Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34578 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 30/12/2019), n.34578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvat – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6177/2017 R.G. proposto da:

Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Maurizio

Cimetti e dall’Avv. Giuseppe Parente, elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’Avv. Pierluigi Giammaria, in Roma, via

Flaminia n. 135;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ope legis

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana n. 1358/2016, depositata i1 25 luglio 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 ottobre 2019

dal Cons. Salvatore Leuzzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avv. Valerio Moretti, delegato dell’Avv.

Giuseppe Parente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In forza di sentenza del Tribunale di Firenze n. 4033 depositata il 24 dicembre 1997, la S.E.T., in allora concessionario della riscossione per la Provincia di (OMISSIS), veniva condannata a rimborsare alcuni consorzi con riferimento all’IVA versata sui compensi dell’attività di riscossione dei contributi consortili.

A fronte di ciò, Equitalia – frattanto subentrata alla S.E.T., quale agente della riscossione – presentava all’Agenzia delle entrate varie istanze di rimborso avuto riguardo al torno di anni in questione (1991-1997).

Dette istanze venivano rigettate; gemmavano altrettanti ricorsi dell’agente della riscossione anzidetto, nel cui quadro si sosteneva l’inapplicabilità del termine decadenziale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

La CTP di Pisa, riuniti i ricorsi, li rigettava con sentenza n. 37/01/13.

Del pari, veniva respinto il successivo appello dell’agente della riscossione, che in sede di gravame insisteva sull’inapplicabilità del termine decadenziale summenzionato nonchè sull’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ne aveva ritenuto la decorrenza a far data dal pagamento, anzichè dall’emanazione della circolare ministeriale n. 52/E del 26 febbraio 1999.

Equitalia ha affidato il proprio ricorso per cassazione ad un unico motivo. L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, degli artt. 2033 e art. 2943 c.c., per avere la CTR trascurato di considerare che i pagamenti in controversia non erano avvenuti “spontaneamente” da parte dell’agente della riscossione, ma in virtù di un provvedimento coattivo di rimborso, rappresentato dalla sentenza n. 4003 del 1997, emessa dal Tribunale di Firenze.

Il motivo è privo di pregio e va disatteso.

Nel giudizio definito dalla sentenza or ora richiamata del giudice ordinario taluni consorzi convenivano la S.E.T. – cui è subentrata Equitalia – per sentirla condannare alla restituzione delle somme incassate a titolo di IVA, applicata sugli aggi dovuti per l’attività di esazione dei contributi consortili. Il tribunale toscano ha ritenuto che il servizio di riscossione dei contributi fosse da ritenersi escluso da imposizione IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, condannando l’agente a restituire ai consorzi di bonifica l’IVA sugli aggi anzidetti.

Questa Corte ha a più riprese evidenziato che “In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria è tenuta al rimborso dell’imposta anche dopo il decorso del termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, nel solo caso in cui il richiedente prestatore di un servizio abbia a sua volta effettivamente rimborsato l’imposta al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo, rispondendo tale soluzione al principio di effettività del diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia, sentenza 15 dicembre 2001, in C-427/10 (Cass. n. 1426 del 2016; Cass. n. 3627 del 2015). La Corte di giustizia con la sentenza del 15 dicembre 2011 (causa C- 427/10) ha ritenuto il principio di effettività del diritto comunitario non osta ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell’indebito che preveda un termine di prescrizione per il committente più lungo di quello di decadenza previsto per il prestatore del servizio, a meno che il soggetto passivo resti completamente privato del diritto di ottenere dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA non dovuta, ma solo se questo ha ad oggetto l’imposta che “egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi” in forza di un comando imperativo, e non già per qualsiasi imposta della quale il committente pretenda o abbia preteso il rimborso, nè per quella che il prestatore abbia rimborsato spontaneamente (Cass. n. 12666 del 2012; Cass. n. 6600 del 2012; Cass. n. 3627 del 2015).

Il profilo della non coattività del pagamento – su cui si incentra il motivo di ricorso – costituisce profilo già accertato con efficacia di giudicato, rilevabile ex officio da parte di questo Collegio.

Infatti, questa Corte ha ancor di recente osservato che “Il giudicato interno eventualmente formatosi a seguito della sentenza di primo grado può essere rilevato anche d’ufficio in sede di legittimità, a meno che il giudice di secondo grado non abbia deciso, pur se implicitamente, sulla portata dell’atto di appello e, quindi, sull’esistenza o meno del suddetto giudicato, poichè, in tal caso, la pronuncia non può essere rimossa se non per effetto di espressa impugnazione, restando altrimenti preclusa ogni questione al riguardo” (Cass. n. 5133 del 2019).

La questione della non imperatività del provvedimento giustificativo del pagamento è questione senz’altro assurta a res judicata, essendosi la funzione giurisdizionale esaurita per effetto della omessa provata devoluzione di essa nel giudizio di appello, con la conseguente preclusione di ogni nuovo e diverso esame.

Invero, ancorchè parte ricorrente insista nel ricorso per cassazione sulla sostanza di comando imperativo del provvedimento che avrebbe implicato il pagamento (ossia la sentenza del Tribunale di Firenze), la CTR ha accertato in fatto che non vi è stato nessun “provvedimento coattivo (imperativo)”. In nessun luogo, peraltro, la decisione d’appello accenna alla sentenza del Tribunale fiorentino.

Parte ricorrente, dal canto suo, non ha offerto prova d’aver veicolato la questione della coercitività del provvedimento mediante l’originario ricorso avverso l’atto impositivo e/o di averla riproposta attraverso uno specifico motivo di gravame.

Per il principio di autosufficienza sarebbe occorso che il ricorrente non si ritenesse dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando, piuttosto, elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello. Viceversa, il motivo d’appello che avrebbe riguardato la questione relativa alla sussistenza del “comando imperativo” in cui si sarebbe sostanziata la sentenza del Tribunale di Firenze non è riportato nella sua integralità nel ricorso, tanto da non consentire alla Corte di verificare che la questione sottopostagli non sia, in realtà, “nuova” e di valutare la fondatezza del motivo stesso senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

In ultima analisi, il giudicato interno, formatosi – come nella specie – a seguito della sentenza di primo grado della CTP, può essere rilevato anche d’ufficio in sede di legittimità, in quanto il giudice d’appello – come nella specie – non si sia pronunciato, ancorchè implicitamente, sulla portata dell’atto di appello e, quindi, sull’esistenza o meno del suddetto giudicato (Cass. n. 5133 del 2019; Cass. n. 15950 del 2000; Cass. n. 1284 del 2007).

Conclusivamente, quindi, il motivo di ricorso va respinto.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono. la soccombenza e sono liquidate nella misura espressa in dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7,300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della lezione Tributaria, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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