Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3456 del 22/02/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3456 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

ORDINANZA
sul ricorso 23772-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente contro
MAZZOCCHETTI FILIPPO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO
PLACIDI, rappresentato e difeso dagli avvocati RENATO DI
BENEDETTO, VALERIA TOPPETTI giusta procura speciale in
calce al controricorso;

– controricorrente –

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Data pubblicazione: 22/02/2016

avverso la sentenza n. 306/10/2014 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE dell’ABRUZZO-Sezione distaccata di
Pescara, depositata il 18/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. Roberta Crucitti;

ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in fatto e ritenuto in diritto
L’Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi ad unico motivo, nei confronti
di Filippo Mazzocchetti, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la
Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo -in controversia avente ad oggetto
l’impugnazione di avvisi di accertamento emessi ex art.38 d.p.r. n. 600/73 portanti
irpef per gli anni 2006. 2007 e 2008- aveva confermato la decisione di primo grado
favorevole alla contribuente.
In particolare, il Giudice di appello ha ritenuto che l’Amministrazione, a
fronte delle osservazioni del contribuente circa le modalità di pagamento, ad opera
di familiari, delle rate annuali del mutuo fondiario con la conseguente assenza di
redditi propri .. non ha fornito, come era da suo onere, elementi a sostegno della propria
ricostruzione del reddito.
Il contribuente resiste con controricorso.
A seguito di deposito di relazione ex art.380 bis c.p.c. è stata fissata
l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

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Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione

dell’art.3 d.p.r. n.600 del 1973 e dell’ artt.2697 c.c. in relazione all’art.360 n.3
c.p.c., laddove la C.T.R., confondendo l’accertamento induttivo svolto nei
confronti delle imprese (e volto alla rideterminazione del reddito ritenuto non
congruo rispetto agli studi di settore) con l’accertamento sintetico rivolto alle
persone fisiche (e volto a rideterminare il reddito dichiarato sulla base di una
comprovata maggiore capacità contributiva discendente per legge dal possesso di
determinati beni ovvero di incrementi patrimoniali), aveva ritenuto che, a fronte
dell’incremento patrimoniale dato dall’acquisto di un bene immobile, fosse onere
dell’Ufficio provare gli elementi di ricostruzione del reddito e non che, al

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udito l’Avvocato Valeria Topp etti difensore del controricorrente che

contrario, fosse onere del contribuente provare la causa giustificativa degli
incrementi patrimoniali e delle spese sostenute.
2. La censura è fondata. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina, fra
l’altro, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione
Imporli (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n.
122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito

circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla
disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo
e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi);
dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle
– di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare
durevolmente il patrimonio del contribuente. Resta salva, in ogni caso, ai sensi del
sesto comma dell’art. 38 cit., la prova contraria, consistente nella dimostrazione
documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi
esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla
complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai
coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in
generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore
(Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).
Con recente pronuncia poi, questa Corte (Cass.n. 8995/2014 richiamata
dalla successiva Cass.n.25104/2014) ha così chiarito i confini della prova contraria
a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico ex art38
DPR 600/1973: “A norma dell’art. 38, comrna sesto d.p.r. n. 600 del 1973,
l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di
dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato
o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da
redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata
disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso
devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di pi1ì
della meta prova della disponibilitZ di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a
ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti
ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia

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complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e

espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che
cio’ sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico
riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali
eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha
l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la
disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita

ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità
non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore
investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a
giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto
ascriversi a redditi non dichiarati”.
Nella specifica ipotesi di liberalità questa Corte, inoltre, ha statuito che”
nell’ambito dell’accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno
consentito l’incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione
della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la
sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr.Cass. n.24597/ 2010; Cass4397/2014).
Infine le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n.24823/2015 hanno
espressamente ribadito l’orientamento maggioritario secondo cui l’art.12, comma
7, della legge 212/2000 trova applicazione solo in ipotesi, diversa da quella in
esame, di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di
attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali.
3.La sentenza impugnata, nel ritenere genericamente, che,-a fronte delle
osservazioni del contribuente circa le modalità di pagamento, ad opera di familiari
delle rate annuali del mutuo fondiario l’Amministrazione non aveva fornito,
come da suo onere, elementi di prova a sostegno della propria ricostruzione del
reddito, si è discostata dai superiori principi.
4.Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza
impugnata ed il rinvio a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale
dell’Abruzzo la quale procederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, ed al
regolamento delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

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contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia
a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo anche per
il regolamento delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma il 20 gennaio 2016.

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