Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34595 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23456/2015 R.G. proposto da:

Geberit Service S.p.A., già Sanitec Holding Italy S.p.A. (in

qualità di incorporante della Sanitec Italia S.p.A. e di

consolidante della Domino s.r.l.), in persona del l.r.p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Piva del foro di Venezia,

dall’avv. Mauro Beghin del foro di Padova, dall’avv. Marcello

Poggioli del foro di Modena e dall’avv. Francesco D’Ayala Valva del

foro di Roma, presso cui domicilia elettivamente in Roma, al viale

Parioli n. 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 656/05/15 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, emessa in data 17 febbraio 2015,

depositata in data 26 febbraio 2015 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6/11/2019 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

uditi gli avv.ti Giuseppe Piva e Mauro Beghin per la società

ricorrente e l’Avvocato dello Stato Paolo Gentili per l’Agenzia

delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La fattispecie trae origine dai P.V.C. della G.d.F. Nucleo di Polizia Tributaria di Pordenone del 22 marzo 2010, l’uno in materia di Ires ed Irap per gli anni di imposta dal 2005 al 2008, l’altro in materia di Ires per gli anni dal 2006 al 2008.

I militari della G.d.F. avevano appurato che, nell’ambito di una più ampia operazione inerente all’acquisizione dell’intero gruppo di società, facenti capo alla Sanitec International S.A., da parte di Fondi di investimento gestiti da EQT Partners OY, la Sanitec Europe OY, in qualità di socio unico, aveva costituito la Sanitec Holding Italy S.p.A.

Quest’ultima aveva sottoscritto, nell’ambito di un’operazione di leveraged buyout, due contratti di finanziamento, per complessivi Euro 158.000.000,00, con la stessa controllante Sanitec OY (società di diritto finlandese), finalizzati all’acquisto di Sanitec Italia S.p.A. e del 50% di Sanitec UK Ldt, già della Royal Sanitec Ab (società svedese), anch’essa controllata dalla Sanitec OY.

Le operazioni, secondo l’Amministrazione finanziaria, erano prive di reale motivazione economica e tese unicamente a conseguire indebiti vantaggi fiscali, consistenti nell’effetto di originare componenti negativi di reddito (gli oneri finanziari derivanti dai finanziamenti concessi alla sub holding per l’acquisto delle due società già appartenenti a Royal Sanitec AB, con sede in (OMISSIS), a sua volta controllata da Sanitec OY), che avevano originato un risparmio di imposta, derivato dalla deduzione degli oneri suddetti.

Pertanto, con l’avviso di accertamento, oggetto di impugnazione, veniva ridotta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, la perdita dichiarata da Sanitec Holding Italy S.p.A. per l’anno 2005, disconoscendo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37 bis, la deducibilità degli oneri finanziari scaturenti dall’operazione di leverage buyout per 8.282.887,00 Euro.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della C.T.P. di Milano, favorevole alla società contribuente, ritenendo il carattere meramente elusivo delle operazioni societarie, prive di una reale giustificazione economica, in alcun modo provata.

3. Avverso la sentenza del giudice di appello, la società ricorre con otto motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato per la pubblica udienza del 6/11/2019.

5. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia la nullità della sentenza d’appello per la violazione dell’art. 112 c.p.c., e l’omessa pronuncia sull’inammissibilità dell’appello di parte avversaria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Preliminarmente, infatti, la società appellata, con l’atto di costituzione in appello, aveva chiesto di verificare l’avvenuto tempestivo deposito dell’atto di appello presso la cancelleria della Commissione Tributaria Provinciale adita in primo grado, quale adempimento previsto ai fini dell’ammissibilità dell’appello stesso, nel caso in cui la notifica di quest’ultimo non fosse avvenuta a mezzo di ufficiale giudiziario (come nel caso in esame).

Secondo la ricorrente, sul punto non potrebbe rinvenirsi una pronuncia nell’espressione conclusiva utilizzata dalla C.T.R., che dopo aver considerato singolarmente le eccezioni ed i motivi di appello, ha ritenuto che ogni altra questione rimanesse assorbita, poichè l’assorbimento opera solo con riferimento alle domande ed eccezioni la cui decisione diviene superflua, ovvero quando la decisione adottata escluda la necessità di pronuncia, comportando un implicito rigetto delle domande.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Invero, “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame)” (Sez. 5 -, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017; Sez. 2, Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018).

Nel caso di specie, il giudice, nell’esaminare il merito dell’appello, non ha omesso la pronuncia sull’eccezione di inammissibilità, ma l’ha implicitamente rigettata.

2.1. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la motivazione adottata dal giudice di appello per escludere la carenza di motivi specifici di appello sarebbe apodittica ed autoreferenziale, ed erroneamente escluderebbe l’inammissibilità dell’appello.

Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia la nullità della sentenza d’appello per la violazione dell’art. 112 c.p.c., e l’omessa pronuncia sull’inammissibilità dell’appello di parte avversaria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.2. I motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono infondati e vanno rigettati.

2.3. In primo luogo, non sussiste l’omessa pronuncia, in quanto la C.T.R. ha fornito sul punto una motivazione effettiva, nonostante la sua sinteticità.

Nel caso di specie, il giudice di appello ha ritenuto che i motivi fossero sufficientemente specifici, perchè incentrati sostanzialmente sulla contestazione che la sentenza di primo grado non avesse tenuto conto dei principi in tema di elusione fiscale ed abuso del diritto, i sui quali era basato l’accertamento fiscale.

Secondo un orientamento ormai costante di questa Corte, “nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci” (Sez. 5, Sentenza n. 32954 del 20/12/2018; Massime precedenti Vedi: N. 13535 del 2018 Rv. 648722 – 01, N. 24641 del 2018 Rv. 650818 – 01, N. 30525 del 2018 Rv. 651841 – 01).

Anche il rinvio, nella descrizione dei fatti di causa contenuta nell’atto di appello, ad atti noti alle parti ed oggetto di discussione fin dal primo grado del giudizio, non appare lesivo del principio di specificità dei motivi di appello, che, come ha ritenuto il giudice di secondo grado, presentava ogni elemento utile alla sua comprensione.

3.1. Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella circostanza, rilevata dal giudice di prime cure e, secondo la ricorrente, non specificamente impugnata dall’Amministrazione con l’atto di appello, secondo cui l’accertamento fiscale difetterebbe della visione d’insieme e non sarebbe stato in grado di dimostrare che lo scopo finale ed i vantaggi perseguiti dall’azienda fossero conseguibili in altro modo.

Con il quinto motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per l’omessa motivazione in ordine alla dichiarata assenza di valide ragioni economiche, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il sesto motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per la violazione dell’art. 132 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per la mancanza di adeguata giustificazione della decisione.

Con il settimo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, in quanto nel caso di specie difetterebbe un vantaggio fiscale asistematico.

Con l’ottavo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, in quanto nel caso di specie difetterebbe un vantaggio fiscale asistematico, nonchè del T.u.ir., artt. 97, 98, 122, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente, invero, gli oneri finanziari, maturati in dipendenza dell’erogazione di fondi da parte della capogruppo per la realizzazione del programma imprenditoriale della sub holding (acquisto e gestione delle partecipazioni nelle società operative), sarebbero sicuramente inerenti all’attività di impresa (requisito, peraltro, non richiesto per la deducibilità degli interessi passivi) e rispettosi dei vincoli di cui al Tuir, art. 98, (divieto della cd. capitalizzazione sottile) e al Tuir, art. 97, (regime PEX).

In subordine la ricorrente chiede di rinviare la questione pregiudizialmente alla Corte di Giustizia UE, ai sensi del TFUE, art. 267, per valutare la compatibilità dell’interpretazione giuridica sostenuta dal giudice di seconde cure della normativa in esame con il principio Euro-unitario della libertà di stabilimento.

3.2. I motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

3.3. Nella sentenza della C.T.R., invero, si coglie la ratio della decisione adottata, in quanto, sia pure con motivazione sintetica, il giudice di appello ha ritenuto che la contribuente non avesse fornito sufficienti prove in ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche sottese alla sequenza negoziale, oltre al vantaggio fiscale, poichè le operazioni societarie costituivano una riorganizzazione meramente interna al gruppo finalizzata unicamente a traslare sulle società operative il debito precedentemente contratto, in modo da sottrarre a tassazione materia imponibile mediante la deduzione dei componenti negativi di reddito (gli oneri finanziari derivanti dai finanziamenti) ed aggirare i limiti posti alla deducibilità degli interessi passivi in particolare dal T.u.i.r., art. 98.

La motivazione adottata dai giudici di appello, quindi, appare idonea a palesare l’iter logico posto a base della decisione, in quanto la C.T.R. ha ritenuto la legittimità dell’accertamento tributario ed affermato l’elusività delle operazioni in oggetto, rilevando come l’intera prospettazione della contribuente in relazione al riassetto dell’intero gruppo societario fosse stata solo genericamente dedotta e, comunque, risultasse sfornita di prova.

Esclusa, quindi, l’assoluta carenza di motivazione, deve ritenersi l’irrilevanza dell’eventuale mera insufficienza della stessa e l’inammissibilità delle contestazioni di parte ricorrente, che non deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ma sostanzialmente richiede una valutazione di merito degli elementi di fatto già oggetto di esame da parte del giudice di appello.

Nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie, la società ricorrente sostiene che la creazione da parte di Sanitec OY di una sub holding (la Sanitec Holding Italy S.p.A.) e l’indebitamento di quest’ultima con la controllante per acquisire le società (il 100% di Sanitec Italia ed il 50% di Sanitec UK, già appartenenti a Royal Sanitec AB, con sede in (OMISSIS), anch’essa controllata da Sanitec OY) si inserirebbe in un modello di leveraged buyout, grazie al quale l’EQT IV avrebbe programmato il rimborso del finanziamento bancario ottenuto per l’acquisizione del gruppo Sanitec attraverso l’impiego dei flussi reddituali generati dalla gestione delle società acquisite.

Il metodo adottato avrebbe comportato il fenomeno di cd. push down del debito, nel quale si inserirebbe anche l’operazione contestata.

In realtà, come rilevato dal giudice di appello, la ricorrente fa solo un generico riferimento a modelli astrattamente leciti e non necessariamente elusivi, quali il leveraged buyout e il fenomeno del push down del debito, senza calarli nella situazione concreta e senza precisare in che modo e per quanta parte le operazioni, oggetto dell’accertamento fiscale, siano effettivamente collegate alla più vasta operazione di acquisizione del gruppo da parte del Fondo di investimento EQT IV.

La stessa prospettazione della società ricorrente non supera il vaglio del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, in quanto non chiarisce a quali necessità organizzative e strutturali risponda la creazione della sub holding ed il suo indebitamente con la controllante per acquisire società già appartenenti al gruppo e neanche deduce le concrete ragioni di miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa che avrebbero comportato l’adozione della sequenza negoziale prescelta.

Pertanto, la sentenza impugnata non incorre neanche nella denunziata violazione di legge, poichè, a fronte della contestazione di elusività dell’operazione sopra descritta da parte dell’amministrazione finanziaria, il giudice di appello rileva che la società contribuente avrebbe avuto l’onere di provare le concrete ragioni economiche, che non fossero di mera riorganizzazione interna unicamente finalizzata alla creazione di elementi passivi del reddito da dedurre per diminuire l’imponibile tassabile.

Inoltre, l’interpretazione adottata appare in linea con le più recenti sentenze di questa Corte (Cass. n. 438/2015; n. 439/2015; n. 5155/2016; n. 30404/2018; n. 24294/2019) e con gli esiti dei lavori della Commissione Gallo per la scrittura del nuovo dello Statuto del contribuente, art. 10-bis, introdotto dal D.Lgs. attuativo 5 agosto 2015, n. 128, art. 1 (conf. Relazione illustrativa) e recante al disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, con riferimento alla raccomandazione n. 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva.

In estrema sintesi due sono gli indici di mancanza di sostanza economica: la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato, mentre per vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Precisa la raccomandazione che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale” (4.4), o più esattamente di “sostanza economica” (4.2), e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”.

Peraltro la stessa raccomandazione UE (4.4 lett. d), precisa che “Per determinare se la costruzione o la serie di costruzioni è artificiosa, le autorità nazionali sono invitate a valutare… se… le operazioni concluse sono di natura circolare” (pertanto è evidente che persino nel nuovo assetto normativo restano abusive le costruzioni artificiose e circolari – conf. CGUE, 10/11/2011, in causa C-126/10, punto 34).

Per quanto fin qui detto il ricorso va complessivamente rigettato.

La società ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 25.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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