Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34625 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 30/12/2019), n.34625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7274/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), rapp.ta e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è

dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

ORION S.R.L. in LIQUIDAZIONE, C.F. (OMISSIS), con sede in Bologna,

Via dè Musei n. 4, rapp.ta e difesa, giusta procura speciale a

margine del controricorso, dalle Avv.ti Vera Daniele del Foro di

Bologna e Rosa Alba Grasso del Foro di Roma, elett. dom.ta presso lo

studio della seconda in Roma, V.le Mazzini n. 113;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia-Romagna, Sez.12, N. 77/12/2011, depositata il 26.10.2011

e notificata il 12.01.2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 25 giugno

2019da1 Consigliere Luigi Nocella.

Fatto

RILEVATO

che:

Orion s.r.l. in liquidazione, esercente in Bologna attività immobiliare, impugnava innanzi alla CTP della stessa città l’avviso di accertamento N. (OMISSIS), notificatole dall’Agenzia delle Entrate di Bologna 1, con il quale questa, sulla scorta fondamentalmente di unico elemento indiziario, rappresentato dal differenziale tra il valore cauzionale degli immobili ricavabile dal mutuo fondiario erogato alla società costruttrice dalla banca finanziatrice ed il loro prezzo di vendita (differenziale ricostruito sulla base della complessa vicenda del mutuo medesimo), corroborato dai dati OMI, aveva contestato gravi incongruità dei ricavi dichiarati per l’anno 2004 ed aveva accertato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, maggiori ricavi e redditi pari ad Euro 128.547,36, richiedendo maggiori IRES, IVA ed IRAP, ed irrogando le connesse sanzioni.

Nel contraddittorio con l’Agenzia resistente, l’adita CTP accoglieva il ricorso.

L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione è stato respinto dalla CTR dell’Emilia-Romagna con sentenza del 26/10/2011.

Il giudice d’appello ha premesso che, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, artt. 35 e 23 bis, conv. nella L. n. 248 del 2006, come interpretato in via autentica dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, se pur è consentito all’Agenzia di emettere avvisi fondati sui soli scostamenti fra i prezzi dichiarati nel rogito e i valori dei beni compravenduti ricavabili dal mutuo e/o dai dati OMI, detti scostamenti non perdono il loro valore probatorio di presunzioni semplici, con la conseguenza che, in caso di contestazione, grava sull’Ufficio l’onere di fornire ulteriori elementi presuntivi che consentano di raggiungere la prova dotata delle caratteristiche richieste dall’art. 2727 c.c.; ha quindi ritenuto che, nella specie, al valore cauzionale ed ai valori medi OMI non potesse attribuirsi valenza probatoria sufficiente a suffragare il contestato occultamento di ricavi, tenuto conto che, secondo quanto documentato dalla società, il corrispettivo delle vendite era stato pattuito nei contratti preliminari stipulati – anche alcuni anni prima della sottoscrizione dei rogiti – allorchè gli immobili erano in corso di costruzione e che dunque i risultati delle trattative sul prezzo ben potevano discostarsi dal valore nominale di mercato dei beni ultimati, spesso influenzato da trend crescenti che non-possono più modificare quanto stabilito nei preliminari.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione di detta sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 12.03.2012, articolando due motivi di censura.

Orion s.r.l. in liquidazione resiste con controricorso ritualmente notificato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

L’Agenzia denuncia, con il primo motivo di ricorso, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. con riferimento alla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, in combinato disposto con il D.L. n. 223 del 2006, artt. 35 e 23 bis: la CTR avrebbe, sotto un primo profilo, violato la prima norma nell’interpretazione fornitane da questa Corte, nel senso che quando l’Ufficio proceda all’accertamento sulla base dell’esame delle scritture contabili, gli elementi sui quali sì fonda la rettifica sarebbero assistiti da presunzione di legittimità, con la conseguenza che l’onere della prova della loro insussistenza o inidoneità graverebbe completamente sul contribuente; sotto altro profilo avrebbe aprioristicamente negato rilevanza al pur riscontrato scostamento tra valore cauzionale riportato nella seconda delibera della Banca mutuante ed i prezzi dichiarati nei rogiti di vendita.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

La CTR ha correttamente individuato ed interpretato la normativa afferente l’applicazione del metodo induttivo previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d) (e dall’omologo D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) agli accertamenti di attività o ricavi non dichiarati, tra i quali rientrano i maggiori ricavi e redditi da cessioni di beni immobili, posto che la possibilità di far riferimento negli avvisi di accertamento (sia ai fini imposte dirette che IVA) ai c.d. valori normali ricavati da listini o prezzari ufficiali, come le tabelle OMI, ai sensi del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 2 e 3, come interpretati in via autentica dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, (certamente applicabile agli atti impositivi emessi dopo la sua entrata in vigore), non conferisce agli stessi valenza di presunzione legale con conseguente inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, valendo essi “agli effetti tributari, come presunzioni semplici”; presunzioni che, come noto, possono assurgere a valore di prova soltanto in presenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ai sensi dell’art. 2729 c.c..

In tali sensi le norme sopra enunciate hanno trovato concorde applicazione ed interpretazione nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. V 26.09.2014 n. 20429); interpretazione che è stata ulteriormente rafforzata dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 5, con il quale il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), u.p., è stato sostituito con il seguente periodo: “L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”; norma che, al pari di quella precedente, è stata ritenuta di immediata applicazione anche alle situazioni non definite, essendo stata emanata per armonizzare la normativa nazionale all’ordinamento comunitario (cfr. Cass. sez. V 18.11.2016 n. 23485; Cass. sez. V ord. 25.01.2019 n. 2155; Cass. sez. V, ord. 4.04.2019 n. 9453).

Tale principio ovviamente non esclude che, secondo i criteri ermeneutici elaborati da questa Corte con riferimento all’art. 2729 c.c., anche in un unico elemento presuntivo possano ravvisarsi i caratteri essenziali per assurgere a valore di prova, ma tale conclusione è il risultato di valutazioni rimesse al giudice del merito e censurabili esclusivamente nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Peraltro la giurisprudenza invocata e riportata dall’Agenzia ricorrente è inconferente rispetto alla problematica affrontata nel caso in esame, poichè presuppone che “l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata” (Cass. n. 951/2009); laddove nella specie lo stesso legislatore ha escluso la valenza presuntiva legale dei listini e tariffari e richiede un apprezzamento in termini di gravità, precisione e concordanza dei vari elementi presuntivi acquisiti, che solo potrebbe esonerare l’Ufficio dall’onere di addurre ulteriori elementi di prova a sostegno dell’accertamento.

Quanto al secondo profilo di censura, esso è del tutto estraneo al parametro di giudizio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. posto a base del motivo, risolvendosi in una critica alla ponderazione degli elementi presuntivi operata dalla CTR, in aggiunta (e a coronamento) delle analitiche considerazioni svolte, nei passaggi della motivazione immediatamente precedenti, in tema di valenza probatoria degli indizi offerti nell’avviso di accertamento impugnato.

Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza d’appello circa fatti controversi e decisivi, rappresentati dalle risultanze formali dei contratti stipulati (conformità dei prezzi dichiarati con quelli previsti dai preliminari), dall’accertato valore cauzionale degli immobili compravenduti, incontestatamente superiore ai prezzi dichiarati ed in linea con i valori medi OMI, nonchè, infine, dall’assunta valenza indiziaria delle prassi consuete delle operazioni di vendita, comunque insuscettibili di incidere sul valore cauzionale.

Il motivo è inammissibile, in quanto non individua specifiche carenze logico – giuridiche del ragionamento probatorio sul quale si fonda la sentenza impugnata nè illustra la valenza decisiva, ai fini di una diversa soluzione della controversia, di uno o più degli elementi presuntivi addotti a sostegno dell’accertamento; esso si risolve, pertanto, nella richiesta di un nuovo apprezzamento delle risultanze di causa, istituzionalmente rimesso al giudice del merito e insindacabile nella presente sede di legittimità (cfr., fra moltissime, Cass. SU 25.10.2013 n. 24148).

Il ricorso deve quindi essere respinto, con la conseguente condanna dell’Agenzia alla rifusione in favore della Società controricorrente delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna l’Agenzia alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese di fase, che liquida in complessivi Euro 10.100,00, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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