Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34590 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 30/12/2019), n.34590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 5566-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI i2, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che presenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.C. & C. DI C.V., A. E F. SAS,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI ANDREA BADOERO 82, presso lo

studio dell’avvocato MARIA PAOLA DI NICOLA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI POMARICO giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6301/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 6301/22/14, depositata il 22 ottobre 2014, la Commissione tributaria regionale del Lazio, previa riunione delle impugnazioni separatamente proposte, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della B.C. & C. S.a.s., di C.V., C.A. e C.F., rideterminava il classamento di un’unità immobiliare (iscritta in catasto al fol. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), sub (OMISSIS)) nella categoria C/1, classe 2.a e, a caduta, l’ICI dovuta al Comune di Roma relativamente (alla rendita catastale così rideterminata e) ai periodi d’imposta dal 2005 al 2007.

A fondamento del decisum, il giudice del gravame ha rilevato che:

– l’appello principale, autonomamente proposto dalla stessa B.C. & C. S.a.s., risultava inammissibile in difetto del suo deposito (in copia) presso la segreteria del giudice a quo;

– ciò non di meno, andava esaminato l’appello incidentale (tempestivamente) proposto, nel giudizio riunito, dalla stessa società (con controdeduzioni depositate il 12 novembre 2013) in quanto, a quel momento, non era stata ancora rilevata l’inammissibilità dell’appello principale autonomamente proposto (con conseguente consumazione dell’impugnazione);

– l’appello incidentale, – col quale veniva richiesto, in via subordinata, il classamento nella categoria C/1, classe 1.a, – non introduceva un nuovo thema decidendum, – rispetto alla questione principale dedotta che involgeva il classamento nella (inferiore) categoria (C/2), – e risultava parzialmente fondato, posto che l’unità immobiliare andava classata nella classe 2.a (della categoria C/1) tenuto conto “delle incontestate caratteristiche strutturali… che ne riducono stabilmente il pregio, rappresentate dall’assenza di accesso diretto dalla strada e dall’assenza di vetrine (caratteristiche non considerate nella richiamata stima dell’Agenzia)”;

– le ragioni di accoglimento dell’appello incidentale davano conto dell’infondatezza dell’appello principale proposto da Roma Capitale in ordine alla (mera) quantificazione della rendita catastale (in Euro 25.215,23 piuttosto che nell’importo di Euro 25.183,99 correlato, dal primo giudice, al classamento nella categoria C/1, classe 4.a).

2. – L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la B.C. & C. S.a.s., di C.V., C.A. e C.F. (in prosieguo: la società).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., e della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 3, assumendo, in sintesi, che, in ragione del passaggio in giudicato di pregressa pronuncia (n. 11938/30/2014), – resa in giudizio di impugnazione di cartelle esattoriali (relative all’iscrizione a ruolo dell’ICI dovuta per gli stessi periodi di imposta ora in contestazione) nel cui ambito la contribuente aveva (ancora una volta) contestato (anche) il classamento dell’unità immobiliare (in categoria C/1, classe 5.a), – il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare l’efficacia ultrattiva di detto giudicato (con conseguente preclusione del riesame della rendita catastale di riferimento), così allo stesso conformandosi.

Il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, reca denuncia di erronea applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, e degli artt. 295 e 337 c.p.c., sul rilievo che, in relazione alla pendenza della impugnazione proposta avverso gli avvisi di accertamento per gli anni dal 2000 al 2004, impugnazione, questa, definita, in grado di appello, con la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 326/01/12, che aveva rigettato il gravame proposto dalla società, odierna controricorrente, “la CTR avrebbe dovuto attenersi a tale decisione proprio per evitare di determinare la contraddittorietà dei giudicati, come del resto accaduto”.

Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 327 c.p.c., deducendo che, – venendo in considerazione un processo introdotto con ricorso notificato il 14 luglio 2009, – nella fattispecie trovava applicazione la rimodulazione (in sei mesi) del termine lungo di impugnazione previsto dal cit. art. 327, (qual novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17), così che (anche) l’appello incidentale della società avrebbe dovuto ritenersi inammissibile (per tardività), in relazione alla pronuncia di prime cure (n. 230/33/12) pubblicata il 2 luglio 2012, ed a fronte di controdeduzioni depositate il 12 novembre 2013.

Il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione (per extrapetizione) dell’art. 112 c.p.c., sul rilievo che la società aveva contestato “la sola attribuzione della categoria C/1 anzichè C/2”, senz’alcuna deduzione quanto “all’attribuzione della classe”, peraltro “accettando la variazione da classe 5 a classe 4 disposta dall’Amministrazione in via di autotutela”.

2. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

2.1 – Rileva, difatti, la Corte che il motivo non è autosufficiente (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), posto che la pronuncia, che si assume integrare il giudicato, viene riprodotta solo in un suo stralcio, e senz’alcun contestuale deposito del documento in allegato al ricorso (v. Cass., 30 aprile 2010, n. 10537).

Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in tema di giudicato esterno, viene declinato dalla Corte sotto i due (ricorrenti) profili che involgono la necessità:

– della trascrizione della sentenza che costituisce giudicato (non essendo sufficiente la riproduzione di stralci ovvero del suo solo dispositivo: cfr. Cass., 31 maggio 2018, n. 13988; Cass., 8 marzo 2018, n. 5508; Cass., 23 giugno 2017, n. 15737; Cass., 11 febbraio 2015, n. 2617; Cass., 16 luglio 2014, n. 16227; Cass., 30 aprile 2010, n. 10537; Cass., 13 marzo 2009, n. 6184; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26627; Cass. Sez. U., 27 gennaio 2004, n. 1416);

– dell’indicazione del momento, e della sede processuale, di produzione della sentenza passata in giudicato (v. in particolare, Cass., 8 marzo 2018, n. 5508; Cass., 13 marzo 2009, n. 6184; Cass. Sez. U., 27 gennaio 2004, n. 1416).

Va, per di più, rimarcato che, alla stessa stregua dello stralcio di motivazione riassunto in ricorso, il giudicato si sarebbe formato quanto alla (sola) categoria catastale (C/1) dell’immobile, posto che la pronuncia non reca alcun riferimento alla conseguente classe (laddove, nel giudizio in trattazione, il giudice del gravame ha confermato il classamento nella detta categoria C/1).

3. – Il terzo motivo, – dal cui esame consegue l’assorbimento dei residui motivi di ricorso, – è, per converso, fondato e va accolto.

3.1 – Secondo un consolidato principio di diritto, – fondato sul D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60, (“L’appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge.”), disposizione, questa, che riproduce il testo dell’art. 358 c.p.c., (“L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge.”), – la preclusione alla riproposizione dell’appello (la consumazione del potere di impugnazione) si verifica (solo) se l’appello “è dichiarato” inammissibile.

Viene, così, in rilievo il principio di consumazione dell’impugnazione e, si aggiunge, detta consumazione non si verifica (in difetto di una pronuncia di inammissibilità) a condizione che il secondo appello, – destinato a sostituire il primo (non ancora dichiarato inammissibile), – risulti tempestivo in rapporto al termine breve, che, – in caso di mancata notificazione della sentenza, decorre dalla data di proposizione del primo atto di appello, proposizione che equivale alla conoscenza legale della decisione da parte dell’impugnante (cfr. Cass., 28 febbraio 2018, n. 4754; Cass., 11 luglio 2012, n. 11762; Cass., 7 luglio 2010, n. 16052; Cass., 22 maggio 2006, n. 11994).

Rilievo, quest’ultimo, che di recente è stato ribadito dalle Sezioni Unite della Corte, le quali hanno statuito che la notifica dell’appello dimostra la conoscenza legale della sentenza da parte dell’appellante, sicchè la notifica da parte sua di un nuovo appello anteriore alla declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del primo deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data del primo appello (Cass. Sez. U., 9 giugno 2016, n. 12084).

3.2 – In relazione, quindi, alla disciplina processuale in trattazione, si è rilevato che la “riproposizione del ricorso inammissibile od improcedibile, consentita, tanto nella forma di un nuovo ricorso autonomo, quanto in quella del ricorso incidentale (quando sia sopravvenuta l’impugnazione di altra parte), fino a che non sia intervenuta pronuncia giudiziale di inammissibilità od improcedibilità, è soggetta, in difetto di notificazione della sentenza, al termine breve decorrente dalla data della notificazione dell’impugnazione da rinnovare, atteso che tale notificazione deve ritenersi equipollente, al fine della conoscenza legale della sentenza da parte dello impugnante, alla notificazione della sentenza medesima” (v. già, Cass. Sez. U., 20 maggio 1982, n. 3111); nonchè che è “inammissibile l’appello incidentale tardivo, che riproponga le medesime censure già introdotte dalla stessa parte mediante l’appello principale, sebbene proposto prima che l’originario gravame fosse dichiarato inammissibile perchè, qualora sia decorso il termine utile per l’impugnazione principale, non trova applicazione il principio desumibile dall’art. 358 c.p.c., secondo cui la consumazione del diritto di impugnazione si verifica solo se, al momento dell’introduzione del nuovo gravame, sia già intervenuta la dichiarazione d’inammissibilità o improcedibilità di quello precedente.” (così Cass., 22 maggio 2018, n. 12584; v. altresì, negli stessi sostanziali termini, Cass., 13 settembre 2013, n. 20981 che, nel rilevare, nella concreta fattispecie, il decorso (anche) del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., – ha ritenuto che perdesse di rilievo “l’ulteriore questione della soggezione o non del secondo gravame al termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., in forza del c.d. effetto bilaterale della notifica dell’impugnazione, che vale per la stessa parte impugnante come equipollente della notifica della sentenza ex art. 326 c.p.c.”).

3.3 – Nella fattispecie, a fronte della sentenza di prime cure depositata il 2 luglio 2012, la società, – proposto un primo appello (principale) in data 18 settembre 2013 (quello dichiarato inammissibile), – si era, poi, costituita in giudizio, sull’appello principale proposto da Roma Capitale, spiegando appello incidentale con controdeduzioni depositate il 12 novembre 2013; così che viene in considerazione un appello incidentale tardivo alla stregua tanto del termine lungo annuale già previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, nella formulazione previgente alla modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, (posto che detto termine annuale andava a scadere il 2 ottobre 2013, tenuto conto dei 17 giorni cadenti nel mese di agosto del periodo feriale relativo all’anno 2013, e della loro decorrenza dal 16 settembre 2013), quanto del termine breve (di 30 gg.) maturato alla data del 18 ottobre 2013 (artt. 325 e 326 c.p.c.).

4. – La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in ragione della rilevata inammissibilità dell’appello principale e di quello incidentale, va confermata la sentenza resa nel primo grado del giudizio.

Le spese del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti tenuto conto dell’evolversi della vicenda processuale.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, inammissibile il primo ed assorbiti i residui motivi, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, conferma la sentenza resa nel primo grado del giudizio. Compensa integralmente, tra le parti, le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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