Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3465 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3465 Anno 2014
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 15804-2011 proposto da:
INDUSTRIA

MECCANICA

LOMBARDA

SRL

in

persona

dell’Amministratore Unico pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio
dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOVISOLO
2013

ANTONIO giusta delega in calce;
– ricorrente –

2116

contro

AGENZIA DELLE DOGANE DI ROMA;
– intimato –

Nonché da:

Data pubblicazione: 14/02/2014

AGENZIA DELLE DOGANE DI ROMA in persona del Direttore
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

INDUSTRIA MECCANICA LOMBARDA SRL;
– intimato –

avverso la sentenza n. 73/2010 della COMM.TRIB.REG. di
GENOVA, depositata il 13/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LOVISOLO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPUTI che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto dei motivi da l a 3, accoglimento per guanto
di ragione del 4 ° motivo, assorbito esame restanti
motivi e del ricorso incidentale.

contro

t

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate di Genova emetteva nei confronti della Industria Meccanica Lombarda
s.r.l. numerosi avvisi di accertamento, rettificando le dichiarazioni di importazioni presentate dalla
società importatrice relative all’importazione di meccanismi per la legatura di fogli scortati da
certificati Forni A provenienti dal Vietnam e Laos.
2. L’Ufficio, ritenendo sulla base di un’indagine antielusiva svolta dall’Olaf, che i prodotti era in

dazio 0% in forza dell’art.9 reg. CE n.2501/01- da “preferenziale” a “Cina non preferenziale”.
Riteneva l’Ufficio che non potesse applicarsi il dazio preferenziale e che andasse, invece, applicato
il dazio antidumping introdotto dal Reg. CE n. 119/97 come modificato dal Reg.2100/2000.
3.Con riguardo alle importazioni dal Vietnam compiute in un periodo compreso fra il giugno 2002
ed il settembre 2003 venivano quindi emessi atti di rettifica e di irrogazione sanzioni con i quali si
disponeva la ripresa a tassazione dei dazi antidumping previsti dal Reg.CE

117/97

e

2100/2001 e dell’IVA all’importazione, disapplicando le preferenze tariffarie previste per il
Vietnam.
4.La società contribuente proponeva diversi ricorsi innanzi alla CTP di Genova che, previa
riunione, rigettava i ricorsi della contribuente, dichiarando cessata la materia del contendere con
riferimento all’IVA.
5. La società contribuente impugnava la sentenza di primo grado innanzi alla CTR della Liguria
che, con sentenza depositata il 13 luglio 2010, rigettava l’impugnazione principale e quella
incidentale dell’Agenzia- tanto risultando dalla sentenza qui impugnata-, confermando la decisione
di primo grado.
6.0sservava la CTR che la decisione del giudice di primo grado andava pienamente confermata,
ritenendo che gli atti emessi dall’Ufficio erano adeguatamente motivati attraverso il rinvio per

relationem al rapporto Olaf che la società, con le proprie difese, aveva dimostrato di conoscere in
ogni suo aspetto.
6.1 La CTR, dopo avere premesso che ai fini del riconoscimento dell’origine preferenziale
assumevano valore di prova i certificati Form/a finchè non fosse emerso da controlli a posteriori che
gli stessi non erano idonei a confermare l’origine- in tal caso dovendosi considerare la merce di
origine ignota- precisava che rispetto alle posizioni antitetiche espresse dalle due parti, l’unico
elemento a disposizione dell’Ufficio e della Commissione era rappresentato dal rapporto dell’Olaf.
6.2 Precisava che le determinazioni di tale organo, a composizione internazionale avevano pieno
valore, non risultando altri elementi per disattendere le risultanze ivi esposte, dalle quali era emerso
che dalla Cina erano state effettuate esportazioni verso il Vietnam di materie prime indicate con il

1

effetti di origine cinese, rettificava l’origine delle merci da Vietnam e Laos (paesi che godevano di

codice 7326 relativo a materie prime anziché con quello 8305 relativo a meri componenti, proprio
al fine di evitare il dazio antidumping, anche considerando che i macchinari per la fabbricazione dei
meccanismi non erano mai state installate dalla società vietnamita se non un anno e mezzo dopo la
prima esportazione di prodotti.
6.3 Aggiungeva che nel territorio vietnamita si erano realizzate attività di mero assemblaggio e che
ciò era stato confermato dalle autorità fiscali di quel paese.

Vietnam e successivamente in Laos. Precisava, ancora, la relazione dell’Olaf che nel Vietnam erano
stati importati gli accessori per il solo assemblaggio e che vi era stata un’attività volta ad ingannare
le autorità laotiane al fine d ottenere la certificazione di origine attraverso la dichiarazione di una
voce tariffaria errata realizzandosi, nella sostanza, un trasferimento di merci da e per l’Europa,
Cina, Vietnam e Laos avente origine cinese e quindi soggetta a riscossione retroattiva di dazi
antidumping.
6.5 Precisava poi che l’importatore, ancorchè in buona fede, era tenuto a sopportare i
comportamenti scorretti del fornitore, non potendosi trasferire sulla collettività il rischio
imprenditoriale. Aggiungeva, ancora, che le verifiche in loco, necessariamente successive rispetto
alle importazioni, svolte dall’Olaf avevano acclarato l’assenza di macchinari idonei ad effettuare le
lavorazioni idonee alla identificazione del prodotto di origine, risultando effettuate solo lavorazioni
di inscatolamento o assemblaggio di scarso valore aggiunto, all’interno di strutture “di per sè
modeste e comunque smantellate nel momento in cui la Comunità ha esteso i dazi antidumping al
Vietnam prima ed al Laos dopo”.
6.6 I giudici di appello, inoltre, chiarivano che le merci, per effetto dei dazi successivamente
imposti, erano state rispedite al mittente dall’Europa proprio grazie ad una pattuizione che il reale
produttore cinese aveva concordato con l’acquirente, in modo da accollarsi il rischio dell’eccessiva
onerosità prodotta per effetto dei dazi. Tale circostanza confermava, pertanto, che vi era stato un
accordo teso ad eludere l’applicazione dei dazi imposti sulla merce di origine cinese attraverso
l’interposizione fittizia di altro Paese ove erano state mantenute strutture quasi simboliche facenti
capo di fatto comunque all’esportatore cinese.
6.7 Specificavano, quindi, i giudici che le sanzioni connesse all’IVA erano comunque dovute in
quanto la compensazione integrava pur sempre una forma di pagamento prevista dal codice civile e
dalla normativa fiscale.
6.8 Chiarivano, poi, che per le considerazioni svolte non era ipotizzabile alcun legittimo
affidamento da parte dell’importatore che, anzi, doveva ritenersi rivolto a perseguire indebitamente
ingenti vantaggi fiscali. Ciò che escludeva il riconoscimento di qualsiasi attenuante, non potendo
2

6.4 Rilevava, ancora, che in seguito ai controlli quattro partite del prodotto erano state rispedite in

nemmeno trovare applicazione la distinzione fra terzo e primo comma dell’art.303 tuid.
6.9 La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a dodici motivi, al quale ha
resistito l’Agenzia delle Dogane con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi. La
società contribuente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Con il primo motivo la società contribuente lamenta la violazione degli artt.218 e 220 c.d.c. in

censura, sollevi rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla portata interpretativa delle
disposizioni sopra ricordate. Ritiene la ricorrente principale che l’Ufficio aveva tralasciato di
applicare la disciplina in tema di termini per la contabilizzazione a posteriori introdotta dagli
artt.218 e 220 c.d.c., fissati rispettivamente in due giorni per la contabilizzazione ed in due mesi,
prorogabile per non oltre 14 giorni, per la contabilizzazione in materia di dumping. Ragion per cui
gli atti di rettifica e di contestazione dovevano essere annullati, avendo errato il giudice di appello
nel ritenere che detti termini, certamente dotati di natura perentoria, erano applicabili solo nei
rapporti fra Stato e CEE. Del resto, la stessa Corte di Giustizia- sent. in causa C-423-08 del 17
giugno 2010- aveva confermato che il mancato rispetto di tali termini determinava la condanna
dello Stato nei confronti della Comunità. Ciò che imponeva la dichiarazione di annullamento
dell’atto al fine di evitare non solo il reiterarsi di prassi illegittime, ma anche la condanna dello
Stato italiano da parte della giurisprudenza comunitaria. Del resto, il Tribunal Superior de Justicia
de la Comunidad Valenciana, posto di fronte ad analoga questione, l’aveva risolta ritenendo
perentori i termini di cui alle ricordate disposizioni.
8. L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza della censura, riferendosi i termini indicati
nelle disposizioni normative evocate dalla ricorrente principale all’iscrizione dei maggiori dazi nella
contabilità UE e non quelli relativi alla notifica degli atti impositivi nei confronti dei soggetti
legittimati passivi.
9. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dei Reg.CE n.119/97, come
modificato dal Reg.n.2100/2000, Reg.CE n.2074/2004, Reg.n.1773/03, del Reg.CE n.1208/04 e del
Reg.n.384/96(art.13) in relazione all’art.360 comma I n.3 c.p.c.
9.1 Prospetta che l’Ufficio era partito dall’idea di potere applicare al caso di specie il Reg.CEE
n.2100/2000 relativo ai dazi antidumping relativo ai meccanismi di legatura dei fogli di origine
cinese alle importazioni provenienti dal Vietnam, ancorchè tale condotta risulti impedita dal
regolamento anzidetto, come risultava confermato dai successivi regolamenti comunitari i quali,
nell’estendere la misura antidumping a Vietnam e Laos, non potevano operare rispetto alle
importazioni anteriori rispetto ai periodi di vigenza, avendo applicazione retroattiva limitata al
3

relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. chiedendo che la Corte, ove non dovesse ritenere fondata la

periodo di avvio del provvedimento di inchiesta, coincidente con il 2 ottobre 2003.
9.2 Anche in questo caso la società rilevava, in via graduata, la necessità che questa Corte
promuovesse rinvio pregiudiziale sull’interpretazione della disciplina comunitaria, meccanismo
idoneo ad applicare i dazi in caso di operazioni di assemblaggio elusive che dell’art.25 c.d.c.
10.L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza delle censure, in quanto nel caso specifico
l’Ufficio aveva applicato i dazi previsti dal Reg.119/97 e 2100/2000, ricadendo sull’operatore

retroattiva del Reg.1733/03 e del reg.1208/04. Ciò che escludeva la necessità di sollevare il rinvio
pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia.
11. Con il terzo motivo si lamenta l’omessa, insufficiente motivazione della sentenza, in relazione
all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. La CTR non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni che
consentivano all’amministrazione di pretendere dalla società contribuente il dazio antidumping
imposto per i prodotti cinesi rispetto alle importazioni vietnamite in relazione alla riserva di
regolamento introdotta dall’art.13 del reg.n.384/97 ed alla retroattività limitata imposta dalla
medesima disposizione ai due regolamenti CE che avevano esteso, ma soltanto per il periodo
successivo alle importazioni in esame, il dazio antidumping cinese per i meccanismi di legatura
fogli di provenienza vietnamita.
12.L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, ribadendo quanto dedotto con riferimento al
secondo motivo.
13. Con il quarto motivo la società contribuente ha dedotto l’omessa pronuncia sulla intervenuta
decadenza e/o prescrizione dell’Ufficio dal potere di accertamento e di riscossione dei dazi pretesi,
essendo decorso il termine triennale previsto dagli artt.221 c.d.c., dall’art.11 d.lgs.n.374/1990 e
dall’art.84 dpr n.43/73, prospettando comunque la violazione delle disposizioni normative sopra
ricordate in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
13.1 Evidenzia che la CTR non aveva esaminato l’eccezione di prescrizione decadenza formulata
fin dal primo grado rispetto alla pretesa fiscale azionata dall’Ufficio, riguardando importazioni
eseguite fra il giugno 2002 e l’aprile 2003. Ed infatti, gli atti di rettifica erano stati notificati fra il
15 ed il 27 dicembre 2006, mentre la denunzia penale sporta dalla Dogana risaliva al 27 ottobre
2006, quando già era scaduto il termine triennale previsto dagli artt.11 e 84 cit. Né poteva tacersi la
pretestuosità di tale denunzia, alla quale era seguita l’archiviazione del procedimento, non
potendosi configurare le ipotesi delittuose per assenza dell’elemento psicologico, come avrebbe
dovuto accertare la stessa CTR. Prospetta poi in via subordinata l’incostituzionalità degli artt.11 e
84 cit. per contrasto con gli artt.3,24,25 e 97 Cost., ove questa Corte dovesse ritenere di non aderire
alle conclusioni esposte nella censura.
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l’onere di accertare la reale origine della merce. Chiariva che non era stata fatta applicazione

14. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza della censura, evidenziando la piena valenza probatoria
della relazione Olaf proprio in ragione del coinvolgimento di diversi stati nelle sospette irregolarità
che imponevano l’effettuazione delle missioni da parte degli organi investigativi comunitari. Le
autorità vietnamite erano state pienamente coinvolte nelle indagini, fornendo copia di tutte le
dichiarazioni doganali e dei documenti giustificativi relativi alle importazioni di componenti forniti
alla società OXMCL dalla società HKS risultanti di origine cinese dichiarati con la voce doganale

finiti ancorchè non assemblati. Aggiungeva che il rapporto Olaf aveva evidenziato le ragioni di
siffatto meccanismo, rivolto, per un verso, a fruire dell’esenzione daziaria per le importazioni di
materie prime e, per altro verso, ad avvantaggiare gli importatori della merce acquistata dal
Vietnam, sostenendo che ivi si era realizzata una trasformazione essenziale della merce, in modo da
fruire del trattamento preferenziale previsto dal Sistema delle Preferenze generalizzate per eludere il
dazio antidumping previsto per la merce di origine cinese. Chiariva che nel rapporto Olaf si era
accertato che l’assemblaggio avvenuto in Vietnam non conferiva l’origine vietnamita, in base
all’a11.15 DAC. Peraltro, l’amministrazione aveva provato la falsità dei certificati Form A, ragion
per cui doveva essere non solo esclusa l’origine preferenziale, ma anche applicato il dazio
antidumping.
15. Con il quinto motivo si prospetta il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, in
relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR attribuendo valenza decisiva al
rapporto OLAF, aveva tralasciato di considerare il valore probatorio dei certificati FORM A
attestante l’origine della merce. Nemmeno si era considerato che le autorità vietnamite avrebbero
potuto chiarire il significato del termine W esistente sui certificati, attestante la trasformazione e
lavorazione in loco
16. Con il sesto motivo la ricorrente prospetta la violazione degli artt.81 e 84 Reg.CEE n.2454/93,
dell’art.9 par.2 del Reg.n.1073/99, nonché degli artt.115 c.p.c. e 24 d.lgs.n.546/92 e degli artt.2697
e 2700 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che la CTR, tralasciando di
considerare i certificati Forni A, aveva violato le disposizioni normative anzidette, risultando i
certificati dotati del valore di “atti pubblici”, avendo la dogana vietnamita attestato l’origine
Vietnam della merce. Ragion per cui solo la dimostrazione specifica in ordine alla non
corrispondenza di tale dichiarazione alla realtà avrebbe potuto giustificare la decisione della CTR
che, al contrario, si era basata solo sulle risultanze della relazione Olaf datate 30 marzo 2005, che
aveva valenza probatoria privilegiata quanto alla provenienza dl pubblico ufficiale ma non certo
in ordine a quanto ivi affermato, essendosi i fatti per i quali era causa, collocati temporalmente fra il
giugno 2002 e l’aprile 2003.
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7326 (relativa alle materie prime) e non con la voce 8305 relativa ai meccanismi di legatura di fogli

17. L’Agenzia ha dedotto l’erroneità della censura. Osservava, quanto al rilievo di cui all’art.94
DAC, che in caso di possibili frodi doganali i controlli riguardanti una pluralità di dogane coinvolte
richiedevano lo svolgimento delle indagini da part dell’OLAF proprio al fine di una gestione
unitaria della questione, che pure collaborava con le Dogane dei singoli Paesi.
18. Con il settimo motivo la ricorrente prospetta il vizio di insufficiente motivazione della
sentenza, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR non aveva adeguatamente

a periodo anteriore a quello esaminato dalla relazione OLAF, risalente al dicembre 2004, nella
quale, peraltro, non era mai stata esaminata la posizione della società contribuente.
19. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure evidenziando che la missione Olaf, ad onta
di quanto ritenuto dalla società ricorrente, non era affatto limitata al controllo delle sole operazioni
svolte durante la visita ispettiva, risultando piuttosto dalle pagine iniziali della relazione che essa
intendeva “determinare la vera origine dei prodotti in questione esportati nella comunità dalla fine
di maggio 2002 e quindi stabilire se tali merci fossero soggette ad antiduping”. Nè la motivazione
della sentenza poteva ritenersi insufficiente.
20. Con l’ottavo motivo si prospetta l’erronea ed illogica valutazione del rapporto Olaf, nonché
violazione degli artt.2 Reg. base 384/1996, dell’art.9 par.2 Reg.1073/1999, degli artt.2697 e 2700
c.c., dell’art.7 della 1.n.212/2000 ed ancora l’omessa motivazione in ordine all’inapplicabilità del
rapporto Olaf alle importazioni effettuate tra il giugno 2002 e l’aprile 2003, in relazione all’art.360
comma 1 nn.3 e 5 c.p.c.
20.1 Prospetta, in particolare, l’inadeguata motivazione degli atti emessi dall’Ufficio- in relazione
agli artt. 7 1.n.212/2000-, i quali avevano fatto riferimento alla relazione dell’Olaf ancorchè questa si
riferisse non solo ad un lasso temporale diverso da quello delle importazioni effettuate dalla società,
ma anche ad implorazioni totalmente diverse, mai menzionando la società contribuente. Ed anche la
sentenza della CTR risultava carente nella parte in cui aveva giustificato la correttezza in punto di
motivazione dei provvedimenti di rettifica. Peraltro, la CTR aveva violato gli artt. 9 par. 2
reg.1073/1999 e gli artt. 2697 e 2700 c.c. attribuendo alla relazione OLAF un valore probatorio che
essa non aveva quanto agli apprezzamenti ed induzioni ivi contenute.
21. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure riportandosi a quanto esposto nei punti
precedenti.
22. Con il nono motivo si prospetta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione
dell’art.7 dello Statuto del contribuente e dell’art.11 d.lgs.n.374/1990 in tema di principio del
contraddittorio come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, in relazione
all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
6

considerato che le importazioni rilevanti, compiute fra il giugno 2002 e l’aprile 2003, si riferivano

23. Coni! decimo motivo la ricorrente prospetta la violazione dell’a11.15 reg.245411993 e dell’art.24
del c.d.c., inoltre prospettandosi la violazione del giudicato interno formatosi sull’inapplicabilità del
ricordato al1.15, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che la relazione OLAF avrebbe
utilizzato, per ricostruire l’origine delle merci, un criterio giuridicamente errato considerando, ai
fini del carattere preferenziale, gli stessi criteri previsti per l’individuazione del carattere
preferenziale delle merci, ancorché ciò non si ricavasse affatto dall’art.24 CDC, questo consentendo

nuovo, purché risulti realizzata una fase importante del processo di lavorazione.
24. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure, precisando che nel rapporto Olaf era stata
adeguatamente e correttamente indicata la definizione di prodotto nuovo ai fini dell’applicazione
dell’art.24 c.d.c., facendosi riferimento al “prodotto con voce doganale diversa da quella dei suoi
componenti”.
25. Con l’undicesimo motivo la ricorrente prospetta l’insufficiente motivazione della sentenza, in
relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR aveva tralasciato di considerare che
l’attività di assemblaggio svolta pacificamente in Vietnam era in grado di integrare l’ultima
trasformazione rilevante e dunque l’origine vietnamita della merce, peraltro aggiungendo che dalla
perizia giurata era emerso che in Vietnam era stata svolto almeno il 97 % delle lavorazioni con
macchinari adeguati e specifici. Ribadiva che il carattere decisivo attribuito dalla relazione Olaf alla
cromatura dei meccanismi era smentito dal fatto che la merce importate presentava il diverso
processo di nichelatura, che rendeva il prodotto resistente agli agenti atmosferici.
26. L’Agenzia ha dedotto l’infondatezza delle censure richiamando quanto esposto con riguardo al
precedente motivo. Infatti, era stato dimostrato che la società OXMCL importava dalla Cina
componenti cui la normativa comunitaria attribuiva la medesima voce doganale del prodotto
assemblato.Ragion per cui sulla base dell’a11.15 DAC importandosi ed esportato un prodotto
rientrante sempre nella voce doganale 8305, la lavorazione eseguita non era sufficiente a conferirgli
il carattere di origine Vietnam.
27. Con il dodicesimo motivo si prospetta la violazione dell’art.220 c.d.c. e dell’art.2697 c.c. e
l’insufficiente motivazione sull’esistenza della buona fede dell’importatore, in relazione all’art.360
comma 1 nn.3 e 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente principale che la CTR, individuando nell’importatore
il soggetto comunque responsabile anche in caso di sua buona fede in caso di errore delle autorità
doganali provocato dal dichiarante aveva omesso di considerare che, in forza della giurisprudenza
comunitaria, l’esonero della responsabilità dell’importatore era ammesso le quanto volte l’autorità
doganale fosse stata in grado di individuare che la merce non poteva godere del regime
preferenziale.
7

di considerare come esistente una trasformazione sostanziale anche in assenza di un prodotto

28. L’Agenzia delle dogane ha dedotto l’infondatezza della censura, non risultando sufficiente ai
fini dello sgravio, la buona fede dell’importatore, non essendosi in presenza di un errore attivo da
parte della dogana.
29. Assume carattere preliminare l’esame del quarto motivo di ricorso.
29.1 Questa Corte ha avuto modo di precisare che l’istituto della revisione dell’accertamento per
procedere al recupero dei dazi successivamente disciplinato dalla L. n. 374 del 1990, art. 11, non

tale procedura destinata solo ai casi in cui la nuova liquidazione dei diritti di dogana sia determina
da una differente qualificazione delle merci importate in relazione alla loro intrinseca natura
(indagine “fattuale”) e non anche nei casi in cui in cui – impregiudicata l’identificazione soggettiva
ed aggettiva degli elementi fiscalmente rilevanti – la nuova liquidazione origini da una diversa
classificazione tariffaria o da una errata individuazione del regime daziario applicabile (come nelle
ipotesi di irregolarità e/o falsità dei certificati di provenienza) e non siano richieste ulteriori indagini
tecnico-merceologiche ma solo valutative – interpretative del trattamento da riconoscere sulla base
della documentazione di corredo (indagine “giuridica”), bastando in tal caso attivare il rimedio
generale di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 81 comma 2 ed art. 82, per la riscossione dei
diritti doganali maturati successivamente alla liquidazione”, in tal caso rimanendo sottratto il
provvedimento impositivo al termine triennale di decadenza decorrente dalla definitività
dell’accertamento(cfr. Cass. 20.9.2006 n. 20361; Cass.n.19540/2009;Cass.n.14016/2012).
29.2 Si è però ritenuto che in tema di tributi doganali, l’azione di recupero “a posteriori” dei dazi
all’importazione o all’esportazione può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla
data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto- coincidente con la presentazione
della merce in dogana- quando la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto
perseguibile penalmente- a prescindere dall’esito- di condanna o assolutorio- del giudizio- purchè
sia trasmessa, nel corso del termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza, la “notizia
criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di
imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale-cfr.Cass.

n.

5384/2012;Cass.n.14016/2012,Cass.n.8046/13-.
29.3 Tale indirizzo, peraltro, non sembra contrastare con la previsione contenuta nell’art.221 Reg.
CEE n.2913/1992, avendo la Corte di Giustizia di recente espressamente chiarito, proprio
nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla CTP di Alessandria, che l’art. 221, nn. 3 e 4,
del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913 deve essere interpretato nel senso
che non osta ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento dei diritti
tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dell’obbligazione doganale inizia a decorrere
8

trova applicazione per il recupero dei diritti doganali evasi per fatti penalmente rilevanti, essendo

dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti
irrevocabili-cfr.Corte giust. 17 giugno 2010, CH75109, Agra
29.4 Del resto, che tale indirizzo si sia ormai ben sedimentato è provato dall’utilizzazione che di
esso ha fatto la Corte costituzionale quale tertium comparationis-cfr.Corte cost. n.241/201t p.3.1-.
Orbene, nel caso di specie risulta dal ricorso che gli avvisi di constatazione si riferiscono a sanzioni
per importazioni relative al periodo Giugno 2002-aprile 2003 e che la comunicazione di reato era

dicembre 2006 quando già era decorso il termine triennale di prescrizione di cui si è detto.
29.5 Né l’Amministrazione, sulla quale incombeva il relativo onere di allegazione, ha fornito alcun
elemento dal quale potere inferire che l’autorità amministrativa abbia comunque portato a
conoscenza dell’Autorità giudiziaria i verbali degli organi ispettivi comunitari nel termine triennale
anzidetto.
29.6 Da ciò non può che risultare che per le importazioni di cui si discute era abbondantemente
maturata la prescrizione allorchè furono emessi gli avvisi di accertamento.
29.7 Evidente, è risultato, pertanto, l’errore in cui è incorso il giudice di appello nel non riconoscere
la fondatezza della censura già prospettata in primo grado dalla società contribuente —v.pag.30
ricorso — e riproposta in appello- pag.62 ricorso- laddove ha implicitamente disatteso l’eccezione di
prescrizione formulata dalla società.
30. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso, che determina l’assorbimento degli altri motivi e
del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia, impone la cassazione della sentenza impugnata.
31. Non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere deciso nel merito con
l’accoglimento del ricorso proposto dalla società contribuente.
32. Ricorrono giusti motivi, in relazione al recente consolidamento della giurisprudenza sopra
ricordata, per compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.

La Corte
Accoglie il quarto motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso della società contribuente.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso il 17 giugno 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

stata sporta il 27 ottobre 2006, a fronte della notifica degli avvisi avvenuta tra il 15 ed il 27

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