza all’Area quadri “l’esercizio di attività di direzione di unità organizzative di media importanza, stante l’alternatività che si desume dal tenore letterale della declaratoria generale di area”; in fatto, dal curriculum professionale del lavoratore, era dimostrato, dall’aprile del 1997, lo svolgimento di incarichi di elevata capacità e preparazione professionale.

2. Di tale decisione ha domandato la cassazione Poste Italiane s.p.a., affidando a tre motivi l’impugnazione, cui ha resistito con controricorso, il lavoratore.

3. La causa è stata rinviata a nuovo ruolo dall’adunanza camerale, in prossimità della quale il S. aveva depositato memoria illustrativa, per la fissazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4, 3 e 5 – sono articolate tre censure: si deducono nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione dell’art. 2103 c.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si imputa alla Corte di appello di aver riconosciuto il diritto al superiore inquadramento del lavoratore omettendo ogni raffronto tra le mansioni svolte dal lavoratore, prima del 1997, e quelle ritenute riconducibili all’Area Quadri di secondo livello e, dunque, sostanzialmente senza aver accertato il presupposto della superiorità delle nuove mansioni rispetto a quelle originarie o da ultime svolte; in ogni caso, secondo la parte ricorrente, la professionalità (rectius la specializzazione professionale) che la Corte di appello di Venezia avrebbe ritenuto connotare le mansioni svolte dal lavoratore, a decorrere dal 1997, erano già insite nell’attività espletata dal suddetto dipendente nel periodo precedente e, dunque, compatibili con l’inquadramento riconosciuto dall’azienda.

1.1 Il motivo è, nel complesso, da respingere.

1.2. Non vi è violazione dell’art. 112 c.p.c. e la denuncia è mal prospettata, in quanto non se ne indicano i presupposti, posto che l’omesso esame idoneo a configurare la violazione denunziata concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata. Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (cfr. Cass. 27.11.2017 n. 23808).

1.3. E’, in radice, inammissibile il dedotto vizio di motivazione, non prospettato come circoscritto da Cass., sez. un., 8053 e 8054 del 2014 nel rispetto del paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”) prescritto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente nè perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si verifica nel caso di specie.

1.4. E’ infondata la censura che poggia sull’errato presupposto giuridico secondo cui l’accertamento del diritto al superiore inquadramento presuppone, necessariamente, la diversità tra mansioni precedenti e mansioni successive mentre oggetto di tutela è il diritto del prestatore ad un inquadramento corrispondente al contenuto professionale della mansione svolta; il raffronto tra mansioni precedenti e mansioni successive funge solo da limite per individuare i compiti da assegnare al lavoratore, secondo la previsione dell’art. 2103 c.c., nel testo tempo per tempo vigente.

2. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 43 e 44 CCNL del 26/11/1994, dell’accordo collettivo integrativo del 23 maggio 1995, dell’allegato 1 al CCNL 11/1/2001 e dell’art. 21 CCNL 2003 e CCNL 2007, nonchè della L. n. 797 del 1981, art. 3 e dell’allegato 1 del D.M. 5 agosto 1982, n. 4584 e degli artt. 1362 1365 c.c., in relazione all’art. 2103 c.c.: assume la ricorrente che, alla stregua della normativa collettiva di riferimento, il quid pluris che caratterizza l’attività riconducibile all’area quadri di secondo livello, distinguendola da quella dell’area operativa, è rappresentato dalla “responsabilità di gestione di unità organiche” e “dalla conduzione e controllo di unità organizzative o parte di esse di media rilevanza”; che, pertanto, si palesano errate le statuizioni della Corte territoriale nella parte in cui si afferma che “non può invece ritenersi requisito indispensabile per l’appartenenza all’Area quadri l’esercizio di attività di direzione di unità organizzative di media importanza, stante l’alternatività che si desume dal tenore letterale della declaratoria generale di area”(pag. 12 della sentenza impugnata) nonchè si sostiene che “(…) ciò che caratterizza le mansioni riconducibili alla qualifica di quadro di 2 livello è il requisito della specializzazione dell’attività tecnica di manutenzione, rispetto alla attività di mera manutenzione propria dell’area operativa” (pag. 15 della sentenza impugnata). Parte ricorrente osserva come le previsioni dell’accordo integrativo del 1995 non possono trovare applicazione disgiuntamente dalla declaratoria (generale) dell’area suddetta (id est: quadri 2 livello) contenuta nel contratto del 1994, la fonte principale per la disciplina dell’inquadramento. Aggiunge che, in ogni caso, la preparazione professionale specializzata e l’autonomia che la Corte di appello avrebbe valorizzato ai fini del superiore inquadramento, costituiscono connotati anche delle mansioni dell’area operativa. Sostiene, infine, che nessun giudizio di “elevata autonomia” avrebbe potuto ricavare la Corte di appello dalla “mera elencazione di progetti e/o corsi in relazione alle attività svolte dal lavoratore, non rilevando per la stessa l’ambito di discrezionalità e di autonomia decisionale, il tipo di responsabilità, l’intensità dell’impegno professionale, la complessità tecnica afferente ai progetti e/o corsi indicati”.

2.1. Il motivo è infondato:

2.2. Il CCNL del 26.11.1994 (art. 41) individua quattro Aree di inquadramento del Personale: “1. area DI BASE – 2. area OPERATIVA – 3. area QUADRI di 2 livello – 4. area QUADRI di 1 livello.

2.3. Per quanto di rilievo nella fattispecie, così è definita (art. 44) l’Area Quadri di 2 livello (Declaratoria):

“Attività con preparazione professionale specializzata e responsabilità di gestione di unità organiche.

Comprende i dipendenti che, in ragione della particolare connotazione organizzativa dell’Ente, delle articolazioni funzionali e dei relativi assetti territoriali sono preposti:

– alla conduzione ed al controllo di unità organizzative o parti di esse di media rilevanza;

– a funzioni di significativa importanza con facoltà di iniziative nell’ambito delle direttive gestionali;

– a favorire contributi per il conseguimento degli obiettivi di qualità ed efficienza del servizio;

– alla promozione dei servizi, con piena responsabilità per le direttive impartite ed i risultati conseguiti”.

2.4. Deve ritenersi, per quanto di seguito esposto, che la declaratoria ponga in termini di alternatività la responsabilità di gestione di unità organiche rispetto ad altre attività qualificanti l’Area Quadri di 2 livello che consentono l’inquadramento nella relativa declaratoria professionale.

2.5. La sentenza impugnata ha proceduto ad una corretta interpretazione della previsione collettiva, oggetto di esegesi diretta da parte di questa Corte, ritenendo che “responsabilità e gestione di unità organica”, poi ulteriormente specificata, dalla parti collettive, in termini di “conduzione (e) controllo di unità organizzative o parti di esse di media rilevanza” non sia un requisito indispensabile per il riconoscimento del relativo inquadramento professionale.

Sulla base di quanto previsto dall’art. 44 CCNL così come integrato dall’Accordo 23.5.1995 e dalla circolare n. 25 del 1995, – per quanto riguarda il filone tecnico-operativo – non è necessario per l’inquadramento richiesto l’esistenza di poteri di coordinamento, ma è sufficiente lo svolgimento di “funzioni di significativa importanza” (elevato contenuto specialistico, nell’ambito del filone tecnico, per gli appartenenti alla categoria Q1 ed “attività tecnica specializzata nella logistica, costruzioni, informatica, meccanizzazione e comunicazione elettronica e di tipo statistico attuariale; collaborazione ai responsabili di strutture organizzative, centrali e territoriali, di superiore livello” per gli appartenenti alla categoria Q2″).

La motivazione appare quindi congrua e logicamente coerente anche in relazione ai canoni codicistici sull’interpretazione dei contratti ed offre una ricostruzione puntuale e dettagliata della normativa contrattuale; mentre le censure in realtà vorrebbero rivisitare il “fatto” e rimettere in discussione la valutazione di merito della rilevanza professionale delle mansioni svolte dal S., il che appare inammissibile in questa sede (cfr. Cass. 20.3.2013 n. 6970 e 8177/2013, Cass. 9.2.2016, n. 2528 sul potere di interpretazione diretta della Corte di cassazione delle norme contrattuali collettive nazionali, per effetto del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, senza più il veicolo indiretto della violazione del canone interpretativo denunciato degli artt. 1362 c.c. e segg., nonchè, da ultimo, Cass. 13.12.2018 n. 32326, Cass. 16.8.2017 n. 20114, Cass. 5.2.2018 n. 2704). In particolare, in continuità con i precedenti citati, ai sensi dell’art. 44 del CCNL per il personale non dirigente di Poste italiane del 1994, appartengono all’Area Quadri di 2 livello i lavoratori che svolgono “…attività con preparazione professionale specializzata e responsabilità di gestione di unità organiche”; tale area comprende i dipendenti che, “in ragione della particolare connotazione organizzativa dell’Ente, delle articolazioni funzionali e dei relativi assetti territoriali sono preposti…a funzioni di significativa importanza con facoltà di iniziative nell’ambito delle direttive gestionali”; a “favorire contributi per il conseguimento degli obiettivi di qualità ed efficienza del servizio”; alla “promozione dei servizi, con piena responsabilità per le direttive impartite ed i risultati conseguiti.”

2.6. La denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c. e segg.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, nè del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (cfr. Cass. 6335 del 19.3.2014, Cass. 18946/2014, Cass. 21888/2016, Cass. 17244/2015).

3. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

3.1. Il motivo è inammissibile perchè, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, in realtà suggerisce esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio affinchè se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.

3.2. Quanto alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, una questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass. 27.12.2016, n. 27000).

3.3. Del pari è inconferente il richiamo all’art. 2697 c.c., la cui violazione viene in rilievo solo nel caso in cui la decisione è fondata sulla regola del riparto dell’onere di prova e si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non è questo il caso.

5. In conclusione, deve pervenirsi al rigetto del ricorso.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate in dispositivo.

7. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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