Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 346 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 14/06/2016, dep.10/01/2017),  n. 346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6433-2013 proposto da:

B.L.M., (OMISSIS), C.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliate in ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO IELO, rappresentate e difese dagli avvocati

FRANCESCO PANEPINTO, GIUSEPPE IACONA, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.V., A.M., M.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TRIONFALE 5637 (STUDIO AVV. BATTISTA),

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO ASCANIO, tutti

rappresentati e difesi dall’avvocato EDOARDO LAMICELA, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 17/2012 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA

del 22/02/2012, depositata il 03/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato ANTONIO IELO, giusta delega allegata al verbale

dell’Avvocato PANEPINTO, difensore del ricorrente, che si riporta ai

motivi e chiede rinvio alla Pubblica Udienza;

udito l’Avvocato LAMICELA EDOARDO, difensore del controricorrente,

che si riporta al controricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

B.G. con ricorso notificato in data 18/4/2003 evocava A.M. dinanzi al Tribunale di Caltanissetta e premesso di essere proprietario di un edificio sito in (OMISSIS), limitrofo a quello di proprietà della A., esponeva che in quest’ultimo erano in corso lavori di ristrutturazione, con parziale demolizione e sopraelevazione, lamentava, in particolare, che le opere eseguite nel fabbricato della AGRO’ recavano molestia alla servitù di veduta da lui vantata ai sensi degli artt. 900, 906 e 907 c.c..

Il Tribunale di Caltanissetta, nella resistenza della convenuta con sentenza n. 247/2006 ha accolto la domanda, ordinando alla A. di reintegrare parte ricorrente nel possesso della servitù di veduta esercitato dal terrazzo con demolizione delle opere realizzate.

In virtù di appello interposto dalla A. la Corte d’Appello di Caltanissetta, intervenuti nel giudizio M.S. e G.V., aventi causa dell’appellante, ed evocati dopo il decesso del B. che aveva proposto appello incidentale, i suoi eredi C.M. e B.L.M., accoglieva il gravame principale e in riforma delle decisione di primo grado, rigettava la domanda attorea, rigettato l’appello incidentale, ritenuto non sussistere il diritto di veduta per non avere le aperture de quibus i caratteri necessari dell’inspectio e della prospectio, stante le sbarre collocate nell’infisso.

Avverso tale decisione, gli eredi di B., hanno proposto ricorso cassazione sulla base di un unico motivo, con il quale lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1170, 900 e 2697 c.c. e dell’art. 103 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 cui A.M., M.S. e G.V. hanno resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con unico motivo le ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1170, 900 e 2697 c.c. e dell’art. 103 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, in particolare lamentano che il giudice di appello non abbia considerato che attraverso le sbarre è consentita sia la prospectio sia la inspectio. Il motivo appare infondato.

Occorre preliminarmente osservare che nella rubrica del motivo le ricorrenti lamentano, tra l’altro, la violazione dell’art. 103 c.p.c. senza esplicitarne le ragioni. Al riguardo si rileva che dalla consultazione degli atti risultano evocate, in sede di legittimità, tutte le parti del processo.

Nel merito, il ricorrente ritiene che la corte d’Appello di Caltanissetta abbia erroneamente considerato le aperture site nell’immobile non avere i caratteri delle vedute.

A tale proposito va rilevato che l’elemento caratterizzante la veduta è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali e affinchè ciò avvenga, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della “impectio” anche quello della “prospectio” nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto ad una visione mobile e globale (sulla base di tale principio la S.C. ha escluso che avesse carattere di veduta un’apertura munita di una struttura metallica, incorporata nel muro di confine; v. Cass. n. 22844 del 2006).

Per giurisprudenza consolidata l’accertamento di detti caratteri è rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione il quale è tenuto a verificare in concreto se l’opera, in considerazione delle caratteristiche strutturali e della posizione degli immobili rispettivamente interessati, permetta a una persona di media altezza l’affaccio sul fondo del vicino o il semplice prospetto (v. Cass. n. 5421 del 2011), che deve consentire la possibilità di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (v. tra le altre, Cass. nn. 5904 del 1981, Cass. 3265 del 1987, Cass. 7267 del 2003).

Nella fattispecie, con valutazione, congruamente motivata, la Corte d’Appello nissena ha rilevato che la finestra in questione, munita di sbarre orizzontali, non permetta materialmente la possibilità, data l’ampiezza delle stesse, di protendere il capo, trattandosi di azione da compiersi in modo “inusuale”, non riconducibile all’esercizio di una comoda servitù di veduta”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio, non aggiungendo la memoria illustrativa di parte ricorrente alcunchè alle originarie critiche, per essere l’analisi della sentenza impugnata specifica laddove chiarisce, con motivazione logica, congrua ed inattaccabile, che una veduta posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e con due sbarre in ferro infisse nel muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non può costituire un comodo affaccio.

Conseguentemente il ricorso va respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente in solido alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione sesta Civile – 2, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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