Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34640 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 30/12/2019), n.34640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 8097 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

P.A.R., rappresentato e difeso dall’Avv.

Giuffreda Matteo per procura speciale a margine del ricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, vicolo Orbetelli, n. 31, presso

lo studio dell’Avv. Michele Clemente;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, n. 1763/27/2014,

depositata il giorno 8 settembre 2014;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 3

ottobre 2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a P.A.R., titolare dell’omonima ditta individuale, un avviso di accertamento, avendo verificato, per l’anno 2005, che la sua situazione reddituale presentava elementi di non congruità e coerenza con lo studio di settore di riferimento, evidenziando elementi di antieconomicità nella gestione della propria attività, sicchè aveva accertato un maggiore reddito imponibile desunto dal reddito minimale Inps maggiorato di una percentuale di redditività; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Foggia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: la procedura adottata dall’Agenzia delle entrate era legittima, avendo fatto riferimento ad alcuni elementi sintomatici per la ricostruzione del reddito di impresa; seppure era da ritenersi che, con riferimento all’attività principale di “vendita di carburante per autotrazione”, la peculiarità della suddetta attività non consentiva occultamenti di ricavi in nero, tuttavia, era con riferimento all’attività collaterale” di gestione del Bar che poteva procedersi alla valutazione del comportamento antieconomico del contribuente e, sotto tale profilo, correttamente l’Agenzia delle entrate aveva fatto ricorso al c.d. “salario figurativo”; d’altro lato, il contribuente non aveva addotto alcuna prova contraria relativa alla reale situazione oggettiva che giustificava le dichiarazioni di perdite di esercizio;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso il contribuente affidato a quattro motivo di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione” con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul primo motivo del ricorso introduttivo proposto dal contribuente con il quale si era contestato il vizio di motivazione dell’atto impugnato per non avere l’ufficio tenuto conto delle difese addotte nella fase del contraddittorio endoprocedimentale;

il motivo è inammissibile;

il ricorrente lamenta la mancata pronuncia del giudice del gravame sulla questione del vizio di motivazione dell’atto impugnato per mancata considerazione delle difese svolte in sede di contraddittorio preventivo, ma, in violazione del principio di specificità del motivo, si limita ad affermare che la questione, già proposta in primo grado e di cui riporta espressamente il passaggio, era stata riproposta, in sede di appello, in calce alla memoria di costituzione con controdeduzioni, senza, tuttavia, allegare o riportare il contenuto specifico delle stesse e, in particolare, della doglianza prospettata, non consentendo, quindi, a questa Corte di apprezzare la sussistenza della violazione processuale riscontrata;

va peraltro precisato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente, ai sensi della L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo” (Cass. Civ., 31 marzo 2017, n. 8378);

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e per omesso esame di “dati certi” presenti negli atti di causa ovvero per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c.;

in particolare, si censura la sentenza per avere considerato, ai fini della decisione, elementi di fatto non riconducibili all’attività di rivendita di carburante, cui unicamente era riferibile l’avviso di accertamento, ma ad altra attività, quella di Bar;

il motivo è inammissibile;

va osservato, in primo luogo, con riferimento alla censura prospettata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che questa Corte ha più volte affermato che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c. opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. Civ., n. 23940 del 2017);

con riferimento, poi, alla censura prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per violazione dell’art. 115 c.c., va osservato che il giudice del gravame ha ritenuto che l’avviso di accertamento non riguardava solo l’attività di rivendita di carburanti, ma anche quella, ritenuta accessoria, di gestione del Bar e, in questo senso, ha correttamente ritenuto di dovere fatto riferimento, al fine di valutare la legittimità dell’atto, al rapporto di lavoro inerente a quest’ultima attività;

vanno peraltro ribaditi i limiti entro cui può essere prospetta una ragione di censura riconducibile alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nuovo testo, applicabile ratione temporis, alla presente controversia, tenuto conto del fatto che la sentenza è stata depositata in data 8 settembre 2014;

in particolare, questa Corte ha affermato (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un, 23 maggio 2019, n. 13983) che, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si è avuta una riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

pertanto, la ragione di censura in esame, non è ammissibile, in quanto non riconducibile nell’ambito del nuovo parametro normativo entro cui può essere fatta valere la censura per vizio di motivazione della sentenza impugnata, tenuto conto del fatto che, sulla questione della riconducibilità dell’accertamento al complesso dell’attività svolta dal contribuente il giudice del gravame ha compiuto la propria valutazione, applicando, quindi, gli elementi di prova presuntiva, deducibili dal costo del dipendente utilizzato per lo svolgimento dell’attività di bar;

in questo ambito, peraltro, va osservato che il motivo di censura difetta di autosufficienza, in quanto, al fine di fondare l’argomento relativo alla limitazione dell’accertamento alla sola attività di rivendita di carburante, parte ricorrente, a pag. 6 del ricorso, fa riferimento, ai punti b), c) ed e), ad atti non allegati o riprodotti in questa sede; nè rilevano i passaggi dell’avviso di accertamento, riportati al punto a), in quanto dallo stesso si evince che l’atto impositivo ha avuto riguardo alla dichiarazione dei redditi per l’anno 2005 che, pertanto, correttamente il giudice del gravame ha valutato nella totalità delle attività commerciali svolte dal contribuente, quindi sia con riferimento a quello di rivendita di carburante che di gestione del Bar, nonchè al punto d), laddove, in sede di contraddittorio, è lo stesso contribuente che fa riferimento alla propria duplice attività, riconoscendo che quella relativa alla gestione del Bar era antieconomica;

conseguentemente, anche la ritenuta violazione degli artt. 2729 e 2727, c.c., non può assumere rilevanza, posto che correttamente il giudice del gravame ha applicato il regime di presunzione facendo riferimento al dato relativo al compenso del lavoratore quale indice di non economicità dell’attività svolta;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere da un lato ritenuto che l’attività di rivendita di carburante non consentiva occultamenti di ricavi in nero, e, dall’altro, ritenuto comunque corretto l’accertamento induttivo fondato sulle perdite non giustificate in altra attività, sicchè non sarebbe consentìto l’identificazione del procedimento logico giuridico seguito ai fini della decisione;

il motivo è infondato;

si è già fatto riferimento ai limiti entro cui può essere prospettata la censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel nuovo testo applicabile al caso di specie, e, inoltre, si è anche precisato che, correttamente, il giudice del gravame ha ritenuto che, in considerazione del complesso dell’attività svolta dal contribuente, non limitata alla sola attività di rivendita di carburante, ma anche a quella, “accessoria”, di Bar, doveva ritenersi che parte ricorrente non aveva dato alcuna prova contraria in ordine al fatto che i ricavi provenienti dalla somministrazione di bevande ed alimenti non erano stati sufficienti a coprire i costi fissi annui;

la motivazione del giudice del gravame, pertanto, risulta esposta nei suoi passaggi logico giuridici e non è in alcun modo contraddittoria;

con il quarto motivo sì censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1), lett. d), degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per mancata e apparente valutazione dei motivi addotti e documentati dal ricorrente come prova contraria, nonchè, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa e carente motivazione circa l’iter logico seguito per disattendere le prove offerte dal ricorrente;

il motivo è inammissibile;

lo stesso prospetta, in realtà, in un unico contesto di censura, profili che attengono ora al vizio di violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3)), ora a error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4), ora a vizi di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), senza consentire a questa Corte di apprezzare adeguatamente l’esatto profilo cui la censura in esame è riferibile;

in ogni caso, il riferimento al salario figurativo è stato correttamente preso in considerazione dal giudice del gravame quale elemento presuntivo da cui inferire la sussistenza di un comportamento antieconomico nella gestione dell’attività, sicchè non può dirsi sussistente una violazione di legge degli artt. 2727 e 2729 c.c.;

inoltre, il profilo relativo alla prova della sussistenza di una condizione oggettiva giustificativa della perdita derivata dall’attività di somministrazione è stato preso in considerazione dal giudice del gravame il quale ha ritenuto che gli elementi addotti dal ricorrente non erano idonei al fine di dare giustificazione dell’andamento antieconomico dell’attività svolta, complessivamente considerata, ed ha altresì specificamente precisato, con ragionamento logico, immune da vizi di apparenza di motivazione, che: il contribuente non aveva dato prova idonea a dimostrare che i ricavi rinvenienti dalla somministrazione di bevande ed alimenti non erano stati sufficienti a coprire i costi fissi annui di oltre 80.000 Euro di cui 35.000,00 Euro solo per il personale dipendente composto da due unità lavorative; inoltre, la prova contraria non era stata offerta con prove documentali, ma solo enunciata;

gli elementi ora indicati dal ricorrente al fine di comprovare la sussistenza di una prova contraria confliggono con l’accertamento del giudice in ordine al fatto che la stessa non era idonea a dimostrare la reale situazione oggettiva che giustificasse le dichiarate perdite di esercizio, in quanto, con tale motivazione, il giudice del gravame mostra di avere tenuto conto di tutto il materiale probatorio a disposizione ma anche di non averlo ritenuto idoneo al fine del raggiungimento della prova contraria;

la censura, infine, relativa alla esistenza di un giudicato esterno, non preso in considerazione dal giudice del gravame, censurato quale violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), è inammissibile in quanto risulta prospettata in violazione del principio di specificità, non avendo parte ricorrente allegato l’atto con il quale lo stesso è stato fatto valere dinanzi al giudice del gravame;

in conclusione, il primo, secondo e quarto motivo di ricorso sono inammissibili, il terzo infondato, con conseguente rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della intimata;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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