Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34637 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 30/12/2019), n.34637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

C.O.M., rappresentato e difeso da sè medesimo in

quanto Avvocato, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliato presso il proprio studio, al viale Liegi n. 28 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– resistente –

E contro

Equitalia Sud Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Gioia Vaccari, in virtù di procura

redatta su atto separato ed allegato, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del difensore, alla via Gioacchino Rossini n. 18 in

Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3977, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Roma il 6.05.2014 e pubblicata il 13.06.2014;

ascoltata, in Camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio;

letto il controricorso presentato da Equitalia S.P.A., Incaricato

della riscossione del credito erariale;

letta la memoria difensiva depositata dal ricorrente;

la Corte osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

il contribuente, Avv. C.O.M., apprendeva che l’Agente del Servizio Nazionale di Riscossione, società Equitalia Gerit Spa, aveva intrapreso la procedura di vendita della sua abitazione, in esecuzione coattiva della riscossione del debito erariale di Euro 11.443,56, derivante dal mancato pagamento di “tributi di varia natura”.

Al fine di scongiurare la vendita coattiva, il contribuente proponeva ed otteneva la concessione della rateizzazione del pagamento delle cartelle esattoriali, in relazione alle quali il concessionario incaricato della riscossione aveva iscritto ipoteca.

Tuttavia l’odierno ricorrente, da una verifica effettuata presso gli Uffici erariali, riscontrava “evidenti vizi nella notifica” delle cartelle di pagamento, tali da comportare la nullità delle stesse, perchè mai validamente notificategli.

L’odierno ricorrente presentava allora, all’Agenzia delle Entrate e all’Agente della Riscossione per la Provincia di Viterbo, istanza di rimborso ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, al fine di conseguire la ripetizione di quanto riteneva di avere indebitamente versato.

Formatosi il silenzio rifiuto, allo scopo di contestare la legittimità del titolo su cui si fondava parte della pretesa erariale, il contribuente impugnava il diniego opposto dall’Amministrazione innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo la quale, con sentenza n. 140 del 16 ottobre 2012, respingeva le sue doglianze, ritenendo che “le notifiche delle cartelle di pagamento, effettuate con tutti i mezzi consentiti dalla norma, risultano del tutto regolari, come dimostrato dal concessionario. Peraltro il ricorrente ne aveva chiesto la rateazione e quindi ne era a conoscenza e poteva, se lo riteneva opportuno, presentare le contestazioni in tale momento. Le cartelle non sono state impugnate nei termini e quindi sono divenute definitive, a nulla rilevando che, successivamente, il contribuente si sia accorto di presunti vizi, irregolarità e quant’altro eccepito” (contric. Equitalia Sud Spa, p. 2).

Il C., con ricorso del 25 marzo 2013, spiegava quindi appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio avverso la decisione adottata dalla CTP, deducendone l’erroneità in ordine alla ritenuta ritualità della notifica delle contestate cartelle esattoriali.

Si costituiva in giudizio il Concessionario incaricato della riscossione all’epoca dei fatti, il quale insisteva nell’affermare la legittimità del proprio operato, nonchè la regolarità delle notifiche.

L’adita Commissione d’appello capitolina confermava la sentenza di primo grado.

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha proposto impugnazione per cassazione C.O.M., affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. L’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente, invocando il disposto di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, al solo fine della partecipazione all’eventuale udienza pubblica di discussione della causa. Il Concessionario per la riscossione, Equitalia Sud S.p.A., si è costituito mediante controricorso. Il contribuente ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Mediante il suo unico motivo d’impugnazione, che pare debba intendersi proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente si duole del fatto che “la ricostruzione operata dalla Commissione Tributaria nella sentenza impugnata appare (altresì) un’illegittima e contraddittoria forzatura dei principi processuali laddove sorvolando sulla rituale notifica non rileva il vizio d’inammissibilità del ricorso per decorrenza del termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, al punto da non ritenere degno di alcun rilievo il fatto che non sia stata fornita la prova, mediante esibizione di apposita raccomandata, di uno specifico onere stabilito da una norma processuale che dispone un vero e proprio obbligo a carico del soggetto notificante” (evidenza aggiunta, ric., p. 8).

Non sussistono, allo stato, le condizioni per addivenire alla decisione nel merito del giudizio.

Il ricorrente, infatti, ha depositato memoria difensiva mediante la quale chiede dichiararsi la intervenuta cessazione della materia del contendere. Il contribuente osserva che le cartelle esattoriali di importo inferiore ai mille Euro sono state cancellate d’ufficio. In relazione alle rimanenti ha provveduto ad aderire alla definizione agevolata, concordando con l’Agenzia delle Entrate un piano di rateazione e provvedendo al pagamento della prima rata. In ordine alle spese di lite ne domanda la compensazione.

In merito, occorre allora osserva che l’art. 390 c.p.c., u.c., c.p.c., dispone che l’atto di rinuncia sia notificato alle parti costituite o sia comunicato agli avvocati delle stesse, che vi appongono il visto.

Il contribuente non ha provveduto ad assicurare prova di aver notificato istanza e documentazione allegata alle controparti, Ente impositore ed Incaricato per la riscossione (Agenzia delle Entrate riscossione, quale successore ex lege di Equitalia Spa).

Difettando, nel caso di specie, dei requisiti prescritti dalla norma su richiamata, l’atto di rinuncia non sarebbe di per sè idoneo a determinare l’estinzione del processo, ma, essendo inequivocabilmente indicativo del venir meno dell’interesse al ricorso da parte dell’impugnante, ne comporta comunque l’inammissibilità (cfr. Cass. sez. U, sent. 18.02.2010, n. 3876).

Tenuto conto dell’epilogo del giudizio, ragioni di equità inducono a ritenere corretto dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

In materia di raddoppio del contributo unificato, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che “nell’ipotesi di rinuncia al ricorso per cassazione da parte del contribuente per adesione alla definizione agevolata (nella specie, di cui al D.L. n. 148 del 2017, conv., con modif., dalla L. n. 172 del 2017), non sussistono i presupposti per condannare lo stesso al pagamento del cd. “doppio contributo unificato”, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove il presupposto per la rinuncia e, quindi, la causa di inammissibilità del ricorso sia sopravvenuta rispetto alla proposizione del medesimo”, Cass. sez. VI-V, 7.6.2018, n. 14782.

In conseguenza, la Corte.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso proposto da C.O.M., per intervenuta carenza d’interesse.

Dispone la compensazione fra le parti delle spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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