Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34627 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 30/12/2019), n.34627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 28706 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Gioielli s.r.l. (già Pecorilla Gioielli s.p.a.), in persona del

legale rappresentante, rappresentata e difesa, per procura speciale

a margine del ricorso, dagli Avv.ti Giulio Gaeta e Guido Gaeta,

elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Palumbo, n. 26, presso la

società “E.P. s.p.a.”;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, n. 263/23/2011, depositata il giorno 5

dicembre 2011;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

dal contenuto della sentenza impugnata si evince che: alla società Pecorilla Gioielli s.p.a. (ora Gioielli s.r.l.) era stata notificata una cartella di pagamento per una maggiore Iva e Irap per un importo iscritto a ruolo dall’Agenzia delle entrate a seguito di controllo automatizzato; avverso il suddetto atto impositivo Gioielli s.r.l. aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta, contestando, fra l’altro, l’incompetenza territoriale dell’ufficio di Caserta ad iscrivere a ruolo la pretesa, atteso che la suddetta società aveva la sede legale in Napoli; la Commissione tributaria provinciale di Caserta aveva declinato la propria competenza in favore della Commissione tributaria provinciale di Napoli; a seguito di riassunzione, la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva rigettato il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’iscrizione a ruolo della pretesa era stata effettuata da un ufficio territoriale incompetente sicchè era da considerarsi illegittima, tenuto conto del fatto che il domicilio fiscale della società contribuente coincideva con la sede legale della stessa sita in Napoli; non poteva attribuirsi rilevanza, ai fini della individuazione del domicilio fiscale della società contribuente, la copia del modello Unico/2005 trasmesso telematicamente, prodotto dall’Agenzia delle entrate, dovendosi ritenere prevalente, a fini probatori, quanto risultante dalla copia della dichiarazione dei redditi prodotta dalla società, in quanto, per essa, l’intermediario ne aveva attestato la conformità all’originale; in particolare, assumeva rilievo: a) la circostanza che l’unico soggetto in possesso dell’originale della dichiarazione dei redditi era l’intermediario abilitato, perchè era al documento prodotto dalla società contribuente che doveva attribuirsi l’idoneità probatoria ai fini della individuazione del domicilio fiscale; b) il fatto che la trasmissione della dichiarazione non poteva essere effettuata telematicamente senza l’indicazione della sede legale; c) il fatto che dalla visura storica della Camera di Commercio e dal contenuto del verbale di accesso dei funzionari risultava che la società aveva sede legale a Napoli;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura, cui resiste la società contribuente depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

ai fini della definizione della presente controversia si ritiene di dovere esaminare prioritariamente il secondo motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., del D.P.R. n. 322 del 1988, artt. 1 e 3, del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 21, comma 2, per avere dato rilevanza probatoria alle indicazioni contenute nella dichiarazione Mod. Unico/2005 prodotta dalla società contraente e privando di valore probatorio privilegiato il documento informatico prodotto dall’Agenzia delle entrate;

il motivo è fondato;

la sentenza censurata, pur dando atto del fatto che l’Agenzia delle entrate aveva prodotto una copia del modello Unico/2005, trasmesso telematicamente, ha ritenuto di dovere escludere che la stessa avesse rilevanza a fini probatori, mentre ha attribuito prevalenza alla prova offerta dalla contribuente, consistente nella dichiarazione dei redditi tramessa dall’intermediario e dallo stesso attestata conforme all’originale, tenuto conto del fatto che l’unico soggetto in possesso dell’originale della dichiarazione era l’intermediario abilitato, sicchè assumeva rilevanza giuridica la copia dallo stesso asseverata;

va osservato, a tal proposito, che, ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, comma 10, “La prova della presentazione della dichiarazione è data dalla comunicazione dell’Agenzia delle entrate attestante l’avvenuto ricevimento della dichiarazione presentata in via telematica direttamente o tramite i soggetti di cui ai commi 2 – bis e 3, ovvero dalla ricevuta della banca, dell’ufficio postale o dalla ricevuta di invio della raccomandata di cui al comma 5”;

la suddetta ricevuta svolge non solo la funzione di verifica della tempestività della consegna, ma anche l’effettiva avvenuta consegna della dichiarazione da parte del contribuente, al fine di assicurare il controllo sul regolare adempimento degli obblighi di presentazione della dichiarazione, pur sempre sul contribuente gravanti;

pertanto, assume rilevanza l’indicazione del numero di protocollo progressivo apposto alla comunicazione di avvenuta presentazione della dichiarazione, in quanto mediante questo è identificata la dichiarazione all’interno del file che viene attribuita esclusivamente alle dichiarazioni accolte;

deve, dunque, esservi una precisa corrispondenza tra quanto indicato nella comunicazione dell’Agenzia delle entrate di avvenuto ricevimento della dichiarazione e la dichiarazione stessa, e, sotto questo profilo, assume rilevanza solo la dichiarazione che corrisponda al numero identificativo indicato nella suddetta comunicazione, in quanto solo questa risulta presentata a seguito della particolare procedura di compilazione della dichiarazione in formato elettronico, che si articola nelle successive fasi di: compilazione della dichiarazione; controllo della dichiarazione; predisposizione e autenticazione del file da trasmettere; invio dei dati; gestione della comunicazione di avvenuta presentazione restituite dall’Agenzia delle Entrate;

sotto questo profilo, l’unico documento idoneo, ai fini della individuazione della dichiarazione dei redditi trasmessa telematicamente, è quello identificabile mediante il numero di protocollo progressivo indicato nella comunicazione di avvenuta presentazione della dichiarazione;

la particolare rilevanza probatoria attribuita dal legislatore a quanto contenuto nella suddetta comunicazione rende non idonea, peraltro, qualunque altra forma di prova documentale;

in questo quadro, il giudice del gravame ha fatto una non corretta applicazione delle previsioni normative in materia di prova, avendo ritenuto di potere prescindere da quanto risultante dalla suddetta comunicazione di avvenuta presentazione e, in particolare, dal fatto che il numero di protocollo progressivo in essa contenuto corrispondeva a quello riportato nella copia della dichiarazione prodotto dall’Agenzia delle entrate, dando invece rilevanza alla copia prodotta dalla contribuente, priva del suddetto numero identificativo;

nè è corretta la considerazione espressa nella sentenza gravata in ordine alla rilevanza dell’attestazione di conformità compiuta dall’intermediario;

la rilevanza dei compiti svolti dall’intermediario nei confronti del Fisco non vale, infatti, ad escludere la natura privatistica del rapporto tra l’intermediario ed il contribuente, che si desume dall’esame delle disposizioni citate, sicchè la dichiarazione di conformità dallo stesso rilasciata, redatta in epoca successiva, non assume a rango di prova privilegiata e non risponde ai requisiti di forma e sostanza previsti ai fini della dimostrazione della dell’esatta dichiarazione dallo stesso presentata, unicamente riferibile, come detto, alla dichiarazione nella quale è indicato il numero identificato indicato nella comunicazione di avvenuta ricezione, posto che solo quella, come detto, corrisponde a quella effettivamente trasmessa, sicchè non può darsi ad essa valore sostitutivo, ai fini probatori;

in questo senso, questa Corte ha precisato che la procedura di presentazione della dichiarazione in via telematica, prevista dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 3, comporta che la dichiarazione e la sua presentazione costituiscono, diversamente dal sistema cartaceo (per il quale vi è una dichiarazione distinta dalla prova del suo invio o della sua presentazione all’Ufficio), un unico, complesso atto, che viene ad esistenza giuridica soltanto con l’invio da parte del contribuente, il quale, quindi, non può addurre dati diversi desunti da una propria dichiarazione cartacea (salvo il caso di errore da lui compiuto nel formare ed inviare la dichiarazione, eventualmente emendabile secondo le regole generali), attesa la irrilevanza di quest’ultima, poichè non costituente copia della dichiarazione presentata all’Ufficio, in quanto l’elaborazione telematica attribuisce certezza (superabile solo con rigorosa prova contraria attinente al sistema informatico di trasmissione dei dati) della conformità del file (contenente la dichiarazione) giunto all’amministrazione a quello inviato dal contribuente (Cass. civ., 16 giugno 2017, n. 15015);

ciò comporta che il documento sulla cui base l’amministrazione finanziaria ha compiuto glì accertamenti, il cui numero identificativo corrisponde a quello indicato nella comunicazione di avvenuta ricezione, si presume proveniente dal contribuente, titolare del dispositivo di firma, salvo che lo stesso non fornisca prova specifica che attesti fatti e circostanze che dimostrino la propria estraneità al documento, non potendo, a tal fine, valere una dichiarazione di conformità compiuta dall’intermediario, secondo quanto sopra precisato;

nè può seguirsi la linea difensiva della contribuente, secondo cui è solo in relazione alla sede della società che può individuarsi la competenza dell’ufficio ad emettere l’atto impositivo, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 58, comma 3;

sul punto, questa Corte ha precisato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la competenza territoriale dell’ufficio accertatore è determinata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 31, con riferimento al domicilio fiscale indicato dal contribuente, la cui variazione, comunicata nella dichiarazione annuale dei redditi, costituisce pertanto atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione il nuovo domicilio non solo ai fini delle notificazioni, ma anche ai fini della legittimazione a procedere, che spetta all’ufficio nella cui circoscrizione il contribuente ha indicato il nuovo domicilio. Tale “ius variandi” dev’essere peraltro esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario: pertanto, il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invalidità dell’atto di accertamento compiuto dall’ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato” (Cass. civ., 4 ottobre 2018, n. 24292);

l’indicazione, quindi, del domicilio fiscale, nella dichiarazione dei redditi, non solo radica la competenza dell’ufficio territorialmente competente, ma comporta che non possono essere fatti valere dal contribuente eventuali diversi elementi di prova da cui evincere che il domicilio fiscale si trovava in luogo diverso da quello risultante dalla dichiarazione;

la fondatezza del secondo motivo di ricorso ha valore assorbente del primo motivo (con il quale di censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del terzo motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente e illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo, in ordine alla ritenuta maggiore idoneità probatoria della dichiarazione dei redditi prodotta dalla contribuente piuttosto che quella prodotta dall’ufficio;

in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il terzo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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