Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3465 del 09/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 09/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.09/02/2017),  n. 3465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SOPIN S.P.A., in persona dell’amministratore unico p.t.

B.A., elettivamente domiciliata in Roma, alla piazza Adriana n. 8,

presso l’avv. GIOVANNI FRANCESCO BIASIOTTI MOGLIAZZA, dal quale,

unitamente all’avv. DANIELA GAMBARDELLA, è rappresentata e difesa

in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente e controricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “(OMISSIS)”, in persona del Magnifico

Rettore p.t. F.L., elettivamente domiciliata in Roma, alla

via Monte Zebio n. 28, presso l’avv. prof. GIUSEPPE BERNARDI, dal

quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 3942/10,

pubblicata il 4 ottobre 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

novembre 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CARDINO Alberto, il quale ha concluso per il rigetto

di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 9 novembre 2005, il Tribunale di Frosinone accolse l’opposizione proposta dalla Sopin S.p.a. avverso il precetto notificatole il 15 ottobre 2003 dall’Università degli Studi di Roma “(OMISSIS)”, avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 1.717.491,11 dovuta in virtù della sentenza n. 731/97 del Tribunale di Roma, con cui l’attrice era stata condannata alla restituzione di una somma percepita in base ad un titolo giudiziale caducato.

2. – L’impugnazione proposta dall’Università è stata accolta dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 4 ottobre 2010 ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata, rimettendo le parti dinanzi al Giudice di primo grado.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso l’inammissibilità dell’appello per difetto di autorizzazione a non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato, dando atto dell’avvenuta produzione del decreto rettorale del 5/6 febbraio 2007, con cui era stato disposto il conferimento del mandato ad un avvocato del libero foro per motivi di opportunità connessi al conflitto d’interessi con il Ministero dell’economia e delle finanze, avendo la causa ad oggetto un credito della gestione liquidatoria dell’Azienda Policlinico Umberto I. Ha inoltre escluso l’estraneità di tale atto alla competenza del Rettore, osservando che l’art. 12 dello statuto dell’Università non includeva l’autorizzazione tra gli atti di competenza del Consiglio di Amministrazione.

Pur rilevando che l’atto di appello era stato notificato in data successiva alla scadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., la Corte ha poi rigettato l’eccezione di decadenza dall’impugnazione. dichiarando la nullità della sentenza di primo grado, per nullità della notifica dell’atto di opposizione a precetto. Premesso infatti che la notificazione non era stata eseguita presso il domicilio eletto nell’atto di precetto, ma presso la cancelleria del giudice adito, ai sensi dell’art. 480 c.p.c., comma 3, ha infatti osservato che un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione avrebbe imposto di ritenere inefficace l’elezione di domicilio esclusivamente ai fini dell’individuazione del giudice competente, restando la stessa irrilevante ai tini dell’instaurazione del contraddittorio.

La Corte ha rigettato infine la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’appellante ai sensi dell’art. 96 c.p.c., rilevandone la genericità ed osservando che la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado era stata eseguita in conformità della giurisprudenza all’epoca prevalente.

3. Avverso la predetta sentenza la Sopin ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’università ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, ed anch’esso illustrato con memoria, al quale la Sopin ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione per difetto d’interesse, sollevata dalla difesa dell’Università in relazione all’intervenuta stipulazione di una transazione tra la ricorrente e la Gestione liquidatoria dell’Azienda Policlinico Umberto I, nell’ambito della quale la Sopin avrebbe accettato la somma di Euro 11.988.092,45 a saldo dei crediti vantati per il periodo antecedente al 31 ottobre 1999, contestualmente rinunciando ad ogni azione giudiziaria già promossa o da promuovere al riguardo.

Indipendentemente dalla sua riferibilità al credito che costituisce oggetto del presente giudizio, contestata dalla ricorrente, la predetta transazione risulta anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata, essendo stata stipulata il 30 giugno 2009. e non può quindi essere fatta valere nella presente fase processuale, non essendo stato precisato se essa sia stata ritualmente prodotta nel giudizio di merito: il principio secondo il quale, dopo la notifica del ricorso per cassazione, è consentita, a norma dell’art. 372 c.p.c., la produzione di un documento dal quale risulti l’avvenuta transazione della lite, in quanto rivolto a dimostrare la sopraggiunta carenza d’interesse all’impugnazione, non può trovare infatti applicazione allorquando, come nella specie, l’atto avrebbe potuto e dovuto essere prodotto nella fase di merito. perchè anteriore alla conclusione della stessa, dovendo in tal caso applicarsi il principio generale che vieta la produzione di nuovi documenti in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 20 settembre 2013, n. 21596; Cass. Sez. 28 agosto 2002, n. 12607; 13 febbraio 1987, n. 1581).

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione del R.D. 31 agosto 1933, n. 1952, art. 56 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 53come modificato dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11 e della L. 9 maggio 1989, n. 168, art. 6 censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto valida la procura conferita al difensore dell’appellante, pur in mancanza dell’autorizzazione del Consiglio di Amministrazione. Sostiene infatti che, nel prevedere la cessazione dell’efficacia delle disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con i regolamenti di ateneo, la L. n. 168 del 1989 non ha fatto venir meno il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore delle Università, non avendo comportato l’abrogazione del R.D. n. 1952 del 1933, art. 56 ma essendosi limitata a rafforzare l’autonomia degli Atenei attraverso il riconoscimento di una potestà statutaria e regolamentare riguardante essenzialmente aspetti organizzativi, finanziari, contabili e scientifici. Afferma pertanto che la nomina di un avvocato del libero foro avrebbe richiesto la preventiva autorizzazione del Consiglio di Amministrazione, in mancanza della quale l’Università avrebbe dovuto affidarsi all’Avvocatura dello Stato, ovvero, se autonomamente disposta dal Rettore in via d’urgenza, avrebbe dovuto essere successivamente ratificata dall’organo competente in via ordinaria.

2.1. – Il motivo non merita accoglimento.

Nell’escludere il difetto di legittimazione processuale dell’Università, la sentenza impugnata non si è affatto discostata dal principio, invocato dalla ricorrente e costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, a seguito della riforma attuata con L. n. 168 del 1989, le università non costituiscono più organi dello Stato, ma enti pubblici autonomi, nei confronti dei quali, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio. disciplinato dal R.D. n. 1611 del 1933, artt. 1 – 11 bensì, ai sensi del R.D. n. 1592 del 1933, art. 56 non abrogato dalla L. n. 168 del 1989, il patrocinio autorizzato, disciplinato dal R.D. n. 1611 cit., art. 43 come modificato dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11 e dall’art. 45 medesimo decreto, con la conseguente esclusione della necessità del mandato ad litem e la facoltà di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato, subordinatamente all’adozione di un’apposita e motivata delibera e salva l’ipotesi di conflitto (cfr. Cass., Sez. 3, 9 maggio 2011, n. 10103; 28 aprile 2011, n. 9451; 23 marzo 2011, n. 6672). La Corte di merito ha rilevato inflitti l’avvenuta produzione in giudizio del decreto con cui il Rettore aveva autorizzato il conferimento del mandato difensivo ad un avvocato del libero foro, dando atto del conflitto d’interessi in atto tra l’appellante e il Ministero dell’economia e delle finanze, in ragione dell’imputabilità del rapporto controverso alla Gestione liquidatoria dell’Azienda universitaria, ed escludendo che la competenza in ordine all’autorizzazione spettasse al Consiglio di Amministrazione dell’Università, ai sensi dell’art. 12 regolamento di ateneo. Come già precisato da questa Corte nei precedenti richiamati. quest’ultima affermazione non può essere condivisa, tenuto conto dei limiti imposti dalla L. n. 168 del 1989, art. 6 all’autonomia statutaria e regolamentare delle università, la cui portata, in quanto circoscritta ai profili organizzativi, finanziari, contabili, didattici e scientifici, non può essere estesa anche alla materia processuale, e non giustifica pertanto la sottrazione all’organo deliberativo del potere di autorizzare la deroga al c.d. patrocinio autorizzato; ciò nonostante, il mandato conferito al difensore deve ritenersi legittimo, in virtù del richiamato conflitto d’interessi con l’Amministrazione statale, la cui idoneità ad escludere il ricorso al patrocinio dell’Avvocatura, indipendentemente da un apposito provvedimento autorizzativo, comporta l’irrilevanza del vizio che inficia l’autorizzazione (cfr. Cass.. Sez. 1, 13 maggio 2016, n. 9880).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la falsa applicazione dell’art. 480 c.p.c., comma 3, sostenendo che, nel dichiarare nulla la notificazione dell’atto di opposizione. contestualmente alla conferma della competenza del Tribunale di Frosinone, la sentenza impugnata è incorsa in ultrapetizione, dal momento che a sostegno della predetta nullità l’intimata aveva fatto valere la competenza territoriale del Tribunale di Roma. Premesso infatti che il precetto, notificato presso la sede legale di essa intimata in (OMISSIS), recava l’elezione di domicilio in Roma, senza però indicare il luogo in cui l’Università avrebbe proceduto ad esecuzione, la ricorrente sostiene che il Tribunale di Frosinone, nel decidere il merito dell’opposizione, si era implicitamente dichiarato competente per territorio. Nel proporre appello, l’Università aveva peraltro sostenuto che la competenza territoriale spettava al Tribunale di Roma, in virtù dell’elezione di domicilio contenuta nell’atto di precetto, con la conseguenza che la Corte d’Appello non avrebbe potuto far discendere la nullità della notifica dell’atto di citazione dalla competenza del Tribunale di Frosinone. In ogni caso, l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto l’eccezione di nullità della notifica non era accompagnata dalla domanda di accertamento della competenza del Tribunale di Frosinone.

3.1. Il motivo è infondato.

A fondamento della dichiarazione di nullità della notificazione dell’atto di citazione in primo grado, la Corte d’Appello ha correttamente richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 480 del 2005, con cui è stata dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 c.p.c., comma 3, nella parte in cui, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, prevede che, ove il creditore nel precetto abbia eletto domicilio in un comune diverso da quello in cui esistano beni del debitore assoggettabili ad esecuzione forzata. la notificazione dell’atto di opposizione a precetto debba essere eseguita presso la cancelleria del giudice del luogo in cui è stato notificato l’atto.

Tale pronuncia, com’è noto, si ricollega ad un’altra più risalente, con cui fu dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui, individuando il giudice competente per territorio a conoscere delle opposizioni preesecutive sulla base della dichiarazione di residenza o dell’elezione di domicilio effettuata dal creditore nel precetto, avrebbe fatto dipendere da una designazione del tutto autonoma di quest’ultimo la determinazione del foro competente. Premesso che, quando l’esecuzione non è ancora iniziata, non potendosi conoscere con certezza il luogo in cui si trovano i beni che saranno sottoposti a pignoramento, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio che il creditore è tenuto a fare nel precetto serve a stabilire in via presuntiva il luogo della minacciata esecuzione, ed è determinante al fine di radicare definitivamente la competenza del giudice che ivi ha sede a pronunciarsi sulle eventuali opposizioni del debitore, il Giudice delle leggi aveva infatti escluso la configurabilità di un contrasto con il principio di eguaglianza e la garanzia del giudice naturale, osservando che, anche nel caso in cui l’esecuzione possa svolgersi, a scelta della parte istante, sopra beni mobili o immobili siti in luoghi diversi, la competenza spetta sempre e soltanto al giudice del luogo in cui la legge, in base a criteri obbiettivi, permette di pignorare i beni prescelti per l’esecuzione, e ritenendo altresì irrilevante l’eventualità che il creditore, dopo aver eletto domicilio nel luogo in cui ha sede un giudice competente per l’esecuzione. possa successivamente procedere ad atti esecutivi anche in altri luoghi, dal momento che la decisione su un’opposizione al precetto proposta prima dell’inizio dell’esecuzione è destinata a spiegare efficacia in ordine a tutte le procedure esecutive promosse sulla base di quel determinato precetto (cfr. Corte cost., cent. n. 84 del 1973).

A seguito di tale pronuncia, si è sviluppato nella giurisprudenza di legittimità un orientamento. divenuto a sua volta costante, secondo cui il combinato disposto dell’art. 27 c.p.c., comma 1, u.p., e dell’art. 480 c.p.c., comma 3, prima parte, che assegna la competenza per le cause di opposizione al precetto al giudice del luogo in cui il creditore ha eletto domicilio, trova applicazione soltanto se. avuto riguardo al luogo in cui si trovano beni del debitore assoggettabili ad esecuzione forzata, l’elezione di domicilio sia stata effettuata nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione oppure in un comune nel quale ha sede il giudice che sarà competente per l’esecuzione, diversamente dovendosi ritenere che l’elezione di domicilio rimanga senza effetto, con la conseguente operatività della regola generale secondo cui l’opposizione si propone dinanzi al giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato e la notificazione va effettuata presso la cancelleria del medesimo giudice, e restando a carico del creditore l’onere di dimostrare che nel comune in cui egli ha eletto domicilio sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3, 11 aprile 2008, n. 9670; 13 luglio 2004, n. 12976; 27 luglio 2001, n. 10288).

Proprio alla stregua di tale orientamento, qualificato come diritto vivente, si era nuovamente dubitato della legittimità costituzionale della norma in esame, osservandosi che la stessa, nella parte in cui consente la notificazione dell’opposizione a precetto presso la cancelleria del giudice del luogo in cui l’atto è stato notificato, non garantisce l’effettiva conoscenza dell’opposizione da parte del creditore che abbia eletto domicilio altrove, non mettendolo, in particolare, nella condizione di contraddire dimostrando, per esempio. di avere ottemperato al disposto dell’art. 480 c.p.c., comma 3, per esservi nel luogo della residenza dichiarata o del domicilio eletto un bene del debitore da assoggettare ad esecuzione forzata. In un primo tempo, il Giudice delle leggi ha escluso la configurabilità di un contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., comma 2, e art. 111 Cost., comma 2, osservando che la ricordata forma di notificazione da un lato consegue al mancato adempimento dell’onere imposto al creditore dalla norma impugnata e quindi è a lui imputabile. e dall’altro non impedisce nè rende particolarmente gravoso il diritto di difesa, in quanto il creditore stesso, non ignorando la propria omissione e quindi la relativa conseguenza di legge, ben può con l’ordinaria diligenza informarsi presso il cancelliere e, nel caso di proposta opposizione, ritirare l’atto e provvedere così alla sua difesa (cfr. Corte cost., ord. n. 62 del 1985). Con la citata sentenza n. 480 del 2005, ha invece rilevato che la notifica presso la cancelleria costituisce una misura congrua quando il creditore non abbia adempiuto l’onere di dichiarare la residenza o di eleggere domicilio, perchè a tale inadempienza è imputabile la non onerosa necessità di controllare presso la cancelleria dell’unico giudice competente se il debitore ha proposto opposizione, mentre risulta priva di ogni razionale giustificazione quando il creditore quell’onere abbia adempiuto; ha tuttavia ritenuto che la lettera dell’art. 480 c.p.c., comma 3, non precluda un’interpretazione rispettosa del fondamentale principio del contraddittorio e del diritto di difesa, affermando che il debitore precettato ben può proporre la sua opposizione al giudice del luogo di notifica del precetto, ogni qualvolta deduca (anche implicitamente) l’inesistenza di suoi beni (o della residenza di suoi debitori) in altro luogo, ma può notificare la sua opposizione presso la cancelleria di tale giudice solo quando il creditore precettante abbia del tutto omesso la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio, mentre, ove tale dichiarazione o elezione vi sia (anche se in luogo che, secondo il debitore, mai potrebbe essere quello dell’esecuzione), la notificazione dell’opposizione deve necessariamente farsi nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto.

Tale interpretazione è stata poi fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha statuito che, ferma restando la competenza funzionale del giudice del luogo in cui è stato notificato il precetto (a meno che non sia dedotta l’insussistenza in quel luogo di beni assoggettabili ad esecuzione), una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 480 c.p.c., comma 3, impone di ritenere che la notifica dell’opposizione all’esecuzione possa essere effettuata presso la cancelleria del giudice del luogo in cui è stato notificato il precetto soltanto nel caso in cui il creditore non abbia eletto domicilio o indicato la residenza in altro luogo, dovendosi altrimenti provvedere alla notifica presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto nell’atto di precetto, e ciò al fine di assicurare che il creditore opposto abbia conoscenza dell’opposizione (cfr. Cass., Sez. 3, 20 luglio 2011, n. 15901; 28 maggio 2009. n. 12540). Qualora, pertanto, come nella specie, la notificazione dell’opposizione eseguita presso la cancelleria, nonostante l’avvenuta elezione di domicilio da parte del creditore procedente, determini l’involontaria contumacia di quest’ultimo, trovano applicazione da un lato l’art. 327 c.p.c., comma 2, che esclude la decorrenza del termine lungo per l’impugnazione della sentenza, quando la parte contumace dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione, dall’altro l’art. 354 c.p.c., comma 1, che, ove la predetta nullità sia fatta valere come motivo d’impugnazione della sentenza di primo grado, impone al giudice di appello, che la ritenga sussistente, di rimettere la causa al primo giudice.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato atto che il precetto, notificato presso la sede legale della Sopin in (OMISSIS), recava l’elezione di domicilio dell’Università in Roma, ha ritenuto nulla la notificazione dell’atto di opposizione, effettuata presso la cancelleria del Tribunale di Frosinone, anzichè presso il domicilio eletto dalla creditrice. Nessun rilievo può assumere, a tal fine, la circostanza che, nel far valere la predetta nullità come motivo di gravame, l’Università l’avesse erroneamente ricollegata alla competenza del Tribunale di Roma, quale giudice dell’opposizione all’esecuzione, dichiarando di aver voluto indicare, attraverso l’elezione di domicilio, il luogo in cui intendeva procedere ad esecuzione forzata: è noto infatti che le nullità conseguenti alla violazione del principio del contraddittorio ed all’invalida costituzione del rapporto processuale sono rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, con la conseguenza che la pronuncia sulle stesse non è censurabile sotto il profilo dell’ultrapetizione (cfr. Cass., Sez. 3, 16 novembre 2007, n. 23815; Cass., Sez. 1, 1 ottobre 2002, n. 14089; 21 maggio 1998, n. 5067). Peraltro, come chiarito dalla stessa Corte costituzionale, la questione concernente l’individuazione del giudice competente per l’opposizione è del tutto diversa da quella riguardante la possibilità per il debitore precettato, ove adisca il giudice del luogo di notifica del precetto assumendo l’irregolarità dell’elezione di domicilio, di notificare la sua opposizione presso la cancelleria di tale giudice. E’ ben possibile, quindi, che la notifica dell’atto di opposizione sia dichiarata nulla, in quanto effettuata presso la cancelleria del giudice adito, anzichè presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto nel precetto, e ciò nonostante la competenza rimanga definitivamente radicata presso il giudice adito, non essendone stata ritualmente dedotta l’incompetenza. Nella specie, comunque, è la stessa ricorrente a precisare che, nonostante l’accenno alla competenza del Tribunale di Roma, contenuto nel motivo di gravame riflettente la nullità della notifica dell’atto di opposizione, l’appellante non aveva specificamente sollecitato una dichiarazione d’incompetenza del Tribunale di Frosinone, con la conseguenza che al riguardo doveva considerarsi ormai formato il giudicato interno, preclusivo dell’ulteriore esame della relativa questione.

4. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la controricorrente lamenta l’omissione e la contraddittorietà della motivazione in ordine al rigetto della domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. Premesso infatti che la notifica sarebbe risultata comunque nulla, in quanto nel luogo in cui essa creditrice aveva eletto domicilio avevano sede i debitori dell’intimata, la ricorrente afferma che il richiamo alla giurisprudenza prevalente all’epoca della notifica dell’atto di citazione risultava insufficiente ad escludere la temerarietà della opposizione. Aggiunge che la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni della affermata genericità della domanda, contrastante con la dettagliata ricostruzione dei fatti, confortata da ampia documentazione probatoria.

4.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Premesso che l’accertamento della temerarietà della lite implica un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (cfr. Cass., Sez. 2, 12 gennaio 2010, n. 327; Cass., Sez. 1, 8 settembre 2003, n. 13071), si osserva che, ai fini della sussistenza dei relativi presupposti, non è sufficiente la mera opinabilità della pretesa azionata, ma occorre la coscienza dell’infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero la mancata adozione della normale diligenza per l’acquisizione della predetta consapevolezza (cfr. Cass., Sez. 2, 1 ottobre 2003, n. 14583; Cass., Sez. 1, 21 luglio 2000. n. 9579). La sussistenza di tali requisiti è stata coerentemente esclusa dalla Corte di merito in virtù dell’accertata conformità della condotta difensiva dell’opponente al concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale, che, in caso di elezione di domicilio in un luogo diverso dal comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione, reputava valida la notificazione dell’atto di opposizione al precetto effettuata presso la cancelleria del giudice adito. Nessun rilievo può assumere, al riguardo, l’eventualità che nel luogo in cui la controricorrente aveva eletto domicilio avessero sede terzi debitori dell’intimata, presso i quali la creditrice avrebbe inteso procedere ad esecuzione forzata, trattandosi di una circostanza che, come si è detto, sarebbe potuta venire in considerazione esclusivamente ai fini della competenza del Giudice adito, rimasta invece incontestata. Ininfluente risulta pertanto anche la censura riguardante l’affermata genericità della domanda di risarcimento dei danni, a sua volta inammissibile per difetto di specificità, in quanto non accompagnata dall’indicazione dei fatti e degli elementi di prova addotti a sostegno della domanda.

5. – Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica la dichiarazione di parziale compensazione tra le parti delle spese processuali, che per il residuo vanno poste a carico della ricorrente principale, avuto riguardo alla sua prevalente soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, e condanna la Sopin S.p.a. al pagamento della metà delle spese processuali, che si liquidano per l’intero in complessivi Euro 10.200,00, ivi compresi Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, dichiarando compensato tra le parti il residuo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2017

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