Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3459 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 15/02/2010), n.3459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20091-2007 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

CHIARA, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L.;

– intimato –

e sul ricorso 21478-2007 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANGELOZZI GIOVANNI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 114 7/2 006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/07/2006 R.G.N. 6247/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

Udito l’Avvocato ANGELOZZI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 7.2/10.7.2006 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza resa dal Tribunale presso la stessa sede il 27.2.2002, impugnata da F.L., dichiarava il diritto del F. al ricalcolo dell’indennità di anzianità, del TFR e degli istituti indiretti (13^, 14^ e ferie) con inclusione dei compensi percepiti per il lavoro straordinario svolto.

Osservava in sintesi la corte territoriale, quanto all’accordo del 22.6.1974, che la clausola di assorbibilità, ivi prevista, riguardava solo i compensi connessi all’aumento di produttività, e non anche allo svolgimento di lavoro straordinario;

quanto al computo del TFR, delle retribuzioni a periodicità ultramensile e delle ferie, che i compensi per lo svolgimento del lavoro straordinario dovevano includersi nella base di calcolo di tali istituti sulla base del criterio omnicomprensivo adottato dalla contrattazione collettiva, trattandosi di compensi erogati secondo il principio di corrispettività ed a titolo di retribuzione adeguata;

quanto all’eccezione di prescrizione, che il credito per il TFR maturava con decorrenza solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato spa con cinque motivi.

Resiste con controricorso F.L., il quale ha anche proposto ricorso incidentale condizionato.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente prospetta violazione degli artt. 414, 164 e 156 c.p.c. rilevando che il ricorrente, nel promuovere il giudizio, non aveva introdotto elementi di prova o anche di sola mera allegazione sufficienti a fondare una domanda di ricalcolo del trattamento di fine rapporto con inclusione dello straordinario prestato: per cui correttamente il primo giudice aveva ritenuto la nullità del ricorso. Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, degli artt. 2120, 2934 e 2935 c.c., nonchè vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che la corte territoriale, nel rigettare l’eccezione di prescrizione, non aveva tenuto conto che, nel sistema della L. n. 297 del 1982, la cessazione del rapporto di lavoro non costituisce un elemento costitutivo del diritto al TFR, ma un mero requisito di esigibilità dello stesso.

Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 1362, 1363 e 2120 c.c., la società ricorrente si duole che la sentenza impugnata, nel rigettare l’eccezione di compensazione fra le somme eventualmente dovute per il ricalcolo dell’indennità di anzianità e del TFR e quanto corrisposto in virtù dell’accordo aziendale del 22.6.1974, aveva omesso di valutare la portata complessiva dell’accordo, fra le cui finalità era da ricomprendere anche la prevenzione di un futuro contenzioso in materia di determinazione dell’indennità di anzianità per effetto dell’inclusione dei compensi per lavoro straordinario.

Con il quarto motivo l’Istituto lamenta erronea interpretazione del contratto collettivo grafici dell’ottobre 1992, che aveva inteso espressamente escludere dalla retribuzione presa a base di calcolo per la determinazione del TFR i compensi per il lavoro straordinario, prevedendo, a differenza dei precedenti testi, che la nozione di retribuzione era riferibile non più a quanto complessivamente percepito dal dipendente per la sua prestazione lavorativa, ma a quanto erogato per l’attività svolta “nell’orario normale”.

Con il quinto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c. e della normativa contrattuale applicabile nella fattispecie, osservando che la corte territoriale aveva omesso di considerare che, in tema di computabilità dello straordinario nella base di calcolo degli istituti indiretti, non esiste nel nostro ordinamento un principio generale di omnicomprensività della retribuzione, e che le previsioni della contrattazione collettiva che regolavano gli istituti in questione prevedevano la loro determinazione su base fissa, non collegata a emolumenti, quali lo straordinario, a carattere variabile.

Con ricorso incidentale condizionato, infine, il controricorrente reitera l’eccezione di prescrizione del credito vantato dalla società ricorrente con riferimento all’accordo del 22.6.1974, nonchè la decadenza dalla proponibilità dell’azione di annullamento dell’accordo in questione per decorso del termine quinquennale ex art. 1442 c.c., e comunque, l’inesistenza del credito stesso.

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella controversia ratione temporis, in quanto il ricorrente non ha adempiuto all’onere della formulazione di un quesito, compiuto e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., n. 18759 del 2008; id, n. 3519 del 2008).

Nella specie il quesito è formulato in termini generici, essendo riferito alla astratta ipotesi della nullità del ricorso, senza indicazione della compiuta ratio decidendi e della violazione specificamente addebitabile alla pronuncia impugnata, e non contiene alcun adeguato riferimento alla fattispecie, tanto più necessario in assenza di una riproduzione della statuizione censurata che sia idonea a far emergere la res oggetto del giudizio in relazione alla ritenuta esclusione della nullità del ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c.; nè, d’altra parte, sarebbe consentito desumere tali elementi dal contenuto del motivo (cfr. Cass., sez. un., n. 20409 del 2008).

Il secondo motivo è infondato.

Per come questa Suprema Corte ha già precisato in analoghe controversie, il lavoratore può far valere il diritto al trattamento di fine rapporto, distintamente, mediante l’azione di accertamento, fin tanto che persista l’interesse ad eliminare uno stato di incertezza in ordine alle modalità di maturazione del trattamento (sia nel caso in cui la composizione della base di computo del trattamento di fine rapporto sia stata conosciuta mediante la comunicazione degli accantonamenti, sia in quello in cui tale composizione possa venire in discussione a seguito dell’eventuale erogazione di anticipazioni), e mediante l’azione di condanna, una volta che il rapporto sia cessato e si intenda ottenere la liquidazione dello stesso; allorchè venga proposta, come nella specie, quest’ultima azione, diretta ad una diversa liquidazione mediante il ricalcolo dell’indennità, l’interesse ad agire, identificandosi, non tanto con l’eliminazione di uno stato di incertezza che si protrae de die in diem, quanto con il ricevimento di una somma di denaro in conseguenza di un inesatto adempimento, sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, cui sono subordinate, oggettivamente, l’esistenza del diritto e la proposizione dell’azione, si che soltanto da tale momento può decorrere la prescrizione (cfr. Cass. n. 11536 del 2006, ed altre conformi).

Anche il terzo motivo è infondato.

In relazione all’accordo aziendale del giugno 1974 la Corte di merito ha escluso che le clausole invocate dalla società ricorrente, e particolarmente il cd. punto A), possano fondare un credito del datore di lavoro, tale da determinare la compensazione con il credito vantato dai lavoratori, ovvero un eventuale saldo in favore della società, in relazione alla previsione di “assorbibilità” di compensi riconosciuti come corrispettivo dell’aumento dei ritmi di produzione.

Tale conclusione si fonda sull’interpretazione dell’accordo (riservata al giudice di merito in ragione della sua efficacia limitata, diversa da quella propria degli accordi collettivi nazionali oggetto di esegesi diretta da parte di questa Corte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006) e, in particolare, è stata giustificata facendo riferimento al tenore letterale e alla ratio della clausola invocata, avendo i giudici d’appello rilevato, in particolare, che la eventualità di un assorbimento di compensi relativi al ritmo della produzione non potesse che riguardare compensi analoghi, riguardanti comunque la produttività, e fosse estranea, invece, ai compensi percepiti dai lavoratori per la prestazione di lavoro straordinario;

d’altronde, hanno anche osservato i giudici d’appello, un effetto “ablativo” del tfr, realizzato per via della mancata inclusione dei compensi per prestazioni straordinarie, avrebbe determinato una reformatio in pejus incompatibile con le disposizioni imperative della L. n. 297 del 1982.

Alla luce di tali considerazioni, le osservazioni critiche svolte in ricorso appaiono, quindi, sostanzialmente indirizzate a sostenere un diverso risultato interpretativo, in quanto preferibile a quello accolto nella sentenza censurata, ma in contrasto col consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) ovvero per vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), fermo l’onere del ricorrente di indicare specificamente il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendosi, invece, limitare a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative o, comunque, diverse rispetto a quelle proposte dal giudice di merito, dal momento che il controllo di logicità del giudizio di fatto non può risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata.

Verificato l’impiego corretto dei canoni ermeneutici alla stregua delle censure proposte dal ricorrente, resta esclusa, quindi, la possibilità di un diretto esame del diverso risultato interpretativo proposto dalla parte ricorrente, avendo la corte di merito, fra l’altro, escluso la configurabilità di una transazione – per mancanza dell’aliquid datum atque retentum – in considerazione dell’accertata eterogeneità dei compensi (per la produttività e per lo straordinario), di per se incompatibile col sinallagma negoziale prospettato dalla datrice di lavoro; intento transattivo che, comunque, per risolversi nel vizio denunciato, non potrebbe che rilevare sul piano della comune volontà delle parti ed essere desunto in funzione di ciò che nelle clausole dell’accordo appare obiettivamente voluto, si da risolvere ogni eventuale dubbio nell’unità di intento che la formula contrattuale è capace di esprimere.

Il quarto motivo, con il quale si prospetta l’erronea interpretazione del contratto collettivo dei grafici del 1992, è, invece, improcedibile, non potendosi in questa sede provvedere alla valutazione della correttezza dei risultati interpretativi cui è pervenuto il giudice di merito, come anche dell’insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo la parte ricorrente depositato il contratto collettivo de quo, la cui produzione – nella sua interezza e non soltanto per alcuni stralci – è imposta, appunto a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 allorchè si tratti, come nella specie, di contratti collettivi nazionali di diritto privato, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte con indirizzo ormai consolidato (cfr. Cass. n. 28305 del 2009, n. 28306 del 2009 e altre conformi, nonchè Cass. n. 19560 del 2007 e altre conformi con riferimento all’art. 420-bis c.p.c.; circa la riferibilità della previsione ai contratti collettivi di diritto comune e la ratio sottesa alla sanzione processuale, cfr. Cass., sez. un., n. 23329 del 2009).

Merita, in particolare, di essere ribadito che la funzione di nomofilachia, demandata alla Corte di Cassazione e perseguita dalle disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, sarebbe pregiudicata ove si ritenesse che nell’ipotesi di ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., n. 3 l’interpretazione debba essere limitata alle clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito, mentre nel caso previsto dall’art. 420 bis c.p.c. (norma – giova rilevare – che non indica il tipo di controllo cui la Corte deve procedere quando è investita del ricorso per saltum sulla questione pregiudiziale, dandolo per presupposto proprio in base al precedente art. 360 c.p.c., n. 3) l’interpretazione si possa svolgere senza alcuna limitazione, reperendo nel contratto altre clausole, non esaminate, che però potrebbero risolvere ogni margine di incertezza. Ne deriverebbe il rischio di sentenze contrastanti, recanti, cioè, interpretazioni diverse sulla medesima questione e sulla base della medesima contrattazione collettiva, stante il diverso grado di affidabilità delle une rispetto alle altre, a causa della completezza o meno dell’indagine che la Corte ha svolto.

Ne consegue che deve confermarsi che la norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 la quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilità, non consente deroghe e preclude il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare.

La medesima improcedibilità occorre rilevare anche rispetto al quinto motivo, in difetto di produzione dei contratti collettivi su cui si fonda la censura relativa alla ritenuta incidenza dello straordinario anche sulle mensilità supplementari.

Nelle conclusioni che precedono resta assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dall’intimato.

11 ricorso principale va, pertanto, rigettato, mentre va dichiarato assorbito quello incidentale condizionato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno distratte in favore del procuratore, che se ne è dichiarato anticipatario.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 51,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA, distraendole in favore del procuratore.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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