Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34612 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 13/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO – M. –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10094 del ruolo generale dell’anno 2017,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente-

contro

Comunità montana Valle Seriana Z.0.8, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura

speciale a margine del controricorso, dall’avv. Dario Moresco, col

quale elettivamente si domicilia in Roma, alla via A. Bafile, n. 3,

presso lo studio dell’avv. Giacinto Gaetano Mancuso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 30 gennaio 2017, n.

263/17;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 13 novembre 2019

dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

sentita la Procura generale, in persona del sostituto procuratore

generale Immacolata Zeno, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dagli atti e dalla sentenza impugnata che la Comunità montana affidò in base a un contratto di appalto lo svolgimento di servizi di assistenza domiciliare alla s.r.l. Istituzione S. Andrea, totalmente partecipata dal Comune di Clusone, la quale, assumendo di essere organismo di diritto pubblico, emise fatture in esenzione d’iva in base al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 1, n. 27 ter. La committente, dubitando dell’applicabilità dell’esenzione, interpellò l’Agenzia delle entrate e, su indicazione di questa, autofatturò le prestazioni per il periodo dal 2006 al 2009 versando l’iva relativa e trattenne i corrispondenti importi da quanto doveva all’appaltatrice.

L’Agenzia, dal canto suo, indirizzò alla s.r.l. Istituzione S. Andrea due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2005 e 2006 con i quali qualificò come imponibili, e non già esenti, le operazioni compiute, ma la Commissione tributaria provinciale prima, e quella regionale poi, riconobbero la natura di organismo di diritto pubblico della società e, quindi, l’esenzione in questione.

Già in seguito alla pronuncia di primo grado l’appaltatrice chiese e ottenne dal Tribunale di Bergamo un decreto ingiuntivo nei confronti della Comunità, al fine di ottenere il pagamento delle somme trattenute dalla committente e imputate a iva. Sicchè in esito alla dichiarazione di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo e al conseguente pagamento di quanto ivi indicato, la Comunità presentò all’Agenzia istanza di rimborso dell’iva che aveva autofatturato. Ne seguì il silenzio-rifiuto dell’Agenzia, che la committente impugnò, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha rigettato l’appello dell’Agenzia: ha al riguardo sostenuto che almeno sino al giorno della notificazione del decreto ingiuntivo la Comunità aveva legittimamente fatto affidamento sulla correttezza dell’autofatturazione; che non si fosse maturata l’eccepita decadenza prevista dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, perchè il presupposto per la restituzione si sarebbe verificato soltanto in esito alla notificazione alla Comunità del decreto ingiuntivo ottenuto dalla s.r.l. Istituzione S. Andrea, e che comunque l’istanza di rimborso si sarebbe potuta considerare intempestiva soltanto per l’iva assolta prima del 28 ottobre 2008.

Il giudice d’appello ha inoltre convenuto con quello di primo grado che la s.r.l. Istituzione S. Andrea effettivamente fosse un organismo di diritto pubblico e che per conseguenza fruisse dell’esenzione prevista dalla suddetta norma del D.P.R. n. 633 del 1972. Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui la Comunità replica con controricorso, che illustra con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va respinto il secondo motivo di ricorso, di rilievo prodromico rispetto al primo, col quale si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 27 ter e della direttiva 2006/112/CE, art. 132, part. 1, lett. g), del D.Lgs. 18 luglio 2000, n. 267, art. 113, comma 5 e del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 23 bis, conv. con L. 6 agosto 2008, n. 133, là dove la Commissione tributaria regionale ha confermato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’esenzione da iva delle prestazioni rese dalla s.r.l. Istituzione S. Andrea.

E ciò per le considerazioni svolte da questa Corte con ord. 10 maggio 2019, n. 12491 (che ha definito il giudizio iscritto al n. r.g. 15884/12, segnalato per connessione dalla controricorrente, ai fini della riunione), alle quali si rinvia, resa in relazione alle prestazioni svolte dalla s.r.l. Istituzione S. Andrea. La Corte ha stabilito in quell’occasione che, in tema di iva, ai fini dell’esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10,1 comma, n. 27 ter, concernente le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, non è previsto il formale riconoscimento della finalità assistenziale dell’ente erogante, poichè il relativo accertamento può essere rimesso al giudice del caso concreto; nè osta all’operatività dell’esenzione la natura societaria dell’ente, giacchè, alla luce della giurisprudenza unionale, la nozione di “organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo stato membro” non esclude enti privati che perseguano fini di lucro.

2. – La qualificazione come esenti delle prestazioni svolte dalla s.r.l. Istituzione S. Andrea comporta che nessuna iva fosse dovuta al fisco: il sistema comune dell’iva mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’imposta effettivamente dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche (arg., da ultimo, da Corte giust. 8 maggio 2019, causa C-712/17, s.r.l. EN. SA., punto 30).

L’autofatturazione compiuta dalla Comunità montana concerne pertanto un’imposta non dovuta e costituisce un rapporto, tra la committente e l’Agenzia, non avente natura tributaria.

3. – E comunque, anche qualora l’iva fosse dovuta, non lo sarebbe certamente dalla Comunità, che è la committente della prestazione di servizi, priva, per conseguenza, di soggettività passiva.

Il committente o il cessionario, difatti, per il solo fatto di aver proceduto all’autofatturazione, non acquista la qualità di debitore d’imposta, che è riconosciuta soltanto a chi cede il bene o a chi presta il servizio, fatte salve le ipotesi previste dalla sesta direttiva, art. 21, n. 1; sicchè l’obbligo del cessionario o committente di pagare l’imposta sul valore aggiunto in caso di mancata trasmissione della fattura e omesso pagamento da parte del cedente o fornitore del servizio ha natura di sanzione (Cass., sez. un., 27 dicembre 2010, n. 26126, seguita, tra varie, da Cass. 14 gennaio 2015, n. 411 e da Cass. 20 febbraio 2019, n. 4927).

4. – Nessun rapporto tributario si è per conseguenza instaurato tra la Comunità e l’Agenzia delle entrate per effetto del versamento dell’iva, peraltro non dovuta, dalla prima alla seconda. Per conseguenza il credito della Comunità maturato nei confronti dell’Agenzia e concernente la restituzione di quanto versato ha natura privatistica ed è ripetibile a norma dell’art. 2033 c.c. (vedi, sulla medesima falsariga, in riferimento al caso di un istituto di credito delegato dal contribuente per il versamento dell’iva, Cass. 22 aprile 2009, n. 9514).

5. – E’ necessario e sufficiente, difatti, ai fini della compatibilità col diritto unionale, che l’ordinamento appresti un sistema idoneo a consentire al committente gravato dell’imposta erroneamente autofatturata di ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato (arg., da ultimo, da Corte giust. 11 aprile 2019, causa C-691/17, PORR Epitesi Kft).

6. – Non è per conseguenza applicabile nel caso in esame il termine biennale di decadenza, bensì quello decennale di prescrizione.

7. – Il che comporta l’infondatezza del primo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, u.c., là dove la Commissione tributaria regionale ha escluso che l’istanza di rimborso, presentata dalla società il 20 ottobre 2010, fosse tardiva in relazione ai pagamenti compiuti entro il 7 agosto 2008, esclusi quindi soltanto quelli relativi al 2009.

7.1. – Il ricorso va quindi rigettato.

La recente formazione dell’orientamento giurisprudenziale sulla nozione di esenzione rilevante comporta, peraltro, la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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