Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3466 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3466 Anno 2014
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 15812-2011 proposto da:
INDUSTRIA MECCANICA LOMBARDA IML SRL in persona
dell’Amministratore unico pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio
dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOVISOLO
2013

ANTONIO giusta delega in calce;
– ricorrente –

2117

contro

AGENZIA DELLE DOGANE;
– intimato –

Nonché da:

Data pubblicazione: 14/02/2014

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

INDUSTRIA MECCANICA LOMBARDA IML SRL;
– intimato –

avverso la sentenza n. 75/2010 della COMM.TRIB.REG. di
GENOVA, depositata il 13/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LOVISOLO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPUTI che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto dei motivi da l a 3, accoglimento per guanto
di ragione del 4 ° motivo, assorbito esame restanti
motivi e del ricorso incidentale.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.L’Agenzia delle Entrate di Genova emetteva nei confronti della Industria Meccanica Lombarda
s.r.l. numerosi avvisi di accertamento, rettificando le dichiarazioni di importazioni presentate dalla
società importatrice relative all’importazione di meccanismi per la legatura di fogli scortati da
certificati Form A provenienti dal Vietnam e Laos.
2.L’Ufficio, ritenendo sulla base di un’indagine antielusiva svolta dall’Olaf, che i prodotti era in

dazio 0% in forza dell’art.9 reg. CE n.2501/01- da “preferenziale” a “Cina non preferenziale”.
3.Riteneva l’Ufficio che non potesse applicarsi il dazio preferenziale e che andasse, invece,
applicato il dazio antidumping introdotto dal Reg. CE n. 119/97 come modificato dal
Reg.2100/2000.
4.Con riguardo alle importazioni dal Vietnam compiute in un periodo compreso fra il giugno 2002
ed il settembre 2003 venivano quindi emessi atti di contestazione con i quali si irrogavano, per quel
che qui direttamente interessa, nei confronti della società le sanzioni normativamente previste.
5.La società contribuente proponeva diversi ricorsi innanzi alla CTP di Genova che, previa
riunione, accoglieva parzialmente le censure relative alle sanzioni che venivano ridotte ritenendo
sussistente il vincolo della continuazione.
6. La società contribuente e l’Agenzia delle Dogane impugnavano la sentenza di primo grado
innanzi alla CTR della Liguria che, con sentenza depositata il 13 luglio 2010, rigettava
l’impugnazione principale e quella incidentale, confermando la decisione di primo grado.
6.1 Osservava la CTR che la decisione del giudice di primo grado andava pienamente confermata,
ritenendo che gli atti emessi dall’Ufficio erano adeguatamente motivati attraverso il rinvio per
relationem al rapporto Olaf che la società, con le proprie difese, aveva dimostrato di conoscere in
ogni suo aspetto.
6.2 La CTR, dopo avere premesso che ai fini del riconoscimento dell’origine preferenziale
assumevano valore di prova i certificati Formia finché non fosse emerso da controlli a posteriori che
gli stessi non erano idonei a confermare l’origine- in tal caso dovendosi considerare la merce di
origine ignota- precisava che rispetto alle posizioni antitctiche espresse dalle due parti, l’unico
elemento a disposizione dell’Ufficio e della Commissione era rappresentato dal rapporto dell’Olaf.
6.3 Precisava che le determinazioni di tale organo, a composizione internazionale avevano pieno
valore, non risultando altri elementi per disattendere le risultanze ivi esposte, dalle quali era emerso
che dalla Cina erano state effettuate esportazioni verso il Vietnam di materie prime indicate con il
codice 7326 relativo a materie prime anziché con quello 8305 relativo a meri componenti, proprio
al fine di evitare il dazio antidumping, anche considerando che i macchinari per la fabbricazione dei
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effetti di origine cinese, rettificava l’origine delle merci da Vietnam e Laos (paesi che godevano di

meccanismi non erano mai state installate dalla società vietnamita se non un anno e mezzo dopo la
prima esportazione di prodotti.
6.4 Aggiungeva che nel territorio vietnamita si erano realizzate attività di mero assemblaggio e che
ciò era stato confermato dalle autorità fiscali di quel paese.
6.5 Rilevava, ancora, che in seguito ai controlli quattro partite del prodotto erano state rispedite in
Vietnam e successivamente in Laos. Precisava, ancora, la relazione dell’Olaf che nel Vietnam erano

le autorità laotiane al fine d ottenere la certificazione di origine attraverso la dichiarazione di una
voce tariffaria errata realizzandosi, nella sostanza, un trasferimento di merci da e per l’Europa,
Cina, Vietnam e Laos avente origine cinese e quindi soggetta a riscossione retroattiva di dazi
antidumping.
6.6 Precisava poi che l’importatore, ancorchè in buona fede, era tenuto a sopportare i
comportamenti scorretti del fornitore, non potendosi trasferire sulla collettività il rischio
imprenditoriale. Aggiungeva, ancora, che le verifiche in loco, necessariamente successive rispetto
alle importazioni, svolte dall’Olaf avevano acclarato l’assenza di macchinari idonei ad effettuare le
lavorazioni idonee alla identificazione del prodotto di origine, risultando effettuate solo lavorazioni
di inscatolamento o assemblaggio di scarso valore aggiunto, all’interno di strutture “di per sè
modeste e comunque smantellate nel momento in cui la Comunità ha esteso i dazi antidumping al
Vietnam prima ed al Laos dopo”.
6.7 I giudici di appello, inoltre, chiarivano che le merci, per effetto dei dazi successivamente
imposti, erano state rispedite al mittente dall’Europa proprio grazie ad una pattuizione che il reale
produttore cinese aveva concordato con l’acquirente, in modo da accollarsi il rischio dell’eccessiva
onerosità prodotta per effetto dei dazi. Tale circostanza confermava, pertanto, che vi era stato un
accordo teso ad eludere l’applicazione dei dazi imposti sulla merce di origine cinese attraverso
l’interposizione fittizia di altro Paese ove erano state mantenute strutture quasi simboliche facenti
capo di fatto comunque all’esportatore cinese.
6.8 Specificavano, quindi, i giudici che le sanzioni connesse all’IVA erano comunque dovute in
quanto la compensazione integrava pur sempre una forma di pagamento prevista dal codice civile e
dalla normativa fiscale.
6.9 Chiarivano, poi, che per le considerazioni svolte non era ipotizzabile alcun legittimo
affidamento da parte dell’importatore che, anzi, doveva ritenersi rivolto a perseguire indebitamente
ingenti vantaggi fiscali. Ciò che escludeva il riconoscimento di qualsiasi attenuante, non potendo
nemmeno trovare applicazione la distinzione fra terzo e primo comma dell’art.303 tuid.
7. La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a diciassette motivi, al quale
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stati importati gli accessori per il solo assemblaggio e che vi era stata un’attività volta ad ingannare

ha resistito l’Agenzia delle Dogane con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi.
La società contribuente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

8.Con il primo motivo la società contribuente lamenta la violazione degli artt.218 e 220 c.d.c. in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. chiedendo che la Corte, ove non dovesse ritenere fondata la
censura, sollevi rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla portata interpretativa delle

applicare la disciplina in tema di termini per la contabilizzazione a posteriori introdotta dagli
artt.218 e 220 c.d.c., fissati rispettivamente in due giorni per la contabilizzazione ed in due mesi,
prorogabile per non oltre 14 giorni, per la contabilizzazione in materia di dumping. Ragion per cui
gli atti di rettifica e di contestazione dovevano essere annullati, avendo errato il giudice di appello
nel ritenere che detti termini, certamente dotati di natura perentoria, erano applicabili solo nei
rapporti fra Stato e CEE.
9. L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza della censura, riferendosi i termini indicati
nelle disposizioni normative evocate dalla ricorrente principale all’iscrizione dei maggiori dazi nella
contabilità UE e non quelli relativi alla notifica degli atti impositivi nei confronti dei soggetti
legittimati passivi.
10. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dei Reg.CE n.119/97, come modificato dal
Reg.n.2100/2000, Reg.CE n.2074/2004, Reg.n.1773/03, del Reg.CE n.1208/04 e del
Reg.n.384/96(art.13) in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
10.1 La ricorrente prospetta che l’Ufficio era partito dall’idea di potere applicare al caso di specie il
Reg.CEE n.2100/2000 relativo ai dazi antidumping relativo ai meccanismi di legatura dei fogli di
origine cinese alle importazioni provenienti dal Vietnam, ancorchè tale condotta risulti impedita
dal regolamento anzidetto, come risultava confermato dai successivi regolamenti comunitari i quali,
nell’estendere la misura antidumping a Vietnam e Laos, non potevano operare rispetto alle
importazioni anteriori rispetto ai periodi di vigenza, avendo applicazione retroattiva limitata al
periodo di avvio del provvedimento di inchiesta, coincidente con il 2 ottobre 2003..
10.2 Anche in questo caso la società rilevava, in via graduata, la necessità che questa Corte
promuovesse rinvio pregiudiziale sull’interpretazione della disciplina comunitaria, meccanismo
idoneo ad applicare i dazi in caso di operazioni di assemblaggio elusive che dell’art.25 c.d.c.
11. L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza delle censure, in quanto nel caso specifico
l’Ufficio aveva applicato i dazi previsti dal Reg.119/97 e 2100/2000, ricadendo sull’operatore
l’onere di accertare la reale origine della merce. Chiariva che non era stata fatta applicazione
retroattiva del Reg.1733/03 e del reg.1208/04. Ciò che escludeva la necessità di sollevare il rinvio
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disposizioni sopra ricordate. Ritiene la ricorrente principale che l’Ufficio aveva tralasciato di

pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia.
12. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa, insufficiente motivazione della sentenza, in relazione
all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. La CTR non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni che
consentivano all’amministrazione di pretendere dalla società contribuente il dazio antidumping
imposto per i prodotti cinesi rispetto alle importazioni vietnamite in relazione alla riserva di
regolamento introdotta dall’art.13 del reg.n.384/97 ed alla retroattività limitata imposta dalla

successivo alle importazioni in esame, il dazio antidumping cinese per i meccanismi di legatura
fogli di provenienza vietnamita.
13. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, ribadendo quanto dedotto con riferimento al
secondo motivo.
14. Con il quarto motivo la società contribuente ha dedotto l’omessa pronuncia sulla intervenuta
decadenza e/o prescrizione dell’Ufficio dal potere di accertamento e di riscossione dei dazi pretesi,
essendo decorso il termine triennale previsto dagli artt.221 c.d.c., dall’art.11 d.lgs.n.374/1990 e
dall’art.84 dpr n.43/73, prospettando comunque la violazione delle disposizioni normative sopra
ricordate in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
14.1 Evidenzia che la CTR non aveva esaminato l’eccezione di prescrizione-decadenza formulata
fin dal primo grado rispetto alla pretesa fiscale azionata dall’Ufficio, riguardando importazioni
eseguite fra il giugno 2002 e l’aprile 2003. Ed infatti, gli atti di rettifica erano stati notificati fra il
15 ed il 27 dicembre 2006, mentre la denunzia penale sporta dalla Dogana risaliva al 27 ottobre
2006, quando già era scaduto il termine triennale previsto dagli artt.11 e 84 cit. Né poteva tacersi la
pretestuosità di tale denunzia, alla quale era seguita l’archiviazione del procedimento, non
potendosi configurare le ipotesi delittuose per assenza dell’elemento psicologico, come avrebbe
dovuto accertare la stessa CTR. Prospetta poi in via subordinata l’incostituzionalità degli artt.11 e
84 cit. per contrasto con gli artt.3,24,25 e 97 Cost., ove questa Corte dovesse ritenere di non aderire
alle conclusioni esposte nella censura.
15. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, evidenziando la piena valenza probatoria
della relazione Olaf proprio in ragione del coinvolgimento di diversi stati nelle sospette irregolarità
che imponevano l’effettuazione delle missioni da parte degli organi investigativi comunitari. Le
autorità vietnamite erano state pienamente coinvolte nelle indagini, fornendo copia di tutte le
dichiarazioni doganali e dei documenti giustificativi relativi alle importazioni di componenti forniti
alla società OXMCL dalla società HKS risultanti di origine cinese dichiarati con la voce doganale
7326 (relativa alle materie prime) e non con la voce 8305 relativa ai meccanismi di legatura di fogli
finiti ancorchè non assemblati. Aggiungeva che il rapporto Olaf aveva evidenziato le ragioni di
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medesima disposizione ai due regolamenti CE che avevano esteso, ma soltanto per il periodo

siffatto meccanismo, rivolto, per un verso, a fruire dell’esenzione daziaria per le importazioni di
materie prime e, per altro verso, ad avvantaggiare gli importatori della merce acquistata dal
Vietnam, sostenendo che ivi si era realizzata una trasformazione essenziale della merce, in modo da
fruire del trattamento preferenziale previsto dal Sistema delle Preferenze generalizzate per eludere il
dazio antidumping previsto per la merce di origine cinese. Chiariva che nel rapporto Olaf si era
accertato che l’assemblaggio avvenuto in Vietnam non conferiva l’origine vietnamita, in base

per cui doveva essere non solo esclusa l’origine preferenziale, ma anche applicato il dazio
antidumping.
16. Con il quinto motivo si prospetta il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, in
relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. La ricorrente lamenta che la CTR attribuendo valenza
decisiva al rapporto OLAF, aveva tralasciato di considerare il valore probatorio dei certificati
FORM A attestante l’origine della merce. Nemmeno si era considerato che le autorità vietnamite
avrebbero potuto chiarire il significato del termine W esistente sui certificati, attestante la
trasformazione e lavorazione in loco.
17. Con il sesto motivo si prospetta la violazione degli artt.81 e 84 Reg.CEE n.2454/93, dell’art.9
par.2 del Reg.n.1073/99, nonché degli artt.115 c.p.c. e 24 d.lgs.n.546/92 e degli artt.2697 e 2700
c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Si lamenta che la CTR, tralasciando di considerare i
certificati Form A, aveva violato le disposizioni normative anzidette, risultando i certificati dotati
del valore di “atti pubblici”, avendo la dogana vietnamita attestato l’origine Vietnam della merce.
18. L’Agenzia ha dedotto l’erroneità della censura. Osservava, quanto al rilievo di cui all’art.94
DAC, che in caso di possibili frodi doganali i controlli riguardanti una pluralità di dogane coinvolte
richiedevano lo svolgimento delle indagini da parte dell’OLAF proprio al fine di una gestione
unitaria della questione, che pure collaborava con le Dogane dei singoli Paesi. Aggiungeva che la
relazione Olaf aveva riconosciuto l’origine cinese sulla base di diversi fattori, non soltanto correlati
all’inesistenza di macchinari deputati alla produzione dei prodotti accertata nel corso della
missione risalente al periodo novembre-dicembre 2004, ma anche all’esame della documentazione
attestante l’acquisto dalla Cina di componenti finiti, ancorchè non assemblati, dichiarandoli con
un’errata voce doganale al fine di potere presentare la richiesta per l’emissione dei certificati
FORM A..
19. Con il settimo motivo la ricorrente prospetta il vizio di insufficiente motivazione della
sentenza, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR non aveva adeguatamente
considerato che le importazioni rilevanti, compiute fra il giugno 2002 e l’aprile 2003, si riferivano

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all’a11.15 DAC. Peraltro, l’amministrazione aveva provato la falsità dei certificati Form A, ragion

a periodo anteriore a quello esaminato dalla relazione OLAF, risalente al dicembre 2004, nella
quale, peraltro, non era mai stata esaminata la posizione della società contribuente.
20. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure evidenziando che la missione Olaf, ad onta
di quanto ritenuto dalla società ricorrente, non era affatto limitata al controllo delle sole operazioni
svolte durante la visita ispettiva, risultando piuttosto dalle pagine iniziali della relazione che essa
intendeva “determinare la vera origine dei prodotti in questione esportati nella comunità dalla fine

della sentenza poteva ritenersi insufficiente.
21. Con l’ottavo motivo la ricorrente lamenta l’erronea ed illogica valutazione del rapporto Olaf,
nonché violazione degli artt.2 Reg. base 384/1996, dell’art.9 par.2 Reg.1073/1999, degli artt.2697 e
2700 c.c., dell’art.7 della 1.n.212/2000 ed ancora l’omessa motivazione in ordine all’inapplicabilità
del rapporto Olaf alle importazioni effettuate tra il giugno 2002 e l’aprile 2003, in relazione
all’art.360 comma 1 nn.3 e 5 c.p.c.
21.1 Prospetta, in particolare, l’inadeguata motivazione degli atti emessi dall’Ufficio- in relazione
agli artt. 7 1.n.212/2000-, i quali avevano atto riferimento alla relazione dell’Olaf ancorchè questa si
riferisse non solo ad un lasso temporale diverso da quello delle importazioni effettuate dalla società,
ma anche ad implorazioni totalmente diverse, mai menzionando la società contribuente. Ed anche la
sentenza della CTR. Risultava carente nella parte in cui aveva giustificato la correttezza in punto di
motivazione dei provvedimenti di rettifica. 23. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure
riportandosi a quanto esposto nei punti precedenti.
22. Con il nono motivo si prospetta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione
dell’art.7 dello Statuto del contribuente e dell’ art.11 d.lgs.n.374/1990 in tema di principio del
contraddittorio, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
23. Con il decimo motivo si prospetta la violazione dell’a11.15 reg.2454/1993 e dell’art.24 del c.d.c.,
inoltre prospettandosi la violazione del giudicato interno formatosi sull’inapplicabilità del ricordato
al1.15, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. La ricorrente lamenta che la relazione OLAF
avrebbe utilizzato, per ricostruire l’origine delle merci, un criterio giuridicamente errato
considerando, ai fini del carattere preferenziale, gli stessi criteri previsti per l’individuazione del
carattere preferenziale delle merci, ancorché ciò non si ricavasse affatto dall’art.24 CDC, questo
consentendo di considerare come esistente una trasformazione sostanziale anche in assenza di un
prodotto nuovo, purché risulti realizzata una fase importante del processo di lavorazione. 26. 24. 24.
L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure, precisando che nel rapporto Olaf era stata
adeguatamente e correttamente indicata la definizione di prodotto nuovo ai fini dell’applicazione

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di maggio 2002 e quindi stabilire se tali merci fossero soggette ad antiduping”. Nè la motivazione

dell’art.24 c.d.c., facendosi riferimento al “prodotto con voce doganale diversa da quella dei suoi
componenti”.
25. Con l’undicesimo motivo la ricorrente prospetta l’insufficiente motivazione della sentenza, in
relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR aveva tralasciato di considerare che
l’attività di assemblaggio svolta pacificamente in Vietnam era in grado di integrare l’ultima
trasformazione rilevante e dunque l’origine vietnamita della merce, peraltro aggiungendo che dalla

macchinari adeguati e specifici. Ribadiva che il carattere decisivo attribuito dalla relazione Olaf alla
cromatura dei meccanismi era smentito dal fatto che la merce importate presentava il diverso
processo di nichelatura, che rendeva il prodotto resistente agli agenti atmosferici. Precisava che
dalla perizia di parte era emerso che tutte le attività principali che consentivano di individuare in
Vietnam l’origine del prodotto erano state lì effettuate, unitamente alla produzione di lame di
acciaio-indispensabili alla produzione dei meccanismi di legatura- sicchè erano incomprensibili le
conclusioni della CTR nella parte in cui avevano tralasciato l’esame della perizia. Senza ancora
considerare che già solo l’attività di assemblaggio avrebbe consentito di attribuire il carattere di
origine vietnamita ai prodotti, alla stregua della giurisprudenza comunitaria. Ciò perché l’attività di
assemblaggio, che pure richiedeva un’attività di perizia e precisione elevate, era tale da trasformare
i pezzi separati, inizialmente inerti, nei meccanismi di legatura costituiti dagli anelli perfettamente
allineati, dotati di scatto adeguato e di forza sufficiente di chiusura e di adeguata chiusura della
custodia.
26. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure richiamando quanto esposto con riguardo al
precedente motivo.
27. Con il dodicesimo motivo la ricorrente prospetta la violazione dell’art.220 c.d.c. e dell’art.2697
c.c. e l’insufficiente motivazione sull’esistenza della buona fede dell’importatore, in relazione
all’art.360 comma 1 nn.3 e 5 c.p.c. Lamenta che la CTR, individuando nell’importatore il soggetto
comunque responsabile anche in caso di sua buona fede in caso di errore delle autorità doganali
provocato dal dichiarante aveva omesso di considerare che, in forza della giurisprudenza
comunitaria, l’esonero della responsabilità dell’importatore era ammesso le quanto volte l’autorità
doganale fosse stata in grado di individuare che la merce non poteva godere del regime
preferenziale. Ciò che nel caso concreto si era verificato, posto che le autorità doganali vietnamite
avevano rilasciato il certificato Form A formalmente genuino senza sollevare alcuna obiezione, pur
essendo in grado di stabilire, attraverso le fatture relative alla merce importata dalla Cina allegate al
rapporto Olaf- dalle quali risultava che la descrizione delle merci come anelli o altri componenti del

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perizia giurata era emerso che in Vietnam era stata svolto almeno il 97 % delle lavorazioni con

prodotto in questione e non come materie prime- , che i meccanismi non rientravano nel regime
preferenziale e risultando peraltro l’importatore in buona fede.
28. L’Agenzia delle dogane ha dedotto l’infondatezza della censura, non risultando sufficiente ai
fini dello sgravio, la buona fede dell’importatore, non essendosi in presenza di un errore attivo da
parte della dogana.
29. Con il tredicesimo motivo

si prospetta la violazione dell’art.303 comma 1 e 3 t.u.l.d. e

essendo la sanzione irrogata applicabile in quanto non si discuteva in ordine alla qualità, quantità e
valore delle merci, ipotesi che invece prevedeva l’art.303 cit.
30. Con il quattordicesimo motivo si prospetta l’omessa motivazione della sentenza, in relazione
all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c., sulla natura di circostanza aggravante dell’art.303 t.u.l.d. e sulla
inapplicabilità alla fattispecie, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta la società
contribuente che la CTR non aveva esaminato le prospettazioni esposte circa l’inapplicabilità della
sanzione.
31. L’Agenzia deduceva l’infondatezza delle due censure risultando dalla sentenza esaminata
l’eccezione prospettata dalla società contribuente.
32. Con il quindicesimo motivo si prospetta l’omessa pronunzia in ordine all’inapplicabilità
dell’esimente di cui all’art.6 comma 2 d.lgs.n.472/1997, in relazione agli artt.36 d.lgs.n.546/92 e
360 comma 1 n.4 c.p.c. Lamenta che la CTR non aveva considerato l’obiettiva incertezza rispetto
alle questioni sollevate in ordine all’origine della merce.
33. L’Agenzia rilevava l’infondatezza delle due censure, rientrando l’origine nelle ipotesi alle quali
si riferiva il comma 3 dell’art.303 tuld, che andava integrato in relazione a quanto previsto dagli
artt.8 e 11 d.1g.n.374/90.
34. Con il sedicesimo motivo

si prospetta l’insufficiente motivazione in ordine all’assenza

dell’elemento psicologico relativo alle sanzioni irrogate, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.,
nonché la violazione degli artt.5 d.lgs.n.472/1997 e 10 1.n.212/2000, in relazione all’art.360 comma
1 n.3 c.p.c.. L’Ufficio, invero, non aveva fornito alcun elemento attestante la colpa o il dolo della
società importatrice nell’attività ritenuta illecita dell’esportatore, per di più non considerando il
legittimo affidamento creato dall’indicazione, nel certificato Form A della lettera W, attestante che
le lavorazioni erano state compiute in Laos. Né la CTR aveva pronunziato sul legittimo affidamento
ingenerato dal ritardo con il quale erano state effettuate le rettifiche.
35. Con il diciassettesimo motivo si prospetta la violazione dell’art.12 comma 5 d.lgs.n.472/1997
e dell’art.2 1.n.28/1997 oltre che dell’art.70 dpr n.633/72 e degli artt.8 c.1 I.n.212/2000 e 1241 c.c.,
in relazione all’art.360 comma nn. 3 e 5 c.p.c. Lamenta la società contribuente che dopo
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dell’art.3 d.lgs.n.472/1997, nonché dell’art.69 c.p., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. non

l’annullamento in autotutela della pretesa fiscale con il conseguente sgravio concernente l’IVA
sulle importazioni in esame, non era comprensibile come la CTR, malgrado la cessazione della
materia del contendere relativa alla pretesa sostanziale, avesse mantenuto le sanzioni applicate
dall’Ufficio anche con riferimento a tale violazione, esclusa per l’avvenuta dimostrazione che le
importazioni rientravano nel regime del plafond. Sul punto, la motivazione della sentenza
impugnata non era, secondo la società, agevolmente intelligibile.

dall’ufficio non avevano determinato lo sgravio della pretesa tributaria- peraltro mai richiesto dalla
società contribuente-, autorizzandosi soltanto l’ assolvimento mediante presentazione delle
dichiarazioni d’intento per effetto dell’utilizzazione del plafond IVA ancora disponibile.
37. Assume carattere preliminare l’esame del quarto motivo di ricorso.
37.1 Secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte l’istituto della revisione
dell’accertamento per procedere al recupero dei dazi successivamente disciplinato dalla L. n. 374
del 1990, art. 11, non trova applicazione per il recupero dei diritti doganali evasi per fatti
penalmente rilevanti, essendo tale procedura destinata solo ai casi in cui la nuova liquidazione dei
diritti di dogana sia determina da una differente qualificazione delle merci importate in relazione
alla loro intrinseca natura (indagine “fattuale”) e non anche nei casi in cui in cui – impregiudicata
l’identificazione soggettiva ed aggettiva degli elementi fiscalmente rilevanti – la nuova liquidazione
origini da una diversa classificazione tariffaria o da una errata individuazione del regime daziario
applicabile (come nelle ipotesi di irregolarità e/o falsità dei certificati di provenienza) e non siano
richieste ulteriori indagini tecnico-merceologiche ma solo valutative – interpretative del trattamento
da riconoscere sulla base della documentazione di corredo (indagine “giuridica”), bastando in tal
caso attivare il rimedio generale di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 81 comma 2 ed art. 82,
per la riscossione dei diritti doganali maturati successivamente alla liquidazione”, in tal caso
rimanendo sottratto il provvedimento impositivo al termine triennale di decadenza decorrente dalla
definitività dell’accertamento(cfr. Cass. 20.9.2006 n. 20361;
Cass.n.19540/2009;Cass.n.14016/2012).
37.2 Peraltro, si è ritenuto che in tema di tributi doganali, l’azione di recupero “a posteriori” dei
dazi all’importazione o all’esportazione può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni
dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto- coincidente con la
presentazione della merce in dogana- quando la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a
causa di un atto perseguibile penalmente- a prescindere dall’esito- di condanna o assolutorio- del
giudizio- purché sia trasmessa, nel corso del termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza, la
“notizia criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto reato e
9

36. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza del rilievo, in quanto i provvedimenti resi in autotutela

presupposto di imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale-cfr.Cass.

n.

5384/2012;Cass.n.14016/2012,Cass.n.8046/13-.
37.3 Tale indirizzo, peraltro, non sembra contrastare con la previsione contenuta nell’art.221 Reg.
CEE n.2913/1992, avendo la Corte di Giustizia di recente espressamente chiarito, proprio
nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla CTP di Alessandria, che l’art. 221, nn. 3 e 4,
del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913 deve essere interpretato nel senso

tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dell’obbligazione doganale inizia a decorrere
dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti
irrevocabili-cfr.Corte giust. 17 giugno 2010, C11175/09, Agra s.r.1.-.
37.4 Del resto, che tale indirizzo si sia ormai ben sedimentato oltre che innanzi a questa Corte, è
provato dall’utilizzazione che di esso ha fatto la Corte costituzionale quale tertium comparationiscfr.Corte cost. n.243t/201, p.3.1-.
37.5 Orbene, nel caso di specie risulta dal ricorso che gli avvisi di constatazione si riferiscono a
sanzioni per importazioni relative al periodo Giugno 2002-aprile 2003 e che la comunicazione di
reato era stata sporta il 27 ottobre 2006, a fronte della notifica degli avvisi avvenuta tra il 15 ed il
27 dicembre 2006 quando già era decorso il termine triennale di prescrizione di cui si è detto.
37.6 Né l’Amministrazione, sulla quale incombeva il relativo onere di allegazione, ha fornito alcun
elemento dal quale potere inferire che l’autorità amministrativa abbia comunque portato a
conoscenza dell’Autorità giudiziaria i verbali degli organi ispettivi comunitari nel termine triennale
anzidetto.
37.8 Da ciò non può che risultare che per le importazioni di cui si discute era abbondantemente
maturata la prescrizione allorchè furono emessi gli avvisi di accertamento.
37.9 Evidente, è risultato, pertanto, l’errore in cui è incorso il giudice di appello nel non
riconoscere la fondatezza della censura già prospettata in primo grado dalla società contribuente —
v.pag.32 ricorso — e riproposta in appello- pag.65 ricorso- laddove ha implicitamente disatteso
l’eccezione di prescrizione formulata dalla società.
38. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso, che determina l’assorbimento degli altri motivi e
del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia, impone la cassazione della sentenza impugnata.
39. Non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere deciso nel merito con
l’accoglimento del ricorso proposto dalla società contribuente.
Ricorrono giusti motivi, in relazione al recente consolidamento della giurisprudenza sopra ricordata,
per compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
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che non osta ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento dei diritti

La Corte
Accoglie il quarto motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso della società contribuente.
Compensa le spese dell ‘ intero giudizio.

Così deciso il 17 giugno 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

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