Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34638 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 30/12/2019), n.34638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 12895 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Fiduciaria Toscana s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Salvatore Paratore per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via Tagliamento, n. 55, presso lo studio dell’Avv. Nicola Di

Pierro;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

centrale della Toscana, sezione di Firenze, n. 662/10/2012,

depositata il giorno 30 marzo 2012;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 3

ottobre 2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: la società Fiduciaria Toscana s.p.a. aveva impugnato il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulla istanza di rimborso Iva 1982 per operazioni di compravendita di titoli; in particolare, aveva rilevato che le suddette attività incidevano sul calcolo del pro rata, in quanto le stesse erano state eseguite nell’ambito dell’attività fiduciaria e nell’interesse di terzi (i fiducianti committenti), per conto dei quali aveva operato, sicchè erano destinate a incidere direttamente sul patrimonio della contribuente; la Commissione tributaria di primo grado di Firenze aveva accolto il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate; la Commissione tributaria di secondo grado di Firenze aveva rigettato l’appello; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto ricorso l’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria centrale, sezione di Firenze;

la Commissione tributaria centrale, sezione di Firenze, ha accolto il ricorso, in particolare ha ritenuto che le operazioni svolte dalla contribuente non potevano essere escluse dal calcolo del pro rata poichè non potevano essere considerate estranee all’attività tipica della contribuente;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la società contribuente affidato ad un unico motivo di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, u.c., per avere erroneamente ritenuto che le operazioni effettuate dalla società fiduciaria per conto terzi dovevano essere prese in considerazione per la determinazione dell’ammontare delle operazioni esenti ai fini del calcolo di riduzione della detrazione d’imposta di cui alla citata previsione normativa;

in particolare, la ricorrente evidenzia di essere una società fiduciaria “statica”, sicchè l’attività di compravendita di titoli è meramente eventuale ed accessoria rispetto all’attività tipica, propria delle suddette società, di custodia e di amministrazione, per cui, nel caso in cui sia posta in essere, è da considerarsi meramente strumentale all’attività tipica; segnala, inoltre, che la disciplina delle società fiduciarie statiche non è stata modificata dall’entrata in vigore della L. 2 gennaio 1991, n. 1, non avendo questa inciso sulla disciplina delle società statiche di cui alla L. n. 1966 del 1939;

il motivo è infondato;

questa Corte, con sentenza 31 gennaio 2019, n. 290, pronunciando su medesima questione relativa alle stesse parti, ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso di operazioni di disposizione di titoli eseguite da una società fiduciaria su mandato dei propri clienti, per verificare se le suddette operazioni rientrino o non nel calcolo della percentuale detraibile, occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, dovendosi avere riguardo al volume d’affari della contribuente”;

in particolare, si è, in primo luogo, evidenziato che l’applicazione delle previsioni normative in tema di IVA è legata a presupposti di carattere formale, che non consentono di distinguere tra la titolarità effettiva del fiduciante e quella formale del fiduciario, come si ricava dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 3 e art. 13, comma 2, lett. b), che, ricomprendendo tra le operazioni imponibili anche “i passaggi dei beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente”, escludono che le vendite e gli acquisti effettuati in esecuzione di contratti di commissione possano essere imputati direttamente al committente. Tale principio non opera solo nei rapporti tra committente e commissionario, ma si estende ad ogni ipotesi in cui il soggetto passivo agisce in nome proprio ma nell’interesse di altro soggetto, come si desume dallo stesso decreto, art. 3, comma 3 e art. 13, comma 3, lett. b), che, in linea con quanto stabilito dal legislatore comunitario (Dir. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, art. 6, par. 4) considerano il mandatario senza rappresentanza quale “operatore in proprio”;

pertanto, l’attribuzione della qualifica di soggetto passivo dell’imposta al fiduciario è applicabile anche alle operazioni effettuate dal fiduciario nell’interesse del fiduciante, posto che anche tali atti, pur nella loro peculiarità, debbono essere inquadrati nel più ampio schema della interposizione gestoria (Cass., 23 giugno 1998, n. 6246);

è stata anche esaminata la questione, di cui al presente motivo di ricorso, relativa al fatto che, essendo l’intestazione fiduciaria dei titoli finalizzata esclusivamente all’amministrazione dei titoli, l’acquisto e la vendita di tali beni sarebbe estranea all’attività tipica della società fiduciaria, sicchè non potrebbero essere considerate ai fini della determinazione del volume di affari, in quanto il potere di disporre dei beni affidati non può essere considerato incompatibile con l’incarico conferito alla società fiduciaria, purchè esso non sia tale da comportare l’affidamento dei beni consegnati alla sua libera disponibilità, al di fuori di ogni possibilità di intervento da parte dei fiducianti;

sul punto, si è precisato che il potere di disposizione non può dirsi estraneo all’attività di amministrazione, dal momento che quest’ultima, anche quando non sia riferita all’esercizio di un’attività d’impresa, non è limitata al godimento e alla conservazione dei singoli beni “amministrati” ma si estende, sia pure con alcune limitazioni, al compimento di atti che comportano una modifica patrimoniale di carattere permanente e che, in quanto tali, vanno qualificati come atti di disposizione (arg. ex artt. 54,320,371,394 c.c.); la suddetta ricostruzione interpretativa, peraltro, trova conforto nel successivo intervento normativo del legislatore che, nel disciplinare l’attività di intermediazione mobiliare, ha riconosciuto espressamente che le società fiduciarie potessero (continuare a) svolgere, fino all’entrata in vigore della legge di riforma, “attività di gestione di patrimoni mediante operazioni aventi per oggetto valori mobiliari in nome proprio e per conto di terzi” (L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 17; D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, art. 60, comma 4; D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 199);

anche il profilo relativo alla necessità di distinguere tra società fiduciaria “c.d. statica” (la cui attività è limitata all’amministrazione e custodia dei beni) e società fiduciaria “c.d. dinamica” (la cui attività, in virtù di un mandato generale, si estende alla gestione dei beni ad essa fiduciariamente intestata, con potere di acquisto e di vendita di titoli e delle altre attività ricevute, al fine di massimizzare il valore del patrimonio ricevuto in gestione), è stato esaminato, rilevandosi che il potere di gestione non può dirsi estraneo all’attività di amministrazione;

infine, con specifico riferimento alla necessità di verificare se una determinata operazione attiva rientri o no nell’attività propria di una società, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti, si è fatto richiamo a quanto già affermato da questa Corte con diverse pronunce, (Cass. civ., 24 marzo 2017, n. 7654; conf. Cass. civ. 16 marzo 2018, n. 6486), in particolare al fatto che occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, in quanto, ai fini dell’imposta, rileva il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi compiute, e, quindi, l’attività in concreto esercitata (Cass. 9 marzo 2016, n. 4613; 14 marzo 2014, n. 5970; 13 novembre 2013, n. 25475), sicchè, oltre agli atti che tipicamente esprimono il raggiungimento del fine produttivo enunciato nell’atto costitutivo dell’ente, occorre avere riguardo anche a quelle attività ulteriori che si raccordino con detto fine secondo parametri di regolarità causale, o che siano comunque ad esso legate da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale (Cass. 6194/01, 9762/03, 11073/06, 6574/08, 5970/2014) (precedenti specifici Cass. n. 4613/2016, 7654/2017); il suddetto orientamento risulta in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 14 dicembre 2016, causa C-378/15, Mercedes Benz) che ha chiarito che la disposizione di cui alla sesta direttiva, art. 17, par. 5, comma 3, (che consente agli Stati membri di ricorrere a metodi di determinazione del diritto di detrazione specifici, di carattere derogatorio) là dove si riferisce alla cifra d’affari, ha riguardo al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia le operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia quelle che non lo conferiscono;

pertanto, in base, al regime derogatorio applicato dal legislatore interno, si è affermato che non occorre che i beni ed i servizi siano utilizzati dal soggetto passivo per il compimento sia delle operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia di quelle che non lo conferiscono, ma diviene decisiva, ai fini del calcolo della percentuale di detraibilità dell’iva sugli acquisti, la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo: a tal fine si deve tener conto del rapporto tra le operazioni accessorie e le attività imponibili di tale soggetto passivo e soltanto eventualmente dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’iva è dovuta (Corte giust. in causa C- 378/15, punto 49);

con il suddetto arresto, la Corte di giustizia ha quindi precisato che la normativa comunitaria non osta a una normativa e a una prassi nazionali, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che impongono a un soggetto passivo: – di applicare alla totalità dei beni e dei servizi da esso acquistati un pro rata di detrazione basato sulla cifra d’affari, senza prevedere un metodo di calcolo che sia fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività tassate e non tassate; e – di riferirsi alla composizione della sua cifra d’affari per l’individuazione delle operazioni qualificabili come “accessorie”, a condizione che la valutazione condotta a tal fine tenga conto altresì del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonchè, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’imposta sul valore aggiunto è dovuta;

non assume, peraltro rilievo la linea difensiva della ricorrente basata sull’orientamento dell’Amministrazione finanziaria con la risoluzione 11 novembre 2002, n. 352, tenuto conto che lo stesso è stato espresso alla luce del mutato quadro normativo di riferimento relativo all’attività delle società fiduciarie, già definito dalla L. 23 novembre 1939, n. 1966, e poi modificato con la L. 2 gennaio 1991, n. 1, che ha provveduto a riformare i mercati finanziari attribuendo, in esclusiva, ad un nuovo soggetto, la società di intermediazione mobiliare (in breve SIM), l’esercizio professionale di attività come la negoziazione di titoli, il collocamento e la distribuzione dei medesimi, nonchè la gestione di portafogli;

è infatti in considerazione del fatto che il parere è stato espresso alla luce del mutato quadro normativo di riferimento che la stessa Amministrazione finanziaria ha in esso precisato che è da rilevare che l’interpretazione appena enunciata non contraddice la sentenza della Corte di Cassazione n. 11267 del 27 agosto 2001, nella quale si conclude a favore della concorrenza delle operazioni in questione alla formazione del pro-rata. Tale sentenza, infatti, si riferisce ad una fattispecie risalente al 1985, quindi ad un’epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 1 del 1991, e affronta la questione alla luce della normativa in vigore a quel tempo (L. n. 1966 del 1939), la quale, come sopra illustrato, permetteva a tutte le società fiduciarie di esercitare un’attività di gestione di portafogli titoli sulla base di un mandato generale di disposizione sui patrimoni dei clienti;

la sentenza in esame, pertanto, pronunciandosi relativamente ad una richiesta di rimborso Iva relativa agli anni 1982, quindi su una controversia anteriore alla modifica normativa sopra indicata, è in linea con l’interpretazione delle norme di riferimento sopra illustrata, sicchè il motivo di ricorso è infondato;

in conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 2.900,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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