Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3464 del 13/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 3464 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA

sul ricorso 21233-2012 proposto da:
SCARPA ANTONIO C.F. SRCNTN48C19F9121, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MAGNA GRECIA 30/A, presso lo
studio

dell’avvocato

GIANCARLO

SANTORIELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO MUROLO, :
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
4588

COMUNE NOCERA INFERIORE, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAVIA
30, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI,
rappresentato e difeso dall’avvocato RENATO DIODATO,
giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 13/02/2018

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 214/2012 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 05/06/2012, R. G. N.

847/2010.

R.G. 21233/2012

RILEVATO CHE
1.

La Corte di appello di Salerno, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto

l’appello di Scarpa Antonio, dipendente del Comune di Nocera Inferiore con inquadramento
nella categoria A, avverso la sentenza che aveva ha rigettato la domanda volta al
riconoscimento di differenze retributive per l’asserito svolgimento di mansioni proprie del
profilo superiore di impiegato amministrativo, appartenente alla categoria C.
1.1. La Corte di appello ha respinto l’appello sulla base dei seguenti argomenti:

stabilizzazione alle dipendenze dell’ente locale, appartengono i lavoratori che svolgono
attività caratterizzate da conoscenze di tipo operativo generale, acquisibili attraverso
l’esperienza diretta nella mansione contenuti di tipo ausiliario rispetto a più ampi processi
produttivi/amministrativi, problematiche lavorative di tipo semplice;

alla categoria C, profilo professionale dell’impiegato amministrativo, appartiene il

lavoratore che svolge attività istruttoria nel campo amministrativo, tecnico e contabile,
curando, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti di legge ed avvalendosi delle
conoscenze professionali tipiche del profilo, la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati;
appartengono a questa categoria i lavoratori che svolgono attività caratterizzata da
approfondite conoscenze mono-specialistiche e un grado di esperienza pluriennale, con
necessità di’ aggiornamento, media complessità dei problemi da affrontare basata su modelli
esterni predefiniti e significativa ampiezza di soluzioni possibili, relazioni organizzative
interne anche di natura negoziale ed anche con posizioni organizzative al di fuori dell’unità
organizzativa di appartenenza, relazioni esterne anche di tipo diretto;
– le mansioni svolte dal ricorrente non erano riconducibili nell’alveo della categoria
superiore, alla stregua delle risultanze della prova testimoniale, dalla quale era emerso che
il ricorrente, operando nelle pratiche edilizie, provvedeva alla trasmissione dei modelli alla
ASL per la richiesta dei prescritti pareri; sotto la guida del Responsabile Unico del
Procedimento, provvedeva anche alla compilazione di detti modelli; effettuava le
registrazioni in entrata delle pratiche edilizie; predisponeva su un modello prestampato la
richiesta di integrazione dei documenti mancanti; curava l’inoltro delle comunicazioni;
verificava dai registi esistenti l’eventuale presenza di altre pratiche correlate, mettendo di
ciò al corrente il tecnico istruttore; informava il beneficiario della licenza dell’esito finale
della pratica; riscontrava nelle pratiche la presenza dei certificati Inps, Inail e Cassa edile e
talvolta sostituiva l’incaricato assente nel redigere il verbale del Nucleo di Valutazione (teste
Giordano); si occupava di smistare la posta tra i vani tecnici; catalogava le varie pratiche
edilizie, trascrivendone gli estremi su un registro; coadiuvava un altro tecnico nell’istruttoria
delle pratiche edilizie in sanatoria (teste Del Regno); aveva fatto parte della Commissione

– alla categoria A, nella quale il ricorrente era stato inquadrato all’atto della sua

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Assegnazione Alloggi Edilizia Pubblica e di altri gruppi di lavoro, limitandosi in tali occasioni
a funzioni di segretario (fotocopi e ritiro atti); in qualche occasione sotto dettatura aveva
redatto il verbale della commissione (testi Canale e Amabile);
la “dicitura “responsabile procedimento” veniva apposta sugli atti allegati di sua

produzione per fare in modo che il cittadino richiedente potesse rivolgersi allo Scarpa in
merito alle questioni relative alla pratica, cioè per consultare il fascicolo o i documenti (teste
Mauriello);
– le mansioni così descritte, caratterizzate essenzialmente dall’espletamento di attività

amministrativi, non potevano essere ricondotte nella declaratoria della categoria C,
caratterizzata da mansioni di concetto con responsabilità dei risultati relativi a specifici
processi amministrativi, approfondite conoscenze mono-specialistiche, media complessità
dei problemi da affrontare, basata su modelli esterni predefiniti e significativa ampiezza di
soluzioni possibili.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha
resistito con controricorso il Comune di Nocera Inferiore.
CONSIDERATO CHE
1.

Con il ricorso proposto si denuncia, sub specie violazione di legge (art. 116 cod. proc.

civ., art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001 e CCNL comparto Regioni e Autonomie locali) e vizio di
motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), errata od omessa valutazione delle risultanze
istruttorie in ordine alla ricostruzione delle mansioni svolte dal ricorrente nel periodo
dedotto in giudizio. Si censura altresì l’erronea mancata sussunzione della fattispecie
nell’alveo della declaratoria della categoria C o, in subordine, della categoria B. A tale
proposito si sostiene che, alla stregua della ricostruzione fattuale accreditata nella sentenza
impugnata, i giudici di appello avrebbero dovuto quanto meno riconoscere, ai limitati fini
dell’attribuzione del superiore trattamento retributivo, un livello professionale intermedio tra
quello rivendicato e quello di inquadramento.
2. Il ricorso è infondato.
3. Le censure per vizi di motivazione di cui al primo e al secondo motivo non vertono su
errori di logica giuridica, ma denunciano un’errata valutazione del materiale probatorio
acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l’inammissibile intento di sollecitare una
lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito. Secondo
costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al
suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta,
in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,

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prevalentemente esecutive, di tipo semplice e ausiliario rispetto ai più ampi processi

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quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi,
dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del
2013).
3.1. Questa Corte ha più volte affermato che l’esame dei documenti esibiti e delle
deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova
testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di
altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a

quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di
altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento,
senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene
non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v.
tra le più recenti, Cass. n. 16056 del 2016; v. pure 17097 del 2010).
3.2. L’art. 116, primo comma, cod. proc. civ. consacra il principio del libero convincimento
del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali. In particolare, in tema
di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del
giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso
per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero
5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal
riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 24434 del 2016, n.
14267 del 2006). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod. proc. civ., dì libera
valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben
può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la
decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri
mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di
legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per
implicito, agli elementi utilizzati (Cass. n. 11176 del 2017).
4. Nel caso in esame, la Corte di appello ha dato conto delle fonti di prova utilizzate,
specificamente esaminate, ed il relativo apprezzamento non è affetto da alcun vizio logico,
mentre il ricorso in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di

error in

iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede.
5. Quanto alla presunta erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta
della declaratoria contrattuale di appartenenza in luogo di quella superiore rivendicata, va
rilevato che la censura è sostanzialmente incentrata su una diversa ricostruzione degli
elementi di fatto ritenuti decisivi e non sull’interpretazione ed applicazione alla fattispecie

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sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il

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della disciplina contrattuale di riferimento. Al riguardo, va ricordato che il vizio di violazione
di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna
all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di
merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del

e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella
posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle
risultanze di causa.
6. Per il resto, va osservato che il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 56, ora D.Lgs. 30
marzo 2001, n. 165, art. 52, pur nelle varie formulazioni susseguitesi nel tempo, recependo
una costante norma del pubblico impiego, esclude che dallo svolgimento delle mansioni
superiori possa conseguire l’automatica attribuzione della qualifica superiore, ma riconosce il
diritto del dipendente che le abbia svolte al corrispondente trattamento retributivo.
Nell’interpretazione fornita dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n.
25837 del 2007, la suddetta norma va intesa nel senso che l’impiegato cui sono state
assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla
giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del
1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai
sensi dell’art. 36 Cost.; tale regola trova applicazione sempre che le mansioni superiori
siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre
che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le
responsabilità correlate a dette superiori mansioni (Cass. n. 23741 del 17 settembre 2008 e
molte altre successive; ex plurimis, Cass. n. 4382 del 23 febbraio 2010).
6.1. L’applicabilità anche al pubblico impiego dell’art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce
al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro
prestato è stata affermata più volte dalla Corte costituzionale: cfr. sentenze n. 57 del 1989,
n. 296 del 1990, n. 101 del 1995, n. 115 e n. 229 del 2003, nonché ordinanze n. 408 del
1990, n. 337 del 1993 e n. 347 del 1996 (v. pure Cass. n. 13809 del 2015, nn. 6530, 6538,
5288 e 796 del 2014).
6.2. Nel merito, la pretesa volta al riconoscimento delle differenze retributive è infondata,
perché – alla stregua della ricostruzione compiuta dai giudici di merito – difetta il
presupposto che l’interessato sia stato effettivamente adibito a mansioni superiori a quelle
proprie del profilo di inquadramento.

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2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione –

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7. Costituisce questione nuova – e come tale inammissibile – la pretesa riconducibilítà delle
mansioni nella categoria B, in quanto intermedia tra quella posseduta e quella rivendicata.
Non risulta dalla sentenza impugnata che l’odierno ricorrente avesse proposto tale domanda
in primo grado, né che avesse proposto un motivo di appello lamentando l’omessa
pronuncia da parte del primo giudice.
7.1. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, qualora con il ricorso per cassazione
siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della
parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della

anche, in ossequio al principio di cui all’art. 366 cod. proc. civ. del ricorso stesso, di indicare
in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema
Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito
della suddetta questione (ex plurimis, Cass. n. 23675 del 2013, n. 324 del 2007, nn. 230 e
3664 del 2006).
8. Per tali assorbenti considerazioni, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in
dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15
per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo
2014, n. 55.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese
generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore
antistatario.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 21 novembre 2017

censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma

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