Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3465 del 13/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 3465 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

ORDINANZA

sul ricorso 28873-2012 proposto da:
MINISTERO

ISTRUZIONE

UNIVERSITA’

RICERCA

C.F.

80185250588, in persona del Ministro pro tempore,
UNIVERSITA’ STUDI BRESCIA C.F. 98007650173, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrenti –

2017

4608

contro

MASSARDI MARIA LUISA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA MONTE AMIATA

33,

presso lo studio

dell’avvocato MICHELA FUSCO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 13/02/2018

difende

unitamente

agli

avvocati

ROBERTO VASAPOLLI e ROBERTO MANCINI,

MICHELE

AGOSTINI,

giusta delega in

atti;
– controricorrente

di BRESCIA,
776/2011.

465/2012 della CORTE D’APPELLO

depositata il 09/10/2012,

R. G. N.

avverso la sentenza n.

R.G. 28873/2012

RILEVATO
Che la Corte d’Appello in epigrafe, confermando la sentenza di prime cure, ha
accertato che la dipendente dell’Università degli Studi di Brescia Maria Luisa Massardi,
inquadrata nella categoria C, aveva maturato il diritto alle differenze retributive per
aver svolto mansioni della superiore categoria D nel periodo 18/4/2002- 13/1/2011

le predette differenze retributive alla Massardi, comprensive di rivalutazione e
interessi.

Che la sentenza d’appello ha accertato da una comparazione tra le modalità di
svolgimento della prestazione lavorativa e le rispettive declaratorie della categoria C
di appartenenza e della categoria D di fatto attribuita, che la Massardi aveva svolto
attività di ricerca e formativa di alto livello, esercitando un grado di discrezionalità e di
autonomia al di fuori di procedure prestabilite e con un livello altrettanto elevato di
capacità di proposta e di iniziativa, tali da far ritenere provato il suo diritto alle
differenze retributive per svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto alla
qualifica formale di inquadramento.

Che avverso tale decisione propone ricorso il Miur con due motivi, cui resiste con
tempestivo controricorso, illustrato da memoria Maria Luisa Massardi.

CONSIDERATO

Che con il primo motivo il Miur deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 52,
co.5, I. n.165/2001. Che la censura si fonderebbe sull’erronea interpretazione da
parte della pronuncia gravata della norma richiamata in epigrafe che, secondo parte
ricorrente, postula, ai fini del riconoscimento economico delle mansioni superiori nel
pubblico impiego contrattualizzato, la necessità di un atto formale d’incarico da parte
del superiore gerarchico.

Che col secondo motivo il Ministero lamenta insufficiente, carente motivazione su
un punto decisivo della controversia. Che l’asserito vizio si riferisce alla presunta
lacunosità della motivazione in merito alla scelta delle allegazioni ritenute utili ai finì
della prova circa l’effettivo svolgimento delle mansioni superiori.

Che il primo motivo è infondato.
Che questa Corte ha deciso che “In tema di pubblico impiego contrattualizzato,
l’espletamento di fatto di funzioni dirigenziali da parte di un funzionario fa sorgere il

presso la stessa Università. Che l’appellante Ministero era stato condannato a pagare

diritto al corrispondente trattamento economico, a condizione che il lavoratore assolva
all’onere di allegazione e prova circa la pienezza delle mansioni assegnate sotto il
profilo quantitativo e qualitativo, in relazione alle concrete attività svolte, nonché in
ordine alle responsabilità attribuite, restando irrilevante, a tal fine, la presenza di un
atto formale di preposizione privo dei requisiti di regolarità” (Cass. n. 18712/2016).
Che tale prova è stata – indiscutibilmente – raggiunta nel giudizio di merito.
Che la seconda censura è inammissibile.

il requisito dell’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti”, secondo la formulazione introdotta dal d.l. n.
83/2012, convertito in I. 132/2012, che ha novellato l’art. 360, co.1, n.5 cod. proc.
civ. Che la doglianza circa la scelta delle risultanze probatorie, da parte del Giudice del
merito, tra quelle ritenute più idonee a sostenere la motivazione, si sostanzia, in
realtà nella censura della loro stessa interpretazione, mirando ad ottenere un giudizio
di merito sulle stesse, precluso in sede di legittimità.
Che pertanto essendo la prima censura infondata e la seconda inammissibile, il
ricorso è rigettato. Che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti
della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000
per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento,
agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

Così deciso nell’Adunanza Camerale del 21 novembre 2017

Che il vizio di motivazione così come prospettato nel secondo motivo non soddisfa

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