Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3459 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3459 Anno 2014
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 8620-2008 proposto da;
SALA PIETRO ANTONIO SRL in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIALE CARSO 34, presso lo studio dell’avvocato
BARTOLI SALVATORE, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;
– ricorrentecontro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 14/02/2014

- controricorrente nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI DESIO I;

intimato

avverso la sentenza n. 10/2007 della COMM.TRIB.REG. di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/06/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato BARTOLI che si
riporta;
udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

MILANO, depositata il 19/02/2007;

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’Ufficio di Desio, rilevata l’omessa presentazione della dichiarazione IVA da parte della Sala
Piero Antonio s.r.l. per l’anno 1999, ricostruiva induttivamente il volume di affari della società ai
sensi dell’art.55 DPR n.633/1972, determinando l’IVA omessa in £.78.948.000, oltre le sanzioni.
2. La società contribuente impugnava l’accertamento innanzi alla CTP di Milano e nelle more
l’Ufficio riduceva, in autotutela, la pretesa originariamente determinata, riconoscendo un credito
del contribuente di £.40.934.000 -indicato dalla società nel modello F24 per l’anno 2000- e

dalle vendite.
3.La CTP, all’esito del giudizio di primo grado, determinava l’imposta dovuta dalla contribuente in
euro 19.632,59.
4. La società contribuente proponeva appello innanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza
pubblicata il 19 febbraio 2007, confermava la decisione impugnata.
4.1 Osservava la CTR che in ragione dell’omessa dichiarazione IVA l’Ufficio aveva dapprima
effettuato un accertamento induttivo – determinando il ricavo annuo e l’IVA conseguentemente
dovuta – alla luce della media dei ricavi dichiarati nel triennio precedente e, successivamente,
ridotto l’originaria pretesa fiscale oggetto dell’avviso di accertamento in forza del credito emerso
dai dati forniti dalla società.
4.2 Aggiungeva che l’ulteriore presunto credito di £.218.000.000 indicato dalla società non trovava
alcuna fonte in una documentazione tempestivamente prodotta, risultando pertanto infondata la tesi
difensiva della società.
5. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, al quale hanno
resistito l’Agenzia delle entrate ed il Ministero delle Finanze con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
6.0ccorre muovere dall’esame congiunto del primo e del terzo motivo. Con il primo motivo la
società contribuente ha dedotto l’omessa motivazione della prova del credito IVA fornita dalla
stessa fin dal primo grado del giudizio e, segnatamente, le dichiarazioni mensili di liquidazione
IVA, il registro IVA degli acquisti, il registro dei beni strumentali, le fatture di acquisto. Lamenta
che la omessa valutazione del materiale probatorio tempestivamente offerta alla CTR integrava il
vizio di motivazione rispetto al fatto controverso del giudizio.
7. Con il terzo motivo la società contribuente lamenta l’errata interpretazione degli artt.27 e 55
comma 1 dpr n.633/72, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che l’Ufficio non aveva
tenuto conto, ai fini delle operazioni IVA a credito, delle liquidazioni periodiche ai fini IVA, delle
quali l’Ufficio stesso aveva dato atto nell’avviso di accertamento, dalle quali emergeva un credito di
imposta regolarmente annotato nelle scritture contabili obbligatorie ai fini IVA di
1

risultante dalla differenza tra l’ammontare dell’IVA assolta sugli acquisti e quello dell’IVA derivante

£218.000.000.Evidenziava che la giurisprudenza di questa Corte e la stessa Amministrazione delle
Finanze- con circolare del 30 novembre 2000- avevano riconosciuto il diritto al credito IVA
risultante dalle dichiarazioni mensili, venendo il credito meno solo per i casi di operazioni non
registrate o comunque non risultanti dalle liquidazioni periodiche.
8. Le controricorrenti hanno preliminarmente evidenziato la carenza di legittimazione passiva del
Ministero delle Finanze, essendosi il giudizio di appello svolto esclusivamente nei confronti
dell’Agenzia delle Entrate e l’inammissibilità dei motivi proposti, in quanto il primo quesito non

di merito inammissibile in sede di legittimità.
9. Le doglianze ora menzionate, stante l’omogeneità della questione di base posta dalla parte
ricorrente, meritano un esame congiunto. Il primo motivo è inammissibile, non cogliendo la ratio
decidendi posta a base della decisione, mentre il secondo è fondato, nei termini di seguito
specificati.
9.1 Ed invero, il giudice di appello, nell’escludere di potere considerare il presunto credito di
218.000.000 delle vecchie lire, ha espressamente affermato che lo stesso “non trovava alcuna fonte
in una documentazione tempestivamente prodotta…”.
9.2 In altri termini, il giudicante non ha omesso di ponderare il materiale probatorio offerto dalla
società contribuente, ma ha ritenuto che il credito preteso non trovava alcuna fonte in una
documentazione tempestivamente prodotta. Così facendo, il giudicante mostra di avere considerato
non sufficiente le liquidazioni IVA periodiche sulle quali, per contro, la società aveva fondato il
proprio assunto difensivo al fine di ottenere la riduzione della pretesa azionata dall’Ufficio.
9.3 Ciò consente di escludere che possa prospettarsi il vizio di motivazione nella forma esposta
dalla società contribuente, semmai palesandosi una violazione di legge correlata al mancato esame
di documentazione che potrebbe, al contempo, giustificare la fondatezza del credito.
10. Quanto alla terza censura la stessa, ritualmente proposta ad onta di quanto prospettato dalle
controricorrenti, è fondata.
10.1 Ed invero, questa Corte —Cass. n.20040/11- non ha mancato di precisare che l’inosservanza
dell’obbligo della dichiarazione annuale, preclude al contribuente, in forza della complessiva
disciplina dell’imposta, la possibilità di recuperare il credito d’imposta maturato in detta annualità
attraverso il trasferimento della correlativa detrazione nel periodo d’imposta successivo, pur se detto
credito sia stato regolarmente annotato nella dichiarazione mensile di competenza. Resta tuttavia
fermo, in applicazione dell’ art. 30 comma 2, il diritto del contribuente al soddisfacimento del
credito mediante rimborso (cfr. Cass. 21947/07, 11584/06, 16177/04, 19495/03, 1029/02, 1823/01),
ai fini del quale non rileva l’esposizione del credito nella dichiarazione annuale, ma soltanto il suo
obiettivo riscontro documentale (cfr. Corte Giust. 11.7.2002, causa C-69/00, Liberexim BV, Cass.
2

conteneva l’indicazione del fatto controverso, mentre la terza doglianza riguardava una questione

22774/06, 2274/04).Ed infatti, in linea con quanto già ritenuto da Cass. n. 544/97(richiamata dalla
parte ricorrente) e Cass.3916/1998, non può ritenersi esistente la perdita del credito d’imposta nel
caso in cui il contribuente, che abbia regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca per
lui il credito ed operato la relativa detrazione nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la
dichiarazione annuale. Ciò perché, in forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 4 (testo
vigente ragione temporis), il diritto alla detrazione si perde solo quando questa non venga
computata sia nel mese di competenza che in sede di dichiarazione annuale-cfr.Cass.n.22250/11-.

dichiarazione annuale rende legittimo l’accertamento induttivo da parte dell’Ufficio, nel qual caso,
però, a seguito dell’impugnazione del contribuente, la detraibilità dei crediti di imposta risultanti
dalle dichiarazioni periodiche dovranno essere valutate dal giudice del merito che, quale giudice
del rapporto e non solo dell’atto, deve procedere alla quantificazione della pretesa erariale,
annullando eventualmente “in parte qua” il suddetto accertamento.
10.3 Orbene, la CTR non si è conformata ai principi sopra esposti, ritenendo che la dichiarazione
annuale dell’IVA costituisse condizione ineludibile per il riconoscimento del credito indicato dalla
parte contribuente.
11. Con il secondo motivo la società ha dedotto la violazione degli artt.55 DPR n.633/1972, in
relazione all’art.360 comma 1 n.53 c.p.c.
11.1 Lamenta che la CTR aveva riconosciuto la legittimità della pretesa fiscale malgrado l’assenza
dei presupposti per l’applicazione dell’accertamento induttivo, essendo tutti gli atti e documenti in
possesso dell’amministrazione, in ogni caso risultando che la dichiarazione UNICO 2000 per il
1999 era stata inviata nei termini.
11.2 Ritiene dunque che il ricorso alla media del volume di affari prodotto nel triennio precedente
era illegittimo, non essendovi nel provvedimento alcuna indicazione dei fatti che avrebbero dovuto
giustificare la legittimità della pretesa.
12. Le controricorrenti hanno dedotto che la censura non si riferiva in alcun modo all’eventuale
attendibilità e congruità del metodo induttivo utilizzato per l’accertamento.
13. La doglianza è in parte infondata ed in parte inammissibile.
13.1 E’ sicuramente errata la prospettiva, ventilate dalla parte contribuente, che tende ad escludere
la legittimità dell’accertamento induttivo posto in essere dall’Ufficio. E’ infatti pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte il principio a cui tenore nell’ipotesi di omessa presentazione della
dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita gli Uffici finanziari a servirsi di qualunque
elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo
induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei
requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sul presupposto
3

10.2 Deve dunque concludersi nel senso che l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della

ONE
Ai

dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti-cfr.Cass. n.
5228 del 30/03/2012-.
13.2 Non può, invece, passare al vaglio della Corte la questione relativa alla congruità del metodo
utilizzato dall’Ufficio per determinare il volume d’affari operato sulla base della media triennale. A
ciò osta, anzitutto, in rito, l’assenza di apposita indicazione di tale questione nel quesito di diritto —
nel quale manca, pure ogni riferimento ad ulteriori prospettate illegittimità della decisione
all’interno del motivo- e, nel merito, l’impossibilità di questa Corte di sostituirsi alla CTR nella

contestata sotto il profilo dell’incongruità o manifesta illogicità della motivazione addotta dal
giudice di merito. Circostanza che nel caso di specie, non è stata minimamente posta in discussione
dalla parte contribuente.
14. In conclusione, previa declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero
delle Finanze, carente di legittimazione passiva e compensazione delle spese del giudizio di
legittimità in parte qua-in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con
rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia perché provveda a vagliare l’esistenza dei
presupposti, sanciti dall’art.30 d.lgs.n.546/1992, per il riconoscimento del credito allegato dalla
parte contribuente pari a 218.000.000 delle vecchie lire.
P.Q.M.
La Corte
Dichiara l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti del Ministero delle
Finanze e compensa le spese fra il Ministero e la parte ricorrente.
Accoglie il terzo motivo, rigettati i primi due.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia per nuovo esame,
la quale pure provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 3 giugno 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte.

valutazione degli elementi offerti dall’Ufficio a sostegno della pretesa le quante volte essa non sia

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