Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3454 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 15/02/2010), n.3454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15566-2006 proposto da:

ANTONIO AMATO & C. DITTA S.P.A., AMATO ANTONIO & C. PASTIFICI

S.P.A.,

in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato

AMATO EMILIANO, rappresentati e difesi dagli avvocati DEL PONTE

GIULIO, CASTELLI GIUSEPPE, giusta mandato a n margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati QUARANTA FRANCO e PIGNATARO ADRIANA,

che lo rappresentano e difendono, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 384/2006 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 25/01/2006 R.G.N. 84/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato CASTELLI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato GIANDOMENICO CATALANO per delega PIGNATARO ADRIANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Le società in epigrafe adivano il Pretore di Salerno chiedendo il rimborso da parte dell’INAIL della somma di L. 552.992.278, oltre accessori, asseritamene corrisposte in eccesso all’Istituto a causa di un errato calcolo del tasso specifico aziendale (TSA).

L’adito Pretore, dichiarate prescritte le pretese relative all’anno 1979, in parziale accoglimento del ricorso, condannava l’INAIL al rimborso della somma di L. 269.687.375 in relazione alla posizione n. (OMISSIS) e di L. 190.375.760.

Il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice di appello, in parziale accoglimento dell’appello dell’INAIL, riformando la sentenza di primo grado, determinava la somma da rimborsare in quella di Euro 27.472,76.

Ritenevano i giudici di secondo grado che il Pretore non aveva proceduto alla corretta individuazione della funzione del tasso specifico aziendale e delle relative voci. Infatti, affermavano i giudici di secondo grado, la successiva evoluzione giurisprudenziale della cassazione, formatasi sulla questione, aveva mutato il proprio orientamento. Conseguentemente, il Tribunale, nel condividere l’interpretazione fornita sulla questione dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza del 11 giugno 2001 n. 7853, asseriva che gli oneri presunti andavano calcolati nel tasso specifico aziendale anche quando nell’azienda, e nel periodo considerato, non si erano verificati infortuni e tanto tenuto conto della funzione del tasso specifico aziendale, di oscillazione parziale rispetto al tasso medio nazionale e del principio di mutualità insito nel concetto di assicurazione e di quello previdenziale anche tra imprenditori.

Disponeva,quindi, il Tribunale nuova consulenza tecnica d’ufficio e;

sulla base dei calcoli eseguiti dal consulente accertava che la somma versata in eccedenza risultava pari ad Euro 27.472,76.

Avverso tale sentenza le società in epigrafe ricorrono in cassazione sulla base di sei censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso l’INAIL.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le società denunciano, formulando il quesito di cui all’art. 366 bis c.p.c., così come introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, violazione dell’art. 70 Cost., art. 77 Cost., comma 1, art. 2099 c.c., artt. 37 e 112 c.p.c. e della L. 20 marzo 1865, n. 2248 Allegato “per aver il giudice di merito risolto in grado di appello la controversia (avente ad oggetto la determinazione in concreto del TSA in conformità della petizione di principi fatti in ricorso dalla parte oggi resistente) in termini legiferanti ed istitutivi di norme giuridiche mediante attribuzione di valore di legge a precedenti giurisprudenziali richiamati, travalicando altresì i limiti della giurisdizione ordinaria, svolgendo arbitrariamente giurisdizione di mero controllo sui provvedimenti dell’INAIL impugnati e come tali issati a rango di atti amministrativi, così violando i limiti della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in tema di diritti soggettivi controversi”.

Rileva preliminarmente il Collegio, e tanto vale anche per i successivi motivi di ricorso, che l’art. 366 bis cod. proc. civ., così come introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 in relazione al quale le società ricorrenti pongono il quesito di diritto, trova applicazione solo per i ricorsi per cassazione proposti avverso decisioni pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, mentre, nella specie la decisione impugnata è stata pubblicata in data anteriore. Pertanto questa Corte rimane dispensata, nella presente controversia, dall’applicare la norma di rito in parola, pur tenendo conto, ai fini dell’intelligibilità dei singoli motivi, del contenuto dei quesiti posti quale sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità.

Quanto al merito della censura in esame, ritiene il Collegio che la stessa non può essere accolta.

Invero è oramai diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte che l’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito “per saltum”, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (così Cass., S.U., 9 ottobre 2008 n. 24883 e nello stesso senso Cass., S.U., 30 ottobre 2008 n. 26019, Cass., S.U., 27 ottobre 2008 n. 25770, Cass., S.U., 18 ottobre 2008 n. 27344, Cass., S.U., 20 novembre 2008 n. 27531, Cass., S.U., 18 dicembre 2008 n. 29523 e, da ultimo, Cass., S.U., 23 aprile 2009 n. 9661).

Nella specie, essendo stata la causa decisa nel merito sin dal primo grado del giudizio ed avendo la parte contestato la giurisdizione solo dinanzi questa Corte di legittimità, deve ritenersi, alla stregua del richiamato principio, formato il giudicato implicito sulla giurisdizione.

Relativamente all’ulteriore critica relativa alla “attribuzione di valore di legge a precedenti giurisprudenziali richiamati” è sufficiente osservare che compete al giudice l’interpretazione della legge ed al giudice di legittimità assicurare, in funzione nomofilattica, l’uniforme interpretazione della legge al fine dell’utile risultato della certezza del diritto oggettivo. Vi è, quindi, nei pronunciati della Corte di cassazione, una vincolatività che, seppure destinata a non tradursi in una efficacia erga omnes delle relative statuizioni, si traduce in “termini” di un diritto più certo e più uniforme, ma non, come prospettato dal ricorrente, in “termini legiferanti ed istitutivi di norme giuridiche”.

Con la seconda censura le società deducono, formulando il quesito di cui al richiamato art. 366 bis c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 27, 28, 39, 40, 41 e 44 (T.U.), D.M. 14 novembre 1978, art. 14 e ” dei relativi principi in materia con particolare riferimento alla CTU, senza aversi motivazione alcuna sulla accettazione della stessa facendo proprie le relative discordanze del mezzo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″. Allegano in particolare che l’atto di appello va dichiarato nullo o improcedibile allorchè da esso si desume la carenza o l’assoluta genericità dei motivi “non potendo l’atto di appello giungere al suo scopo anche nell’ipotesi di costituzione dell’appellato”.

La censura è infondata.

Infatti l’esame dell’atto di appello (su cui, da ultimo, V. Cass. 15 gennaio 2009 n. 806) consente di escludere la genericità dell’impugnazione proposta dall’INAIL essendo questa, come sottolineato anche dalla Corte del merito, diretta a contestare la determinazione del “quantum” operata dal giudice di primo grado in riferimento al criterio legale, posto a base di tale determinazione, opponendosi ad essa quella applicata dall’INAIL di cui si afferma la legittimità in base ad una corretta interpretazione della norma di riferimento.

Vi è quindi, nell’atto di appello, specifica argomentazione, idonea in tesi, anche attraverso il richiamo alle precedenti difese (su tale punto V. Cass., S.U., 25 novembre 2008 n. 28057), a contrastare con quella posta a base della impugnata sentenza.

Con il terzo motivo le società, elaborando il quesito di diritto di cui al citato art. 366 bis c.p.c. sostengono violazione e falsa applicazione degli D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 27, 39, 40, 41, 126 e 178, D.M. 14 novembre 1978, artt. 14 e 15″ per aver erroneamente il giudice di merito incluso per la determinazione del TSA oneri mai sostenuti dall’INAIL, prescindendo dall’andamento infortunistico dell’azienda e così violandone in punto di diritto l’effettiva sussistenza e consistenza ai fini dell’adeguamento della determinazione in correzione ex lege previsto-violazione di legge per elisione del concetto giuridico di oscillazione del TSA, nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia”.

Con la quarta censura le società, deducono, ponendo il quesito di diritto di cui al già richiamato art. 366 bis del c.p.c., violazione del D.M. 14 novembre 1978, art. 6.

Allegano, in proposito, che “quanto alle prestazioni eventualmente elargite ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 178 e 181 (cioè quelle integrative a favore di grandi invalidi) le stesse vengono erroneamente definite dall’INAIL oneri indiretti, dovendosi bensì considerarli al contrario oneri diretti di cui è doveroso assegnare l’onere della prova in ipotesi di concreta elargizione delle prestazioni”.

Con la quinta censura le società deducono, elaborando il quesito di diritto previsto dal citato art. 366 bis c.p.c., violazione e falsa applicazione del D.M. 15 novembre 1978, art. 15. Lamentano, in particolare, che dalla lettura dell’elaborato peritale “si evince che è stata omessa, nel conteggio aritmetico del t.s.a. della ricorrente, l’ulteriore riduzione del tasso applicabile in virtù di tale oscillazione” Allegano, quindi, “la mancata attribuzione dell’ulteriore riduzione del 10% del Tasso di tariffa, discostandosi il tasso aziendale, negli anni di riferimento, di oltre il 50% del tasso di tariffa come previsto dalla normativa violata”.

Con il sesto, ed ultimo, motivo le società prospettano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Affermano che “conseguente alla violazione di cui al paragrafo che precede, si rileva anche l’omessa e contraddittoria motivazione relativa alla mancata attribuzione, nel conteggio del t.s.a. della ditta ricorrente, l’oscillazione del 10% a mente dell’indicato D.M. 15 novembre 1978, art. 15”.

Queste censure che, in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico – giuridico vanno trattate unitariamente, sono infondate.

Invero, è oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, dopo l’intervento, con sentenza del 11 giugno 2001 n. 7853, delle S.U. che ai fini della determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l’assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, nel calcolo del tasso specifico aziendale devono essere inclusi gli oneri per i casi di infortunio e di malattia professionale ancora da definire alla data di tale calcolo (riserva sinistri), anche quando nell’azienda non si siano verificati infortuni nel periodo considerato; ed infatti il detto tasso specifico aziendale è stato previsto dal D.M. 18 giugno 1988 e dai precedenti decreti (contenenti le tabelle di classificazione delle diverse lavorazioni con i corrispondenti tassi di tariffa, nonchè i criteri di determinazione del tasso specifico aziendale) con riferimento non all’andamento infortunistico della singola azienda, bensì al rapporto tra l’andamento infortunistico in ciascuna categoria di lavorazione ed il numero di lavoratori assicurati nelle singole imprese, in corrispondenza di un principio di mutualità tra le imprese assicuranti, che – salvaguardando l’equilibrio finanziario dell’ente assicuratore e ripartendo gli effetti dei sinistri fra le imprese consente di evitare che l’assenza di eventi dannosi per una pluralità di imprese e la conseguente riduzione contributiva, eventualmente assai consistente nel complesso, si traduca in un pesante aggravio per le imprese colpite da sinistri o si ripercuota sul bilancio dell’ente assicuratore, mentre l’assenza di sinistri per la singola azienda può eventualmente comportare per quest’ultima il beneficio di una riduzione del tasso, una volta che questo sia stato determinato previa inclusione della detta riserva (citato D.M. del 1988, ex art. 20, comma 4) (principio questo confermato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte V. per tutte Cass. 24 settembre 2004 n. 19268 cui adde Cass. 6 marzo 2007 n. 5120, Cass. S.U., 11 giugno 2007 n. 7853 ed ancora per gli oneri indiretti – di cui si fa espresso riferimento nella fattispecie in esame – Cass. 15 ottobre 2003 n. 15448).

A tale principio la sentenza impugnata si è attenuta ed è, quindi, corretta in diritto.

Relativamente alle altre censure, rileva il Collegio che le stesse, nella parte in cui si riferiscono alle conseguenza di un diversa regola iuris, vanno disattese in ragione della rilevata non fondatezza di un diverso principio, mentre nella parte che riguardano i denunciati errori dell’elaborato peritale, ivi compresi il computo degli oneri diretti ed indiretti, non sono esaminabili in quanto il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non trascrive, quantomeno, i passaggi salienti della consulenza tecnica investiti dalle critiche (su tale punto V., tra le tante, Cass. 13 giugno 2007 n. 13845).

Nè il ricorrente precisa di aver sottoposto al giudice del merito le contestazioni che oggi muove alla consulenza tecnica posta a base della sentenza impugnata. A tal riguardo va richiamato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, per cui in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi.

Principio che trova applicazione anche in riferimento alle contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio – e per esse alla sentenza che le abbia recepite nella motivazione -, che intanto sono ammissibili, in sede di ricorso per cassazione, in quanto ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e che la tempestività di tale proposizione risulti, a sua volta, dalla sentenza impugnata, o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso, con specifica indicazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione prima di esaminare nel merito la questione sottopostale (tra molte, da ultimo, Cass. 31 marzo 2006 n. 7696).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 16,00, oltre Euro 5.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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