Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3466 del 11/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 11/02/2021), n.3466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta M.C. – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26196-2013 proposto da:

LARI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 102,

presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO PADOVANI,

PASQUALE RUSSO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 201/2013 della COMM.TRIB.REG. LAZIO,

depositata il 04/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la LARI s.r.l. ha impugnato la sentenza n. 201/21/2013, depositata il 4 luglio 2013 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con la quale, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, era stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dalla contribuente avverso la comunicazione d’irregolarità, trasmessa dall’Agenzia delle entrate del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36 bis, comma 3.

Ha riferito che il 31 ottobre 2006 aveva eseguito il pagamento dell’Irap dovuta per l’anno d’imposta 2005, versando anche Euro 130,14 a titolo di sanzione per ravvedimento operoso, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, comma 1, lett. b). Successivamente aveva tuttavia ricevuto dall’Agenzia delle entrate la comunicazione d’irregolarità, con la quale gli era rappresentato, all’esito del controllo automatico del modello Unico/2006, che per il tardivo versamento dell’Irap era conseguita la comminazione della sanzione amministrativa di Euro 650,00, pari al 30% dell’imposta dovuta.

La contribuente aveva pertanto proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 115/33/2011 aveva dichiarato il ricorso inammissibile. L’appello introdotto dalla società dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio era stato dichiarato parimenti inammissibile con la sentenza ora impugnata. Il giudice regionale, al pari di quello provinciale, ha ritenuto che la comunicazione d’irregolarità, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, non rientra tra gli atti autonomamente impugnabili indicati nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19.

La ricorrente ha censurato la decisione con un motivo, dolendosi della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1996, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver escluso dal novero degli atti autonomamente impugnabili la comunicazione citatao D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis.

Ha quindi chiesto la cassazione della decisione, e, trattandosi di controversia fondata su questione di diritto, senza necessità di accertamenti di fatto, ha eccepito l’illegittimità costituzionale del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 3, convertito in L. 31 luglio 2005, n. 156, norma che impedirebbe l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, comma 1, lett. b).

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e nel merito la sua infondatezza, chiedendone il rigetto.

Nell’adunanza camerale del 18 novembre 2020 la causa è stata trattata e decisa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il motivo di ricorso è fondato.

Il giudice tributario ha ritenuto che l’impugnazione della comunicazione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, non è annoverata tra gli atti avverso i quali sia proponibile ricorso, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Ha evidenziato che si tratterebbe di un invito trasmesso al contribuente per chiarire la sua posizione fiscale, sicchè non comporta una pretesa certa e definitiva. Essa pertanto non sarebbe impugnabile.

Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di contenzioso tributario l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448. Ciò comporta la facoltà, non l’obbligo, di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni, fattuali e giuridiche, che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è natura/iter preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Infatti già al momento della ricezione della notizia sorge in capo al contribuente l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e quindi ad invocare una tutela giurisdizionale che assicuri il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass., 8/10/2007, n. 21045, in riferimento ad un invito al pagamento della Tosap, emesso dal Comune; 25/02/2009, n. 4513 a proposito di avviso di pagamento per contributi del Consorzio di bonifica). Al principio di diritto così affermato sono seguite pronunce, aventi ad oggetto specifici atti, non riportati tra quelli autonomamente impugnabili previsti dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (cfr. Cass., 11/02/2015, n. 2616; 2/11/2017, n. 26129). Ed a proposito della comunicazione inviata a seguito di controllo automatizzato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, il giudice di legittimità ha affermato che, nonostante l’elencazione tassativa degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, i principi costituzionali di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dalla norma su richiamata, e tale impugnazione va proposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di giurisdizione a carattere generale e competente ogni qualvolta si controverta di uno specifico rapporto tributario. Ne consegue che anche la comunicazione di irregolarità del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario (Cass., 11/05/2012, n. 7344; 19/02/2016, n. 3315).

Nel caso di specie, riguardante una comunicazione trasmessa alla società per l’applicazione di una sanzione per ritardato versamento di un’imposta, peraltro in forza di una disciplina che impone l’applicazione della sanzione piena, senza previsioni agevolative, costituisce una pretesa impositiva compiuta, che pertanto legittima il contribuente destinatario alla sua impugnazione, precedendo temporalmente la notifica della cartella di pagamento -atto quest’ultimo espressamente compreso tra quelli elencati nel dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19-.

Il giudice regionale non si è attenuto ai principi di diritto enunciati, errando dunque nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

La sentenza va dunque cassata e il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione delle spese di causa, deciderà il merito della causa.

A tal riguardo va chiarito che la questione di legittimità sollevata dalla società, al fine di decidere il merito dell’instaurato contenzioso dinanzi a questa Corte, non può essere allo stato vagliata, atteso che, avendo statuito il giudice regionale sulla inammissibilità del ricorso, non si è mai occupato del merito della controversia, precludendo dunque allo stato la comprensione della rilevanza dell’eccepita illegittimità costituzionale.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

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