Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34568 del 30/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 30/12/2019), n.34568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

su ricorso 29333-2015 proposto da:

R.L., R. SAS DI R.L., B.C., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA PIEVE Dl CADORE 30, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO USSANI D’ESCOBAR, rappresentati e difesi

dall’avvocato PAOLA COPPOLA, giusta procura a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENRATE, persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3960/2015 della COMM. TRIB. REG. depositata il

04/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per raccoglimento del primo e

del terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti;

udito per il ricorrente l’Avvocato COPPOLA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I contribuenti R. s.a.s. di R.L., nonchè R.L. e B.C., questi ultimi nella qualità di soci della predetta società di persone, ricorrono per la cassazione della sentenza della CTR della Campania n. 3960/07/15 del 24.4/4.5.15 che ha rigettato gli appelli riuniti dei contribuenti, in controversia concernente l’impugnazione di avvisi di accertamento ai fini Irpef, Iva ed Irap relativi all’anno di imposta 2008.

La CTR, in particolare, nel rigettare i gravami ha affermato che, diversamente da quanto ritenuto dagli appellanti, nella specie non si era in presenza di un accertamento fondato sugli studi di settore, bensì di un accertamento analitico-induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti attestanti l’antieconomicità dell’attività svolta, in base agli stessi dati dichiarati dal contribuente (particolarmente l’esiguità dei ricavi dichiarati a fronte di notevoli costi per i 13 dipendenti, indicativi delle notevoli dimensioni dell’attività commerciale relativa alla gestione di un bar) e che, nella quantificazione dei corrispettivi non dichiarati sulla base dei costi registrati, l’Ufficio si era limitato a richiamare lo studio di settore relativo all’anno in accertamento soltanto al fine di determinare la percentuale di ricarico applicabile; la CTR ha, quindi, escluso la sussistenza di alcun principio generale che imponga in tutti i casi la necessità del contraddittorio preventivo con il contribuente, quale adempimento endoprocedimentale propedeutico all’emissione di un avviso di accertamento; infine, ha osservato che la motivazione dell’avviso impugnato doveva ritenersi adeguatamente esplicitata mediante il riferimento al tipo di accertamento effettuato ed, altresì, ai presupposti fattuali dello stesso, ossia all’antieconomicità dell’attività svolta, protrattasi per più anni, alla correlata sproporzione fra costi e ricavi ed all’applicazione di una percentuale di ricarico inferiore a quella minima contemplata dallo studio di settore presentato dalla stessa società. D’altro canto, il contribuente non aveva concretamente fornito prova contraria a giustificazione della veridicità di quanto dichiarato.

II ricorso è affidato a quattro motivi. Si è costituita l’Agenzia con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va esaminato per primo il terzo motivo, per ragioni di priorità logica delle questioni ivi trattate.

Con tale motivo, i contribuenti deducono l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, artt. 2727,2729,2769 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. I ricorrenti, in tale prospettiva, hanno rilevato che quello svolto dall’Ufficio era un accertamento fondato sugli studi di settore ed hanno, conseguentemente, affermato la nullità dell’accertamento svolto senza la preventiva attivazione del contraddittorio con i contribuenti, in violazione del principio secondo cui il procedimento di accertamento standardizzato de quo trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente stesso.

1.2. Inoltre, i ricorrenti hanno dedotto che la pretesa antieconomicità della gestione, posta alla base dell’accertamento, era stata desunta dal mero raffronto fra la percentuale di ricarico applicata e quella ricavata dallo studio di settore ritenuto applicabile, senza ulteriori riscontri e, soprattutto, senza tener conto dell’insignificanza dello scostamento fra i due dati posti a confronto (pari allo 0,16%); parimenti l’Ufficio aveva fatto riferimento, per avvalorare il carattere di antieconomicità della gestione, alla reiterazione nel tempo della dichiarazione di ricavi non congrui, a sua volta fondata sugli scostamenti dei ricavi dichiarati negli anni 2006-2007 e 2009-2010 rispetto a quelli ammissibili sulla base degli studi di settore, senza alcuna specificazione di quali fossero i concreti parametri di riferimento utilizzati dall’ufficio nè di quale fosse la minor misura dei ricavi così dichiarati.

2. Il motivo, che risulta ammissibile sotto il profilo dell’autosufficienza e della pertinenza rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, è fondato nei limiti che seguono.

2.1. Va, innanzitutto, osservato che la CTR, con motivazione logica ed esaustiva, nonchè immune, relativamente al punto in esame, dalle prospettate censure di violazione di legge, ha precisato che “non si è in presenza di un accertamento basato sugli studi di settore, come sostenuto-da parte contribuente, bensì di un accertamento analitico-induttivo eseguito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), come espressamente precisato nel verbale di accertamento notificato”, desumendo, conseguentemente, l’infondatezza di tutti i rilievi dei contribuenti in punto di necessità del contraddittorio endoprocedimentale che presupponevano indefettibilmente la riconducibilità dell’accertamento alla materia degli studi di settore.

Le conclusioni della CTR sono, innanzitutto, coerenti con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta”, sia (ma non esclusivamente) sugli studi di settore (cfr. Sez. 5, n. 16430 del 27/07/2011, Rv. 618809 – 01).

2.2. Ciò detto, nella specie risulta, come riconosciuto dalla stessa CTR, che l’avviso di accertamento non è stato emesso sulla base delle risultanze dei predetti studi di settore, ma per il fatto che la condotta della società contribuente è stata ritenuta contraria ai canoni di ragionevolezza nella gestione dell’impresa, desunto dalla circostanza che la compagine ricorrente, a fronte di notevoli costi, aveva dichiarato ricavi ritenuti eccessivamente esigui, corrispondenti alla percentuale di ricarico dell’1,84%, ed in quanto l’incongruenza, reiterata nel tempo, tra i costi ed i ricavi dichiarati e quelli ragionevolmente prevedibili in base alle caratteristiche dell’attività esercitata è stata, parimenti, ritenuta indice di antieconomicità della gestione e, quindi, indice dell’esistenza di redditi non dichiarati.

In tale contesto ricostruttivo, il ricorso ai dati tratti dagli studi di settore è valso esclusivamente quale parametro di riferimento utilizzato dall’Ufficio per quantificare la corretta percentuale di ricarico da applicarsi, fissata nella misura del 2% in modo da essere allineata con il ricarico minimo indicato nello studio riferibile all’annualità in accertamento.

Ciò non toglie, peraltro, che l’accertamento non si è fondato sul predetto studio di settore, restando strettamente correlato al presupposto dell’antieconomicità della gestione, ricavata sulla base degli stessi dati dichiarati dalla società contribuente; presupposto, ove realmente sussistente, tale da consentire il ricorso a metodi presuntivi in sede di rideterminazione del reddito.

Poichè, dunque, non si tratta di in tema di “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore, non risulta applicabile il principio secondo cui il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa nell’effettuare l’accertamento (sul punto, si richiamano, altresì, le considerazioni formulate trattando del primo motivo di ricorso).

2.3. Assodata la qualificazione dell’accertamento in esame come frutto del metodo analitico-induttivo basato sull’antieconomicità dell’attività di impresa, va aggiunto che proprio le modalità di accertamento, nella specie, di tale imprescindibile presupposto sostanziale impongono di ritenere fondate le ulteriori doglianze formulate dai ricorrenti.

Invero, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, “in tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave, quale l’abnormità della percentuale di ricarico”. (Sez. 5, n. 27552 del 30/10/2018, Rv. 650956 – 01).

In altri termini, è legittimo il ricorso al metodo analitico-induttivo, anche in presenza di contabilità regolarmente tenuta, ove la difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza raggiungano livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da rendere complessivamente inattendibile la documentazione contabile (cfr. Sez. 5, n. 22347 del 13/09/2018, Rv. 650233 – 01, relativa ad una fattispecie in cui questa Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo l’accertamento dei maggiori ricavi con metodo induttivo a fronte di una percentuale di ricarico applicata dal contribuente pari all’84,240/9 rispetto alla media di settore del 263%).

2.4. Orbene, nella specie la qualificazione di antieconomicità si fonda sostanzialmente, per non dire esclusivamente, sul mero scostamento dello 0,16% del dichiarato rispetto alla percentuale di ricarico utilizzata quale parametro di congruità. A ciò si aggiunga che, per gli anni precedenti e successivi al 2008 (2006,2007, 2009 e 2010), l’avviso di accertamento contiene riferimenti assolutamente generici all’esistenza di ricavi non congrui rispetto a quelli giudicati ammissibili, senza alcuna concreta indicazione nè evidenza della misura dei ricavi dichiarati rispetto a quella desumibile attraverso il richiamo, nei termini sopra precisati, a studi di settore non meglio specificati nei fondamentali parametri di riferimento.

In tale prospettiva, non resta che concludere che la presunta antieconomicità risulta meramente affermata e non realmente riscontrata sulla base degli elementi adottati dall’Ufficio accertatore, atteso che l’estremamente ridotto margine di scostamento fra ricarico dichiarato e ricarico ritenuto congruo – pari soltanto allo 0,16% e tale da determinare una “forbice” di appena l’8% fra i ricavi dichiarati e quelli accertati – non consente in alcun modo di configurare quei livelli di macroscopicità, abnormità ed irragionevolezza indispensabili per rendere complessivamente inattendibile la documentazione contabile e da giustificare l’accertamento in via analitico-induttiva (cfr., altresì, Sez. 5, n. 9084 del 07/04/2017, Rv. 643626 – 01)

Nel medesimo senso, è da sottolinearsi che il riferimento alla bassa redditività rispetto al volume d’affari realizzato, derivante dal costo del personale ritenuto molto elevato, con risultato reddituale scarso, non configura un autonomo piano dell’accertamento, posto che tale conclusione valutativa rappresenta pur sempre l’effetto dello scostamento della percentuale di ricarico ritenuta applicabile.

2.5. In conclusione, dunque, la ragione giustificatrice dell’accertamento è stata inammissibilmente radicata sul mero scostamento fra percentuale di ricarico applicata e quella desunta dagli studi utilizzati quale termine di riferimento, non potendo configurarsi, in assenza dei caratteri di manifesta abnormità ed irragionevolezza citati, il requisito dell’antieconomicità della gestione.

D’altro canto, come già ritenuto da questa Corte, “in presenza di scritture contabili formalmente corrette non è sufficiente, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza – posto che le medie di settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sè stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni – occorrendo, invece, che risulti qualche elemento ulteriore, e, in ispecie, l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore, incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione”. (Sez. 6 – 5, n. 27488 del 09/12/2013, Rv. 629459 – 01).

Il motivo, pertanto, va accolto nei termini sopra precisati.

3. Venendo ad esaminare gli altri motivi di ricorso, va innanzitutto rilevato che, con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, art. 97 Cost., della Carta dei diritti fondamentali UE, artt. 41, 47 e 48, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. La sentenza della CTR viene, in particolare, censurata nella parte in cui ha escluso l’esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio generale che renda necessaria per l’A.F. l’instaurazione del contraddittorio preventivo con il contribuente prima di procedere all’emissione di qualsiasi atto accertativo; affermazione ritenuta dal ricorrente erronea in quanto in contrasto con le norme evocate, a maggior ragione laddove si verta in tema di rideterminazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore.

3.2. Il motivo è nel suo complesso infondato, quand’anche non debba ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento del terzo motivo, sia in quanto quest’ultimo attiene ad un profilo di invalidità intrinseca dell’accertamento sussistente prima ed indipendentemente da questioni afferenti alla fase procedimentale, sia in quanto il ricorrente, anche con il motivo qui in esame, muove dalla qualificazione dell’accertamento de quo come fondato sugli studi di settore, ossia dalla medesima impostazione già rigettata per le considerazioni sopra espresse, che qui si richiamano.

Sotto un profilo generale, deve, in ogni caso, ribadirsi che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 01).

In particolare, in relazione alle verifiche fiscali, le S.U. hanno affermato che non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino””.(Sez. U, n. 24823/15 Rv. 637605 – 01).

Pertanto, con riferimento ai rilievi relativi all’Irpeg ed all’Irap non sussiste alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, trattandosi, nella specie, di accertamento fondato sull’esame dei dati risultanti dalla dichiarazione (nei termini visti trattando del terzo motivo).

Per quanto attiene all’Iva, invece, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il contribuente in sede giudiziale deve dimostrare che, se vi fosse stato il preventivo contraddittorio il risultato sarebbe stato diverso, nel senso che tale contraddittorio non si sarebbe risolto in un mero simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi (Sez. U. n. 24823/2015, in motivazione; Sez. 6 – 5, n. 27420 del 29/10/2018, Rv. 651436 – 01; Sez. 6 – 5, n. 20036 del 27/07/2018, Rv. 650362 – 01). Nella specie, peraltro, il motivo di ricorso in esame non allega e specifica quali concreti elementi sarebbero valsi ad evitare l’emissione dell’avviso di accertamento o per ridurre gli importi contestati, limitandosi ad affermare che “è stato impedito all’interessato di fornire ulteriori dati ed elementi rispetto a quelli in possesso dell’Ente procedente” (p.21).

4. Il carattere prioritario, sul piano logico-ricostruttivo delle questioni sottese al terzo motivo, oggetto di accoglimento, determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR erroneamente disconosciuto che nell’avviso di accertamento mancavano i presupposti giuridici e fattuali indispensabili ai fini della motivazione, avendo l’Ufficio solo indicato e non allegato o riprodotto nel loro contenuto essenziale gli elementi utilizzati, in particolare le “medie di settore” non specificate nella fonte e nel contenuto, ed i dati di riscontro dell’antieconomicità della gestione, oltre alle relative fonti giuridiche.

5. Connesso al secondo motivo e parimenti assorbito è il quarto motivo, concernente nullità della sentenza per omessa pronuncia su motivi di gravame in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al cit. codice art. 360, comma 1, n. 4, con il quale si lamenta, in particolare, l’omessa pronuncia in ordine alle censure di mancata allegazione-indicazione degli atti presupposti, degli studi di settore utilizzati, dei dati dell’anagrafe tributaria utilizzati, dell’esatta fonte giuridica della rettifica (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, o art. 39, comma 1, lett. d), promiscuamente citati).

6. In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, nei termini sopra illustrati, con rigetto del primo motivo ed assorbimento del secondo e del quarto motivo.

La decisione impugnata deve essere, conseguentemente, annullata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, accogliendo il ricorso dei contribuenti.

Infine, la controricorrente va condannata al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre 15% per spese generali ed oltre accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, assorbiti il secondo ed il quarto motivo; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso dei contribuenti.

Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019

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