Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34641 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 30/12/2019), n.34641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 5972 del ruolo generale dell’anno 2017

proposto da:

P.A.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Pasquale

Roberti per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, via Crescenzio, n. 17/A, presso lo studio

dell’Avv. Michele Clemente;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata ex lege dall’Avvocatura generale dello stato, presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, n. 1909/27/2016,

depositata il giorno 19 luglio 2016;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 3

ottobre 2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato a P.A.R. un avviso di pagamento con il quale era stato richiesto il pagamento dell’accisa sugli oli minerali, ai sensi dell’art. 48, comma 2, TUA; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Foggia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: il processo verbale di constatazione aveva valore di prova privilegiata quanto ai fatti in esso accertati, tanto più che, nella vicenda in esame, lo stesso era stato sottoscritto dalla parte e non era stato contestato; non avevano forza probatoria, idonea a contrastare i suddetti accertamenti, i documenti prodotti dal contribuente; non poteva assumere rilevanza l’atto emesso in autotutela dell’Agenzia delle entrate, scaturito dal medesima processo verbale di constatazione, in quanto relativo a imposte diverse e conseguente ad una transazione negoziale a seguito di notifica di un ricorso-reclamo;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso il contribuente affidato a due motivi di censura;

si è costituita l’Agenzia delle entrate depositando controricorso, con il quale ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva;

il ricorrente ha depositato memoria con la quale ha chiesto di essere rimesso in termini per il rinnovo della notifica del ricorso del presente giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

in via pregiudiziale, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

va osservato, in primo luogo, che, sebbene il ricorso rechi, quale indicazione della sentenza oggetto di impugnazione, quella portante il n. 1763/27/14, piuttosto che il n. 1909/27/2016, è da ritenersi che trattasi di mero errore materiale, tenuto conto sia della sentenza prodotta con il ricorso sia del riferimento alla data del deposito menzionata nel ricorso, sia, infine, dei diversi passaggi contenuti nel ricorso, chiaramente riferibili alla sentenza n. 1909/27/2016, sicchè è certo che è stata questa la pronuncia censurata e che solo per errore materiale si è riportato un diverso numero identificativo della stessa;

tuttavia, va altresì osservato che il ricorso è stato notificato all’Agenzia delle entrate, laddove parte processuale dei giudizi di merito era stata l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, atteso che la pretesa tributaria era relativa al mancato pagamento delle accise sugli oli minerali;

non correttamente, quindi, il ricorso è stato notificato all’Agenzia delle entrate, soggetto privo di legittimazione passiva nella controversia in esame;

le considerazioni espresse dal ricorrente con la memoria depositata, con la quale ha chiesto, ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4, di essere rimesso in termini, devono essere disattese;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che il vizio di individuazione tra due soggettività di diritto pubblico (le c.d. Agenzie fiscali) subordinate all’organo gerarchicamente superiore (Ministero dell’economia e delle finanze) ed entrambe ammesse al patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, non comporterebbe l’inammissibilità del ricorso, ma la rimessione in termini del ricorrente per la rinnovazione della notifica all’effettivo destinatario;

la sussistenza del diritto alla rimessione in termini viene fondata dal ricorrente sulla previsione di cui alla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4, (recante modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato) secondo cui “L’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello stato nella prima udienza con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte”;

inoltre, parte ricorrente evidenzia che la sussistenza dell’errore risulterebbe in modo chiaro ed inequivoco dal contesto del ricorso e dal riferimento ad atti dei precedenti giudizi di merito, dai quali è agevole identificare con certezza il soggetto cui il ricorso è riferibile, sicchè non potrebbe trovare applicazione la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1);

va osservato, in primo luogo, con riferimento a quest’ultima linea difensiva, che la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1), postula che manchi o vi sia incertezza assoluta sull’identificazione delle parti contro cui il ricorso è diretto, ed è in tali ipotesi che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, ai fini dell’osservanza della previsione, è sufficiente che l’individuazione della parte possa essere desunta, anche se implicitamente, dal contesto del ricorso (Cass. civ., 3 settembre 2007, n. 18512; 7 settembre 2010, n. 19156);

tuttavia, il piano di valutazione in esame è differente, in quanto nel ricorso è chiaramente indicato il soggetto (Agenzia delle entrate) nei cui confronti si è inteso proporre il giudizio in cassazione ed è nei confronti del medesimo che il ricorso è stato notificato;

in questo caso, invero, vi è l’indicazione della parte processuale nei cui confronti è stato proposto il ricorso, sicchè la questione va esaminata alla luce della corretta identificazione della parte processuale nei cui confronti il ricorso doveva essere notificato e della eventuale erroneità della stessa, nel quale potrebbe essere utilizzato il criterio del raggiungimento dello scopo, quindi della sanatoria della nullità, mediante l’utilizzazione di elementi desumibili aliunde, quali il contenuto della sentenza impugnata e l’atteggiamento della parte resistente;

sul punto, va osservato che questa Corte (cass. civ., 11 giugno 2007, n. 13620) ha evidenziato, al fine di escludere l’inammissibilità del ricorso nel quale la parte resistente era stata non correttamente identificata, la circostanza che la notifica era stata compiuta proprio al soggetto che era stato parte in causa nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata e che, resistendo nel giudizio, si era difeso nel merito, per cui, in siffatta situazione, ha ritenuto che ogni nullità o irregolarità dell’atto di impugnazione era rimasta sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo l’atto medesimo raggiunto lo scopo cui era destinato e non potendovi essere incertezza circa il destinatario;

tali considerazioni non possono trovare applicazione al caso di specie, in cui non solo la controparte (Agenzia delle entrate) è stata identificata espressamente nella intestazione del ricorso, ma è ad essa che il ricorso è stato notificato, circostanza che rende chiaro e univoco il fatto che non si è trattato di errore, sanabile, ma di una non corretta identificazione della parte processuale nei cui confronti il ricorso avrebbe dovuto essere notificato;

resta, quindi, da esaminare l’ulteriore profilo, evidenziato dalla ricorrente, di applicabilità, al caso di specie, della L. n. 260 del 1958, art. 4 e, in particolare, della rimessione in termini in esso prevista;

sul punto, questa Corte ha, più volte, precisato i limiti entro cui può operare la rimessione in termini prevista dalla previsione normativa in esame e, in questo ambito, assume rilievo la esatta individuazione della ratio della L. n. 260 del 1958, art. 4;

in particolare, questa Corte (Cass., Sez. U., 14 febbraio 2006, n. 3117) ha precisato, in primo luogo, che la L. n. 260 del 1958 è stata emanata con l’evidente scopo di semplificare l’individuazione dell’organo competente a rappresentare lo Stato, indicando lo stesso nel Ministro competente e prevedendo, inoltre, un regime di sanatoria (art. 4) nei casi definiti come errore della persona cui la notifica deve essere fatta;

tale previsione, nel quadro delle esigenze di una più rapida ed efficiente tutela, non può essere letta in modo riduttivo, e quindi riferita ai casi di erronea identificazione della persona fisica titolare dell’organo o ad esso addetta, ma proprio all’errore nell’identificazione dell’organo legittimato, sicchè, una corretta interpretazione di tale regime non può comunque prescindere dai vincoli derivanti dai principi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, ulteriormente rafforzati dal nuovo testo dell’art. 111 Cost.;

pertanto, l’espressione “errore nella persona che deve ricevere la notificazione” deve essere, quindi, letta, come “errore nell’indicazione dell’organo legittimato”, intendendosi per persona il soggetto (e cioè la specifica articolazione dell’organizzazione statale) fornito di legittimazione;

quindi, si è ulteriormente affermato (Cass., Sez. U., 29 maggio 2012, n. 8516) che la ratio della previsione normative in esame è identificabile – confortata, del resto, dagli obiettivi imposti dal principio del c.d. “giusto processo” – nell’intento di agevolare l’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale delle pretese vantate nei confronti della pubblica amministrazione (cfr. art. 24 Cost., comma 1), in rapporto alla circostanza che l’esercizio di tale diritto, condizionato dal rispetto di rigorosi termini di decadenza, rischia di essere vanificato nelle non infrequenti ipotesi in cui la concreta individuazione dell’organo investito della rappresentanza dell’amministrazione convenuta ovvero quella del soggetto pubblico passivamente legittimato al giudizio risulti particolarmente ardua, se non aleatoria;

la ratio sottesa alla previsione normativa in esame, si fonda, quindi, sulla circostanza che la parte può trovarsi in condizioni di obiettive difficoltà ad individuare correttamente il soggetto pubblico passivamente legittimato, tenuto conto del complesso quadro normativo di riferimento, in cui sono individuate specifiche figure soggettive, senza personalità giuridica ma aventi una propria legittimazione, nell’ambito di uno stesso ente pubblico, per le quali l’ordinamento non si limita a riconoscere alle singole articolazioni organizzatorie di un ente rilevanza esterna, ma attribuisce alle stesse una specifica legitimatio ad causam, facendole diventare, pur essendo prive di personalità giuridica, soggetti processuali, in relazione a rapporti giuridici di cui è parte l’ente di pertinenza;

ed è proprio tale fenomeno, per quanto riguarda l’ordinamento statale, che ha comportato gravi difficoltà per l’individuazione della figura soggettiva legittimata, incidendo, quindi, sui principi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale;

in questo quadro ricostruttivo, tuttavia, va precisato che l’ambito di applicazione della previsione normativa in esame attiene unicamente all’ipotesi in cui la parte, al momento in cui intende notificare un atto processuale nei confronti di un soggetto pubblico, possa trovarsi in una condizione di effettiva difficoltà di individuazione del soggetto legittimato passivo in relazione all’oggetto della controversia: è la difficoltà, a monte, di certezza nella identificazione che comporta l’eventuale rimessione in termini della stessa;

la vicenda in esame, tuttavia, non può essere ricondotta nell’ambito di applicazione della previsione normativa sopra indicata;

qui non si tratta di una questione di non corretta individuazione del soggetto pubblico nei cui confronti l’atto deve essere notificato prima di iniziare il giudizio: il giudizio di primo grado, così come quello di appello, si sono regolarmente svolti nei confronti della giusta parte del processo (Agenzia delle dogane), in considerazione dell’oggetto della controversia, relativa all’omesso versamento dell’accisa sugli oli minerali;

è in sede di giudizio di cassazione che il ricorso è stato notificato ad altro soggetto (Agenzia delle entrate) estraneo ai precedenti giudizi, ma, in questo contesto, non sussiste una questione di possibile erronea individuazione del soggetto pubblico nei cui confronti l’atto doveva essere notificato, atteso che lo stesso era stato correttamente individuato nei precedenti giudizi di merito;

la parte, dunque, non può avvalersi del particolare regime processuale in esame, in quanto non sussisteva la situazione di possibile incertezza di identificazione del soggetto pubblico cui notificare l’atto sulla quale si fonda la ratio della rimessione in termini: non si tratta, invero, di un errore di individuazione del soggetto pubblico, ma di una errata notifica ad una parte processuale diversa rispetto a quella già identificata e priva di legittimazione passiva;

deve, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto: “attesa la ratio della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4, l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto doveva essere notificato non può trovare applicazione nel caso, quale quello in esame, in cui il ricorso in cassazione è stato notificato ad un soggetto diverso dalla parte processuale già identificata dei precedenti giudizi di merito”;

ne consegue che il ricorso è stato notificato a soggetto privo di legittimazione passiva e che, non essendo stato notificato, entro il termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c., alla “giusta parte processuale”, è da considerarsi inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivo Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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