Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34593 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 12729-2015 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

ANDREA LO CASTRO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MESSINA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3252/2014 della TRIB. REG. SEZ. DIST. di

MESSINA, depositata il 27/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 3252/27/14, depositata il 27 ottobre 2014, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l’appello proposto da A.A. avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento col quale il Comune di Messina aveva recuperato a tassazione l’ICI dovuta relativamente al periodo d’imposta 2001.

A fondamento del decisum il giudice del gravame ha rilevato che:

– in relazione al presupposto di imposta, ed alla individuazione del relativo soggettivo passivo (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1, comma 2, e art. 3, commi 1 e 2), alcun rilievo assumeva l’avvenuto pignoramento dei beni immobili in quanto (come rilevato dalla Corte di Cassazione) il presupposto impositivo cessava (solo) a seguito dell’emissione del decreto di trasferimento (in esito all’espropriazione immobiliare);

– l’invocazione del giudicato, – qual correlato a sentenza pronunciata per il periodo di imposta 2002, – non trovava riscontro nella sentenza che era stata prodotta (non in copia autentica e) sprovvista di attestazione di passaggio in giudicato.

2. – A.A. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi.

Il Comune di Messina non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 832 c.c., assumendo che, al momento dell’avviso di accertamento, gli immobili “erano già stati posti in vendita” (con privazione “della facoltà di disporre del bene”), che “la denuncia del contribuente” (relativa agli immobili tassati) era riferibile “a un tempo precedente il pignoramento” e che, al momento della notifica dell’avviso di accertamento, “non era intervenuto l’orientamento giurisprudenziale… posto a base della sentenza di appello”.

Il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, reca denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sull’assunto che il giudice del gravame non aveva esaminato il motivo di appello (“decisivo per il giudizio”) col quale esso esponente aveva dedotto “la difformità di trattamento tra due identiche vertenze operata dal primo giudice”, posto che l’avviso di accertamento relativo all’anno 2002 era stato annullato, in autotutela, così consolidando “l’affidamento del contribuente riferito al tributo 2001”.

Il terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, reca denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., sul rilievo che la sentenza relativa al periodo di imposta dell’anno 2002 non era stata prodotta al fine di far valere il giudicato, così formatosi, quanto piuttosto per sostenere la denunciata disparità di trattamento riservata dall’amministrazione all’annualità 2001; e, rilevando la pronuncia in siffatti termini (quale mezzo di prova), erroneamente il giudice del gravame ne aveva rilevato l’inutilizzabilità per difetto di attestazione del suo passaggio in giudicato.

Col quarto motivo, da ultimo, e sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 124, disp. att. c.p.c., deducendo che il rilievo del giudice del gravame, – quanto all’inutilizzabilità della sentenza, relativa al periodo d’imposta 2002, perchè non prodotta in copia autentica (e sprovvista dell’attestazione di passaggio in giudicato), – era stato svolto in ultrapetizione perchè la contestazione del “documento” riservata al solo appellato (“in applicazione del principio dispositivo”); laddove pur rilevava che, nell’incertezza probatoria, il giudice del gravame avrebbe potuto attivare i suoi poteri officiosi e che la stessa controparte processuale non aveva mai svolto contestazioni a riguardo della autenticità della depositata sentenza.

2. – Occorre premettere che il ricorso per cassazione, – alla stregua dei requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., – deve assolvere al principio di autosufficienza e, così, contenere tutti gli elementi necessari ad integrare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza ed a consentire, altresì, la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6; v., ex plurimis, Cass., 13 novembre 2018, n. 29093; Cass., 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. Sez. U., 25 marzo 2010, n. 7161; Id., 2 dicembre 2008, n. 28547; Id., 31 ottobre 2007, n. 23019).

Si è, quindi, rimarcato che, lo stesso esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Corte di Cassazione nel caso (qui ricorrente) di deduzione di un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di ricorso, così che il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione, per il principio di autosufficienza, deve essere contenuta nello stesso ricorso, nè può risolversi in un mero rinvio agli atti processuali (cfr., ex plurimis, Cass., 29 settembre 2017, n. 22880; Cass., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass., 30 settembre 2015, n. 19410; Cass., 2 dicembre 2014, n. 25482; Cass., 10 novembre 2011, n. 23420; Cass., 16 ottobre 2007, n. 21621; Cass., 20 settembre 2006, n. 20405).

3. – Tanto premesso, rileva la Corte che il primo motivo di ricorso, – che pur prospetta profili di inammissibilità, – è destituito di fondamento.

Come correttamente rilevato dal giudice del gravame, “le conseguenze giuridiche derivanti dall’esecuzione della formalità del pignoramento immobiliare – costituite dai particolari obblighi e divieti imposti al proprietario del cespite – non escludono la applicazione a suo carico dell’Ici in quanto il presupposto impositivo viene a mancare (rectius, a migrare nella sfera giuridica dell’assegnatario) soltanto all’atto dell’emissione del decreto di trasferimento del bene.” (così Cass., 7 marzo 2013, n. 5736).

Alla stregua del ripercorso principio di diritto, che il Collegio condivide, alcun rilievo assumono, quindi, la datazione della “denuncia del contribuente” (relativa agli immobili tassati) e dello stesso “orientamento giurisprudenziale… posto a base della sentenza di appello”, – così come la dedotta circostanza che gli immobili “erano già stati posti in vendita”, – rispetto all’identificazione del presupposto, e del soggetto passivo, del tributo (qual disciplinati dalla legge), rilevando, dunque, che (solo) la perdita del diritto di proprietà (per decreto di trasferimento) si fosse, nella fattispecie, perfezionata prima del periodo di imposta (anno 2001) ora in contestazione.

Va, peraltro, rimarcato che il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche in quanto il “vizio di motivazione in diritto” rimane irrilevante ex se siccome da ricondurre all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e, quanto all’erronea motivazione (“quando il dispositivo sia conforme al diritto”), al potere correttivo della Corte (art. 384 c.p.c., comma 4; v., ex plurimis, Cass., 9 giugno 2006, n. 13435; Cass., 8 agosto 2005, n. 16640; Cass. Sez. U., 17 novembre 2004, n. 21712; Cass., 19 luglio 2004, n. 13358; Cass., 6 agosto 2003, n. 11883).

Rilievo, quello in discorso, che a maggior ragione consegue dalla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (secondo il cui disposto rileva, ora, l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), – qual conseguente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, (applicabile nella fattispecie, posto che la gravata sentenza è stata pubblicata il 27 ottobre 2014), – alla cui stregua la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che lo stesso omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.” (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

4. – I residui motivi risultano, per converso, inammissibili.

In violazione del sopra ripercorso principio di autosufficienza, difatti, il ricorrente non dà specifico conto del contenuto nè del ricorso introduttivo del giudizio nè dei motivi di appello che, – alla stregua del testo della gravata sentenza, – non includevano (anche) la denunciata “difformità di trattamento tra due identiche vertenze operata dal primo giudice” (cfr. Cass., 20 agosto 2015, n. 17049; Cass., 17 agosto 2012, n. 14561).

All’inammissibilità del secondo motivo di ricorso consegue, quindi, quella del terzo e del quarto motivo, che, al pari dei precedenti, impropriamente evocano l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; motivi, questi, con i quali si denuncia l’erronea interpretazione di una domanda (di riforma della sentenza di prime cure), – col conseguente malgoverno della disciplina dei mezzi di prova, – che, per quanto appena rilevato, non risulta esser stata proposta.

4.1 – Considerato, poi, che, ad ogni modo, non è dato individuare un “affidamento del contribuente riferito al tributo 2001”, a fronte di condotta (autotutela amministrativa) tenuta in epoca ben successiva al perfezionamento del presupposto impositivo (e degli obblighi di adempimento), – e che, per come deduce lo stesso ricorrente, la sentenza posta a fondamento del motivo di appello non esaminato aveva un contenuto esclusivamente processuale (e non recava alcun accertamento sul contestato potere impositivo), – nella fattispecie, risultando il dispositivo conforme a diritto (art. 384 c.p.c., comma 4), – si porrebbe (solo) l’esigenza di una correzione della motivazione della gravata sentenza (cui non è di ostacolo il denunciato error in procedendo; v., ex plurimis, Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962) posto che, come detto, il dispositivo è conforme a diritto e la correzione (anch’essa solo in diritto) non implica valutazioni di fatto (v., ex plurimis, Cass., 6 settembre 2017, n. 20806; Cass., 25 ottobre 2013, n. 24165; Cass., 18 marzo 2005, n. 5954; Cass., 16 maggio 1998, n. 4939).

5. – Alcunchè va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità, in difetto di attività difensiva di parte intimata, ma va dato atto che nei confronti del ricorrente ricorrono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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