Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3457 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. II, 12/02/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 12/02/2020), n.3457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20273/2016 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. NICOTERA 29

PAL. 9 INT. 5, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ASSUMMA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO MARIA

MASTRACCHIO;

– ricorrente –

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZ. PER LA SOCIETA’ E LA BORSA, elettivamente

domiciliato in ROMA, V. MARTINI GIOVANNI BATTISTA 3, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati PAOLO PALMISANO, CHIARA FERRARO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il

05/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASTRACCHIO Franco Maria, difensore del ricorrente

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PALMISANO Paolo, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 5 febbraio 2016 la Corte d’appello di Genova, in parziale accoglimento della opposizione proposta da A.G., ex componente del consiglio di amministrazione di Abbacus SIM, avverso la Delib. CONSOB n. 19046 del 2014, ha annullato la contestazione sub 3 e ha conseguentemente ridotto la sanzione complessivamente irrogata, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 190, a 5.000,00 Euro.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che era manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, prospettata per contrasto con l’art. 76 Cost., del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 8, espressione della delega di cui alla L. n. 154 del 2014, art. 3, comma 1, lett. l), avente ad oggetto la revisione organica della disciplina e della procedura “sanzionatoria” concernente le violazioni di cui agli artt. 188,189 e 190 t.u.f.; b) che nel procedimento sanzionatorio del quale si discute si registra una netta separazione tra la fase istruttoria e la fase decisoria e che, comunque, l’eventuale irregolarità del procedimento non incide sulla validità della sanzione irrogata, in relazione al controllo giudiziario di merito pieno, comportante lo svolgimento di un’udienza pubblica; c) che la contestazione degli addebiti, notificata in data 11 febbraio 2014, non poteva ritenersi tardiva, dal momento che era stata effettuata nel termine di centottanta giorni, decorrenti dalla acquisizione e dalla complessiva valutazione dei dati ricevuti da CONSOB, all’esito della ricezione delle verifiche ispettive compiute dalla Banca di Italia; d) che non sussisteva la prospettata violazione del divieto del bis in idem, dal momento che non era ravvisabile una pronuncia di condanna o di assoluzione passata in giudicato per gli stessi fatti sanzionati dalla Banca d’Italia; e) che nella lettera di contestazione e nel rapporto ispettivo erano indicate in modo analitico le situazioni anomale individuate nel corso dell’ispezione; f) che, anche per la rilevanza degli interessi pubblicistici coinvolti nel caso di specie, il dovere di agire informati gravante sugli amministratori non esecutivi o privi di delega imponeva loro comunque di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi nelle aree di operatività della società.

La Corte d’appello, all’esito di un esame di alcune delle condotte considerate nei rilievi di violazioni, ha concluso osservando, con riguardo all’importo della sanzione, che essa, al netto di quella irrogata per la contestazione annullata, si colloca nel minimo edittale.

3. Avverso tale decreto l’ A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi cui ha resistito con controricorso la CONSOB. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5, comma 15 e art. 6, comma 8 e dell’art. 195 t.u.f. per contrasto con gli artt. 76,3,111 e 117 Cost..

Ad avviso dell’ A., del D.Lgs. n. 72 del 2015, artt. 5 e 6, avrebbero introdotto, in violazione della Legge Delega n. 154 del 2014, emanata a suo tempo per il recepimento della Direttiva 213/36/UE, modifiche processuali al giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa irrogata da Consob, in particolare prevedendo espressamente la natura pubblica dell’udienza di discussione e l’applicabilità delle nuove disposizioni anche ai processi in corso.

La censura non è fondata.

Va infatti evidenziato che la delega contenuta nella L. n. 154 del 2014, art. 3, prevede, inter alla, la revisione organica, in coerenza con i principi posti dalla normativa Eurounitaria, dell’intera disciplina e procedura sanzionatoria in materia di intermediazione finanziaria. Tale delega comprende espressamente la facoltà di “apportare alla normativa vigente tutte le modificazioni e le integrazioni occorrenti ad assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo” (cfr. art. 3 comma 1, lett. q).

La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alla disposizione che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro concernente la norma delegata, da interpretare, ove possibile, nel significato compatibile con questi ultimi (ex plurimis, sentenze n. 229 del 2014, n. 230 del 2010, n. 112 e n. 98 del 2008, n. 140 del 2007).

Relativamente al primo di essi, il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega ed i relativi principi e criteri direttivi, nonchè delle finalità che lo ispirano, verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della medesima (ex plurimis, ancora sentenze n. 229 del 2014, n. 341 del 2007, n. 426 e n. 285 del 2006).

I principi posti dal legislatore delegante costituiscono, poi, non soltanto base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l’interpretazione della loro portata; e tali disposizioni devono essere lette, finchè sia possibile, nel significato compatibile con tali principi, i quali a loro volta vanno interpretati alla luce della ratio della legge delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2013, n. 119 del 2013, n. 272 del 2012 e n. 98 del 2008). Infatti l’art. 76 Cost., non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo ed un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, poichè deve escludersi che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo; dunque, nell’attuazione della delega, è possibile valutare le situazioni giuridiche da regolamentare ed effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenze n. 98 del 2008 e n. 163 del 2000). Tanto più quando, come nel caso di specie, l’esercizio del potere legislativo delegato intervenga ad ampliare le garanzie processuali previste a tutela del soggetto destinatario della sanzione amministrativa nell’ambito del procedimento di opposizione a quest’ultima.

Alla luce dei suddetti principi, deve escludersi che la previsione della pubblicità dell’udienza di discussione delle opposizioni avverso le sanzioni amministrative previste dal t.u.f., contenuta nel D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5 e l’espressa estensione di tale garanzia anche ai processi in corso, contenuta nel successivo art. 6, comma 8 della predetta normativa, abbia violato il parametro costituzionale di cui all’art. 76 Cost., trattandosi di scelte del legislatore delegato coerenti con gli indirizzi generali della delega, compatibili con la ratio di questa e tali da comportare un ampliamento delle garanzie processuali offerte al destinatario della sanzione.

Alla luce dei suddetti principi, deve escludersi che la previsione della pubblicità dell’udienza di discussione delle opposizioni avverso le sanzioni amministrative previste dal t.u.f., contenuta nel D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5 e l’espressa estensione di tale garanzia anche ai processi in corso, contenuta nel successivo art. 6, comma 8 della predetta normativa, abbia violato il parametro costituzionale di cui all’art. 76 Cost., trattandosi di scelte del legislatore delegato coerenti con gli indirizzi generali della delega, compatibili con la ratio di questa e tali da comportare un ampliamento delle garanzie processuali offerte al destinatario della sanzione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 195 t.u.f., dell’art. 7 del Regolamento congiunto CONSOB – Banca d’Italia emanato con provvedimento del 31 ottobre 2007, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; la nullità del decreto impugnato per motivazione inesistente o apparente e per violazione dell’art. 195 t.u.f., art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè l’ulteriore profilo di nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Ad avviso della ricorrente, la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto tempestiva la contestazione degli addebiti, senza considerare che Banca d’Italia aveva concluso la sua ispezione su Abbacus S.I.M. S.p.a. e depositato la propria relazione in data 22 febbraio 2013. Secondo la ricorrente, non poteva ritenersi ragionevole il ritardo con cui la detta relazione era stata trasmessa a CONSOB (che l’aveva ricevuta solo il 2 maggio 2013); mentre, per altro verso, il fatto che la stessa CONSOB avesse indicato, nelle sue difese nel giudizio di merito, il 2 maggio 2013 come data di decorrenza del termine di 180 giorni di cui all’art. 195 t.u.f., stava a significare che non era necessario alcun accertamento ulteriore, poichè quella relazione ispettiva conteneva già tutti gli elementi utili alla valutazione delle condotte contestate alla ricorrente. Di conseguenza, il termine di cui all’art. 195 t.u.f. doveva esser fatto decorrere non già dal 2 maggio 2013 ma dalla precedente data del 22 febbraio 2013 (data di deposito della relazione ispettiva di Banca d’Italia), non potendo essere in concreto posto a carico del destinatario dell’atto sanzionatorio l’effetto disfunzionale derivante dal ritardo dell’azione amministrativa.

In ogni caso, anche assumendo come data di riferimento quella del 2 maggio 2013, secondo quanto indicato da CONSOB, l’invio, in data 14 ottobre 2013 della lettera di contestazioni non era idoneo a far ritenere rispettato il termine, dal momento che il plico era stato inviato presso un indirizzo nel quale l’ A. non era più residente dal 19 ottobre 2010. La successiva notifica del 7 – 11 febbraio 2014 si collocava invece in epoca successiva alla data indicata dalla stessa CONSOB come scadenza del termine per la contestazione (29 ottobre 2013).

La censura è infondata.

Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio, che merita di essere ribadito, per cui “in tema di sanzioni amministrative, il termine per la contestazione all’interessato, stabilito, a pena di decadenza, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, decorre, non già dal momento in cui il fatto è stato acquisito nella sua materialità, ma, dovendosi tener conto anche del tempo necessario per la valutazione della idoneità di tale fatto ad integrare gli estremi (oggettivi e soggettivi) di comportamenti sanzionati come illeciti amministrativi, da quando l’accertamento è stato compiuto o avrebbe potuto ragionevolmente essere effettuato dall’organo addetto alla vigilanza delle disposizioni che si assumono violate. Qualora, pertanto, il soggetto abilitato a riscontrare gli estremi della violazione sia diverso da quello incaricato della ricerca e della raccolta degli elementi di fatto, l’atto di accertamento non può essere configurato fino a quando i risultati delle indagini svolte dal secondo non siano portati a conoscenza del primo, dovendo escludersi che le attività svolte dai due diversi organi possano essere considerate unitariamente al fine di valutare la congruità del tempo necessario per l’accertamento delle irregolarità e, conseguentemente, la ragionevolezza di quello effettivamente impiegato dall’amministrazione. Da tanto deriva che, in tema di violazioni della disciplina dell’attività di intermediazione finanziaria, sanzionabili con pena pecuniaria amministrativa irrogata dal Ministero dell’economia e delle finanze su proposta della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), essendo la vigilanza delle norme, la cui violazione è sanzionata come illecito amministrativo, affidata appunto alla CONSOB, e non alla Banca d’Italia (la quale non è legittimata ad avviare il procedimento sanzionatorio), il momento iniziale di decorrenza del termine per la contestazione non può essere fatto coincidere con il deposito presso la Banca d’Italia della relazione ispettiva redatta, ad altri fini, dal Servizio di vigilanza della medesima Banca d’Italia” (v., ad es., Cass. 19 maggio 2004, n. 9456; in termini, cfr. anche Cass. 4 febbraio 2005, n. 2363; Cass. 30 maggio 2006, n. 12830; Cass. 5 dicembre 2006, n. 25916; Cass. 18 aprile 2007, n. 9311).

Nè, per altro verso, pur dovendo apprezzare la congruità del tempo complessivamente impiegato dall’Amministrazione in relazione alla complessità degli accertamenti da svolgere nell’ambito del singolo procedimento sanzionatorio, il giudice ha il potere di sostituirsi alla stessa Amministrazione spingendosi sino a valutare l’opportunità dei singoli atti da questa eventualmente posti in essere (cfr., di recente, Cass. 4 aprile 2018, n. 8326).

Nemmeno è possibile individuare, nel caso di specie, alcuna condotta negligente o arbitraria della P.A. (tale da escludere che il tardivo compimento di atti che quest’ultima avrebbe dovuto o potuto compiere in modo tempestivo comporti lo spostamento in avanti del dies a quo di decorrenza del termine perentorio previsto per la contestazione degli addebiti; cfr., al riguardo, Cass. 29 febbraio 2008, n. 5467).

La CONSOB, infatti, si è tempestivamente attivata nel termine di 180 giorni previsto dall’art. 195 del T.U.F., calcolando peraltro detto termine dal 2 maggio 2013 (data in cui Banca d’Italia le aveva trasmesso la sua relazione ispettiva) e non invece, come avrebbe pur potuto fare, dal successivo momento in cui aveva preso contezza del contenuto del predetto atto e valutato le condotte in esso evidenziate a carico dell’ A.. Operando in tal modo, CONSOB ha osservato, in concreto, una condotta di assoluta tutela dei diritti dell’odierna ricorrente, assicurando il pieno rispetto delle sue prerogative di difesa. Quanto al tema della ritualità della notifica, si osserva che, indipendentemente dalle vicende circolatorie che hanno riguardato la proprietà dell’appartamento della ricorrente, quanto attestato dall’agente postale sull’avviso di ricevimento (con la particolare efficacia propria di tale attestazione: Cass. 3 settembre 2019, n. 22058) e, in particolare, l’immissione dell’avviso nella cassetta postale, smentisce la tesi dell’assenza di qualunque collegamento tra il luogo e la destinataria ed esclude, non ravvisandosi ulteriori profili di nullità, il fondamento della critica rivolta alla sentenza.

Ne restano assorbite le censure di mancata considerazione dei profili legati alla regolarità della notifica appena indicata.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 195 t.u.f., L. n. 262 del 2005, art. 24 e della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ad avviso dell’ A., la Corte genovese avrebbe dovuto ravvisare, nella fase amministrativa precedente l’irrogazione del provvedimento sanzionatorio impugnato, tanto il mancato rispetto del principio del contraddittorio quanto l’omessa separazione delle funzioni istruttorie e decisorie dell’organo procedente. Al contrario, la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla specifica eccezione mossa dalla ricorrente. La censura è infondata.

Va premesso che nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa gli eventuali vizi di motivazione concernenti le difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento impugnato e, in conseguenza, l’insussistenza della pretesa sanzionatoria derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto amministrativo in sè considerato, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà – e dovrà – valutare le deduzioni difensive proposte dall’interessato in sede amministrativa, ed eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte, qualora esse siano espressamente riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto (cfr. Cass. Sez. Un. 28 gennaio 2010, n. 1786; 7 agosto 2014, n. 17799; 21 maggio 2018, n. 12503). Dal richiamato principio deriva, da un lato, che l’esame di questa Corte non può estendersi sino a valutare l’effettivo svolgimento del procedimento amministrativo che abbia preceduto l’emanazione del provvedimento sanzionatorio impugnato, ove il vizio lamentato dal destinatario della sanzione non sia stato adeguatamente trasposto in uno specifico motivo di impugnazione. E, dall’altro lato, che il rispetto del diritto di difesa dell’incolpato va apprezzato in relazione all’intero procedimento, articolato nella fase amministrativa partecipata, finalizzata alla formazione della volontà sanzionatoria, e nel successivo giudizio di opposizione che si svolge dinanzi un giudice terzo, dotato di giurisdizione piena sul rapporto. Ne consegue che le eventuali irregolarità relative allo svolgimento della fase amministrativa assurgono rilievo soltanto qualora esse abbiano di fatto comportato una compressione del diritto di difesa e di contra-dicere dell’incolpato; quando tuttavia costui abbia potuto partecipare alla fase amministrativa e promuovere opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio, esercitando appieno le sue prerogative difensive, la rilevanza del vizio in esame va esclusa, posto che la natura bifasica del procedimento lo rende ab origine conforme alle prescrizioni di cui all’art. 6 della Convenzione E.D.U., proprio in funzione della possibilità di impugnare il provvedimento amministrativo davanti ad un giudice indipendente e imparziale presso il quale è assicurato il pieno dispiegamento del contraddittorio tra le parti sull’intero rapporto interessato dal provvedimento sanzionatorio (cfr., da ultimo, Cass. 22 marzo 2019, n. 8237; cfr. anche Cass. 3 dicembre 2013, n. 27038, secondo la quale in materia di sanzioni amministrative “… nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari, il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, previsti dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, non comporta la necessità che gli incolpati vengano ascoltati durante la discussione orale innanzi all’organo decidente, essendo sufficiente che a quest’ultimo siano rimesse le difese scritte degli incolpati ed i verbali delle dichiarazioni rilasciate, quando gli stessi chiedano di essere sentiti personalmente”).

Da quanto precede deriva che il cumulo di funzioni in capo ad un medesimo organo previsto dall’organizzazione interna di CONSOB non comporta di per sè violazione dell’art. 6 della Convenzione E.D.U., anche quando esso si risolva in una anticipazione del giudizio (come nel caso di adozione di misure cautelari prima della decisione conclusiva del procedimento amministrativo: cfr. Cass. 15 febbraio 2018, n. 3734) dovendosi comunque aver riguardo, per poter configurare un ragionevole timore di mancanza di imparzialità in capo all’organo investito della funzione decisoria, alla portata ed alla natura delle eventuali attività e decisioni preliminari, da valutarsi caso per caso.

Nè si pone alcun problema di compatibilità con il richiamato art. 6 della Convenzione E.D.U. sotto il profilo della natura della sanzione irrogata dalla CONSOB, ovvero con riguardo alla contemporanea presenza di due distinti procedimenti sanzionatori, l’uno condotto da CONSOB e l’altro invece da Banca d’Italia, in relazione ai medesimi fatti evidenziati dall’attività ispettiva svolta da quest’ultima, alla luce dei condivisi principi espressi da Cass. 9 agosto 2018, n. 20689).

La decisione impugnata peraltro dà atto che i due procedimenti sanzionatori, attivati rispettivamente da Banca d’Italia e da CONSOB, sulla base dell’unica verifica ispettiva eseguita sulla S.I.M. dal primo organismo, hanno ad oggetto condotte diverse afferenti a diversi illeciti: il primo procedimento, infatti, si riferisce alle carenze organizzative e del sistema dei controlli interni alla S.I.M. ed è evidentemente funzionale al rispetto di standard unitari di corretta gestione degli operatori finanziari attivi sul mercato; il secondo invece, affidato a CONSOB, riguarda i profili di inadempimento, da parte della S.I.M. e dei suoi operatori, degli obblighi di adottare procedure idonee a garantire l’efficiente, corretto e trasparente svolgimento dei servizi di intermediazione finanziaria e delle attività di investimento, in funzione di protezione tanto del cliente, ritenuto soggetto debole nell’ambito del rapporto intersoggettivo corrente tra questi e l’operatore finanziario, quanto della corretta gestione dei servizi sul mercato finanziario.

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6,8,21,190 e 195 t.u.f., artt. 15 e 16 del Regolamento congiunto Banca d’Italia – CONSOB del 29 ottobre 2017, 39 e 40 del Regolamento intermediari adottato con Delib. CONSOB n. 16190 del 2007, L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3, 14 e 22, L. n. 241 del 1990, art. 3, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, art. 2697 c.c. e dei principi regolatori dell’onere della prova nel processo civile, 6-1 della C.E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la nullità del decreto impugnato per motivazione inesistente o apparente e per violazione dell’art. 195 t.u.f., dell’art. 132c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ad avviso della ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere nullo il provvedimento sanzionatorio a fronte della genericità della contestazione degli addebiti, che non avrebbe consentito, in pratica, la piena esplicazione del diritto di difesa nella fase amministrativa.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del T.U.F., artt. 15 e 16 del Regolamento congiunto Banca d’Italia – CONSOB, 3 della L. n. 689 del 1981, art. 2381 c.c., art. 2697 c.c. e dei principi regolatori dell’onere della prova nel processo civile, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, richiamato dalla L. n. 689 del 1981, art. 22,artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la nullità del decreto impugnato per motivazione inesistente o apparente e per violazione dell’art. 195 del T.U.F., dell’art. 132c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte di Appello non avrebbe in concreto indicato alcuna condotta specifica, omissiva o commissiva, idonea ad integrare la violazione della norma sanzionatoria contestata alla ricorrente nel provvedimento amministrativo opposto, nè individuato i relativi elementi di prova; in tal modo non sarebbe stata dimostrata in modo adeguato la sussistenza dell’elemento soggettivo. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 21,190 e 195 t.u.f., art. 15 del Regolamento congiunto Banca d’Italia – CONSOB, artt. 39, 40, 45 e segg. e art. 54 del Regolamento intermediari adottato con Delib. CONSOB n. 16190 del 2007, artt. 115 e 116 c.p.c., L. n. 241 del 1990, art. 3,L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3 e 14, art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, richiamato dalla L. n. 689 del 1981, art. 22 e dei principi regolatori dell’onere della prova nel processo civile, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; la violazione e falsa applicazione dell’art. 2381 c.c.; nullità del decreto impugnato per motivazione inesistente o apparente e per violazione dell’art. 195 t.u.f., dell’art. 132 e 135c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione alla ritenuta sussistenza degli addebiti contestati.

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una richiesta di riesame delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di Cassazione (Cass. Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148). Nè, per altro verso, è consentito in questa sede il sindacato sulla scelta, operata dal giudice di merito, delle risultanze probatorie ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, posto che essa involge apprezzamenti di fatto riservati al predetto giudice, il quale d’altro canto, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v., ad es., Cass. 23 maggio 2014, n. 11511).

La compiuta disamina delle condotte attribuite all’ A. e l’argomentata irrilevanza delle funzioni attribuite ad Unione Fiduciaria e degli esiti dell’attività di quest’ultima costituiscono appunto l’oggetto di una valutazione, insuscettibile del sindacato richiesto in questa sede.

5. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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