Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34583 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 17/10/2019, dep. 30/12/2019), n.34583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6619 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) società consortile a responsabilità limitata,

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.

Massimo Piacentino, elettivamente domiciliata in Roma, via Lucullo,

n. 3, presso lo studio dell’Avv. Nicola Adragna;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, n. 2428/30/2014, depositata in data 29

luglio 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 ottobre 2019

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo

il rigetto del ricorso;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Giovanni

Palatiello e per la società l’Avv. Nicola Adragna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dall’esposizione in fatto della sentenza censurata e dagli atti di causa si evince che: (OMISSIS) società consortile s.r.l. aveva presentato una richiesta di rimborso del credito Iva relativo al primo e secondo trimestre dell’anno 2009 in relazione all’esecuzione di lavori di potenziamento delle opere marittime per la messa in sicurezza del porto di (OMISSIS); il credito Iva derivava dal fatto che, essendo i servizi prestati nei porti esenti Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 6), anche le fatture relative al ribaltamento dei costi dalla società consortile alle società consorziate erano state emesse in regime di non imponibilità dell’Iva; l’Agenzia delle entrate aveva emesso un provvedimento di diniego del rimborso per mancanza dei presupposti, avverso il quale la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Trapani che lo aveva accolto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 6), subordina l’applicabilità del regime di favore in materia d’Iva unicamente alla destinazione della prestazione; l’affermazione secondo cui il suddetto regime di favore non competerebbe alla società consortile costituita per l’esecuzione dell’appalto aggiudicato al raggruppamento di imprese non trovava fondamento logico e giuridico, sicchè, venendo in considerazione solo il contratto di società, che regola i diritti ed i doveri della società nei confronti delle imprese socie, non sussisteva alcuna ragione per escludere che la società consortile potesse essere assoggettata ad un regime fiscale diverso da quello applicabile alle imprese socie, tenuto conto del fatto che, in materia di esecuzione di appalti di opere pubbliche, la società consortile, attesa la sua funzione meramente strumentale in favore dei consorziati, non assume la posizione di appaltatore, ma è una mera struttura operativa al servizio delle imprese che ne fanno parte, sicchè i costi sostenuti dalla società consortile, poi ribaltati sulle consorziate, costituiscono costi propri di queste, sostenute per mezzo della società consortile, sicchè, nei confronti del fisco, le operazioni di quest’ultima erano da considerarsi proprie delle consociate.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a un unico motivo di censura.

Si è costituito il fallimento della (OMISSIS) società consortile a responsabilità limitata depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 6, in quanto il regime agevolativo della suddetta previsione non può essere esteso anche alla società consortile che abbia operato con mandato senza rappresentanza, in quanto il subentro della stessa alle imprese appaltatrici nel contratto di appalto configura un autonomo rapporto giuridico, distinto da quello posto in essere tra l’ente appaltante e le imprese appaltatrici, le quali soltanto, quindi, possono avvalersi del regime di favore in esame, mentre la società consortile, in questo caso, opera come autonomo centro di imputazione al momento in cui procede al ribaltamento dei costi.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha affermato, il principio secondo cui “una società consortile costituita nelle forme di società di capitale per l’esecuzione di un appalto di opere pubbliche, ai sensi della L. 8 agosto 1977, n. 584 e art. 23 bis, succ. mod., non assume la posizione di appaltatore, che resta puntualizzata sulle imprese socie riunite, ma il più modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali imprese, con la conseguenza che, dal punto di vista tributario, le operazioni e i costi della società consortile sono direttamente riferibili alle società consociate: ne deriva che per le imprese socie costituiscono costi propri le spese affrontate per mezzo del consorzio, le quali, quindi, possono essere ad esse riaddebitate attraverso il principio del cosiddetto ribaltamento dei costi o riaddebito” (Cass. civ., 18 giugno 2008, n. 16410).

La suddetta pronuncia ha, altresì, precisato che “l’operazione di riaddebito (o ribaltamento), invero, costituisce, propriamente, l’adempimento dell’obbligo nascente dalla regolamentazione dei rapporti interni che trova la sua fonte giuridica ed il suo fondamento nel contratto costitutivo della società consortile, assunto nello stesso da ciascuna impresa socia nei confronti della società, oltre che nei rapporti reciproci tra imprese socie, di fornire alla società consortile le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione dei lavori” e che “a fini fiscali (unici che interessano la fattispecie), assume rilevanza solo la natura, propriamente “strumentale” della società consortile”, concludendo che i costi della società consortile “costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio” e “la società consortile, nei rapporti interni, è sempre e soltanto uno strumento operativo ma le sue operazioni, nei confronti del fisco, sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”.

In precedenza, questa Corte (cass. civ., 2 novembre 2001, n. 13582), aveva precisato che “la presenza di una società (consortile o no) costituita nelle forme di una società di capitali (e, come tale, soggetto passivo d’imposta ai fini IRPEG, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87), non esclude necessariamente la riferibilità alle singole società socie delle attività poste in essere per il suo tramite; in materia di esecuzione di appalti di opere pubbliche si prevede, infatti, che più imprese riunite in associazione temporanea possano costituire tra loro una società “anche consortile” per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, precisando che detta società “subentra, senza che ciò costituisca, ad alcun effetto, subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione totale o parziale del contratto”, lasciando ferma la responsabilità solidale delle imprese riunite nei confronti del committente (L. 8 agosto 1977, n. 584, art. 23 bis, aggiunto dalla L. 8 ottobre 1984, n. 687, art. 12, il cui contenuto è stato successivamente assorbito dal D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 26, e dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 96, attualmente in vigore); le inequivoche espressioni usate dal legislatore (“la società subentra… nell’esecuzione… del contratto”, “senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto”) stanno ad indicare che tale “subentro” non determina alcuna modificazione nella titolarità dei rapporti con il committente; la società, pertanto, non assume la posizione di appaltatore, che resta puntualizzata sulle imprese riunite, ma il più modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali imprese”; deve, pertanto, concludersi che i costi della società consortile “costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio” e “la società consortile, nei rapporti interni, è sempre e soltanto uno strumento operativo ma le sue operazioni, nei confronti del fisco, sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”.

Ad analoga conclusione, seppur in fattispecie speculare a quella in esame e a quella esaminata dalla pronuncia sopra richiamata, è pervenuta questa Corte con la sentenza n. 15330 del 2014, in cui si è affermato il principio secondo cui le agevolazioni fiscali (nella specie, l’esenzione IVA in favore dei danneggiati da eventi sismici, di cui al D.L. n. 799 del 1980, art. 5, convertito in L. n. 875 del 1980), vanno riconosciute “a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto tra consorzio e imprese consorziate e dalla doppia fatturazione, in favore dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori, in quanto tutti i diritti, gli obblighi, gli oneri e le responsabilità dell’operazione sono riconducibili a quest’ultima, sebbene parte del contratto di appalto sia il consorzio, la cui funzione, tuttavia, è meramente strumentale e di servizio”.

In tale pronuncia la Corte ha precisato che, seppur sia vero “che il rapporto consortile interno è stato per lo più declinato in termini di mandato senza rappresentanza ex art. 1705 c.c., in quanto caratterizzato dalla assunzione diretta, da parte del mandatario, del vincolo negoziale nei confronti dei terzi, con esclusione di un rapporto diretto fra questi e il mandante, salvo l’obbligo interno del primo di ritrasferire al mandante i corrispondenti diritti (Cass., sent. n. 24014 del 2013, n. 14780 del 2011 e n. 10590 del 2009)”, è anche vero “che il regime di responsabilità contemplato dall’art. 2615 c.c., (…) deroga al principio contenuto nell’art. 1705 c.c., (che prevede la responsabilità personale del mandatario entrato in rapporto col terzo), tanto che le concrete pattuizioni del negozio consortile registrano spesso (…) l’assunzione di ogni responsabilità in capo all’impresa consorziata”, ribadendo che le operazioni che compie il consorzio sono, nei confronti del fisco, operazioni proprie delle consociate che l’hanno costituita e che il consorzio nei rapporti interni è solo uno strumento operativo che adempie ai relativi obblighi mediante l’operazione c.d. di “riaddebito” o “ribaltamento”, sulle società consorziate, secondo i criteri di legge (specie quanto all’inerenza) o quelli legittimamente fissati dallo statuto (se non elusivi della causa consortile e delle relative norme fiscali)”.

Ad identiche conclusioni è pervenuta questa Corte nelle sentenze n. 18436, n. 18437, n. 18438 e n. 18439 del 2017, in cui si è osservato che “dalle considerazioni che precedono discende che i costi della società consortile costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio (cfr. Cass. n. 16410 cit.) e che, pertanto, la doppia fatturazione (nella specie, dal consorzio alle consorziate e da queste all’ente appaltante), formalmente imposta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, u.p., secondo cui “Le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario”, deve essere assoggettata allo stesso regime fiscale, la tesi opposta confliggendo con principi di ragionevolezza e con la natura stessa del consorzio, quando operante in regime di mutualità pura, ovvero come organismo di servizio meramente neutrale nell’attività di impresa dei consorziati, senza intenti lucrativi propri”.

A ciò va aggiunta l’ulteriore considerazione (Cass. civ., n. 15330/2014) secondo cui “volendo poi fare un parallelismo con il diverso piano delle esenzioni, la problematica in esame evoca il principio di accessorietà di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12, in quanto l’attività del Consorzio consiste sostanzialmente in prestazioni “intermedie” o accessorie alla prestazione di servizi principale (l’esecuzione delle opere, pacificamente agevolata), le quali sono effettuate per conto e a spese dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori (cfr. Ris. A.E. n. 230/E del 2002, che richiama l’orientamento della giurisprudenza comunitaria di cui a C. Giust. CE, 11 gennaio 2001, C-76/99, per cui la prestazione resa da terzi in una fase intermedia ad una prestazione esente può essere ritenuta accessoria – e quindi a sua volta esente a condizione che le due prestazioni formino un insieme indistinto, considerato nella globalità del servizio finale.

I suddetti riferimenti giurisprudenziali sono stati anche di recente ripresi e affermati da questa Corte (Cass. civ., 9 febbraio 2018, n. 3166), che ha precisato che “il precipitato argomentativo che discende dalle considerazioni che precedono non può che essere, quindi, quello secondo cui il principio di equivalenza dei rapporti giuridici tra imprese consorziate e società consortile e tra queste e l’ente appaltante impone l’unitarietà del regime fiscale della doppia fatturazione, con conseguente trasferibilità dell’agevolazione tributaria nell’ambito del meccanismo del cd. ribaltamento, per cui il regime fiscale della fattura originaria non può che essere il medesimo della fattura emessa nei confronti dei consorziati”.

Ne consegue il rigetto del ricorso, con compensazione delle spese in ragione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia.

Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei confronti dell’Agenzia delle entrate in quanto amministrazione dello Stato che opera con il meccanismo della prenotazione a debito.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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