Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34539 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. I, 27/12/2019, (ud. 12/11/2019, dep. 27/12/2019), n.34539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2185/2015 proposto da:

(OMISSIS) Srl, in Liquidazione, in persona del liquidatore

G.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Alessandro Serpieri 8,

presso lo studio dell’avvocato Buscemi Gaetano, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) Srl, in Liquidazione, in persona del curatore

fallimentare B.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Monte Delle Gioie 13, presso lo studio dell’avvocato Valensise

Carolina, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lori

Mara, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Caseificio Soc. Coop. Di Ghiare Di Corniglio, Fiduciaria Poldi Allai

Srl, P.D. Formaggi e Latticini Produzioni;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2488/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2019 da Dott. FIDANZIA ANDREA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 15 dicembre 2014, la Corte d’Appello di Bologna, in sede di rinvio, ha rigettato il reclamo proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, società dichiarata fallita all’esito della declaratoria da parte del Tribunale di Parma della inammissibilità della proposta di concordato per il mancato raggiungimento delle maggioranze L. fall., ex art. 177, sul rilievo che, essendo una classe di votanti composta da creditori postergati ex lege, non era stata raggiunta la maggioranza dei voti in ciascuna classe, come prescritto dalla sentenza di questa Corte n. 2706/2009.

La Corte d’Appello, in diversa composizione, si è nuovamente pronunciata sul reclamo proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. dopo che questa Corte di legittimità, con sentenza n. 6561/2014, aveva cassato la precedente decisione del 8.7.2012, rilevando il difetto di ogni accertamento sull’esistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per la configurabilità, nel caso di specie, dell’istituto della postergazione.

La sentenza in questa sede impugnata, dopo aver ritenuto il creditorie G.G. s.r.l. un creditore postergato ex lege sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo, ha osservato che la previsione nella proposta concordataria di una classe di postergati da pagare in percentuale, non dopo il pagamento totale, ma in concomitanza al pagamento degli altri chirografari richiedesse quantomeno il consenso di tutte le altre classi per derogare all’art. 2467 c.c..

La Corte d’Appello ha rigettato, altresì, tutte le doglianze sollevate dalla reclamante in ordine al mancato rispetto delle formalità procedurali nella fissazione dell’udienza L. Fall., ex art. 179, tra cui la mancata nuova convocazione del debitore (prima della declaratoria di fallimento) L. Fall., ex art. 15.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione affidandolo a tre motivi.

La curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione si è costituita in giudizio con controricorso.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta.

La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stato dedotto il vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata su un motivo di gravame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 112 c.p.c..

Lamenta la ricorrente di aver già prospettato nel reclamo censure volte a dimostrare l’inesistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi della disciplina della postergazione ex artt. 2467 e 2497 quinques c.c., evidenziando che la diversa valutazione del Tribunale di Parma non era sorretta da alcun riferimento a considerazioni aziendalistiche o a indici consolidati di bilancio. Tuttavia, la sentenza impugnata non aveva spiegato quali elementi valessero a giustificare l’applicazione del principio della postergazione e non aveva minimamente affrontato le tematiche che la propria difesa aveva proposto.

Inoltre, la Corte d’Appello non aveva neppure percepito l’esistenza della censura con cui la ricorrente aveva lamentato il difetto di coerenza del decreto del Tribunale di Parma, che aveva ritenuto, in passaggi diversi del proprio percorso argomentativo, la G.G. sia come creditore postergato volontario che postergato ex lege.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che la sentenza impugnata non si è affatto sottratta alle censure svolte dalla (OMISSIS) s.r.l. nel reclamo, motivando specificamente in ordine alla collocazione della G.G. s.p.a. nella categoria dei creditori postergati ex lege sia sotto il profilo soggettivo (vedi sul punto pag. 11 e parte iniziale di pag. 12 della sentenza impugnata) che oggettivo (vedi da pag. 12 a 16 compresa).

In particolare, manifestamente infondata è la doglianza secondo cui la Corte d’Appello non avrebbe a sua volta fatto riferimento, per valutare l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, ai parametri delle scienze aziendalistiche. In proposito, a pag. 14, la sentenza impugnata ha fatto preciso riferimento, alla luce delle precise allegazioni del fallimento non specificamente contestate dalla reclamante, agli indici di bilancio “rapporto di indebitamento” (rapporto totale attivo/patrimonio netto) e “indipendenza finanziaria” (rapporto patrimonio netto/totale attivo al netto delle disponibilità liquide) rilevando, quanto al primo, che il rapporto di indebitamento ” era sempre stato ampiamente squilibrato dal 2002 al 2009 poichè l’attivo era finanziamento con mezzi propri solo per frazioni ben inferiori ad un terzo e sempre superiori ad un nono (fino ad arrivare a 1/32 nel 2002, 1/19 nel 2003, 1/21 nel 2004)”, e, quanto al secondo, che “era sempre stato estremamente basso (inferiore allo 0,33, fra 0,2 e 0,10 dal 2002 al 2008) anche quando il patrimonio netto figurava come positivo, sicchè i finanziamenti avrebbero dovuto essere interni (conferimenti) e non provenire da apporti esterni”.

Inoltre, il provvedimento impugnato, all’esito di un articolato percorso argomentativo, alle pag. 14 e 15, ha equiparato i finanziamenti erogati dalla G.G. alla fallita prima del 2007 (anno in cui il patrimonio netto era divenuto negativo) a quelli erogati dopo punto su cui la reclamante aveva sollevato doglianze – sul rilievo che, anche in precedenza, era risultato eccessivo lo squilibrio tra indebitamento complessivo e patrimonio netto.

Infine, quanto al rilievo della ricorrente secondo cui la Corte d’Appello non avrebbe risposto alla censura di mancanza di coerenza del decreto del Tribunale di Parma in ordine alla qualificazione del creditore G.G. (se postergato volontario o ex lege), il giudice di secondo grado ha, in realtà, evidenziato che, indipendentemente dalla fonte della postergazione, non vi fosse motivo per un trattamento differenziato dei soggetti di “grado postergato” con riferimento alla problematica sollevata nel decreto L. Fall., ex art. 179.

Con tali precise argomentazioni, la società ricorrente non si è minimamente confrontata, limitandosi a contestare apoditticamente l’omessa pronuncia sulle proprie censure.

3. Con il secondo motivo è stato dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per mancata e/o erronea valutazione di specifiche doglianze in ordine alla irragionevolezza del decreto di inammissibilità del concordato preventivo (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La ricorrente ha reiterato le censure già svolte nelle precedenti fasi in ordine alla irragionevole motivazione del decreto di inammissibilità del concordato preventivo nel ritenere non raggiunte le maggioranze L. Fall., ex art. 177, della violazione del diritto di difesa in relazione alla mancata specificazione nel decreto di convocazione L. Fall., ex artt. 179 e 162, dell’effettivo thema decidendum dell’udienza, della violazione del diritto di difesa L. Fall., ex artt. 179,162 e 15, per non avere il Tribunale, all’esito delle operazioni di voto provveduto ad una nuova convocazione del debitore prima della dichiarazione di fallimento.

Rileva, inoltre, la ricorrente che essendo stata raggiunta la maggioranza nel maggior numero di classi, ai sensi della L. Fall., art. 177, si sarebbe dovuto procedere con l’omologazione L. Fall., ex art. 180.

Il provvedimento con cui il Tribunale ha ribaltato l’esito della votazione si appalesa abnorme, anche perchè emesso sulla scia della relazione del Commissario Giudiziale, nella quale la sentenza n. 2706/2009 di questa Corte – che richiede ai fini del raggiungimento delle maggioranze L. Fall., ex art. 177, la formazione di una maggioranza in ogni classe – è stata erroneamente richiamata, in quanto facente riferimento ad una norma previgente.

Evidenzia, inoltre, la ricorrente che la suddivisione in classi consente comunque di derogare al sistema legale di riparto purchè venga rispettato il principio della par condicio all’interno di ciascuna classe creata sulla base della omogeneità delle posizioni giuridiche.

4. Con il terzo motivo è stato dedotto il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione per mancata ed erronea valutazione delle doglianze mosse con la memoria difensiva in relazione alla L. Fall., artt. 179,162 e 15.

Lamenta la ricorrente la mancata osservanza di un iter procedurale corretto dopo le operazioni di voto, atteso che il Tribunale, all’esito della votazione positiva dei creditori, avrebbe dovuto procedere con il giudizio di omologazione, lasciando l’eventuale iniziativa ai creditori dissenzienti, essendo il controllo del giudice – in quanto privo del potere di agire d’ufficio o su sollecitazione del Commissario – solo formale.

Si censura, inoltre, che è stato illegittimamente escluso il diritto di voto della G.G., sulla base di una normativa non applicabile in quanto previgente, e che è stata pronunciata la sentenza di fallimento senza uno specifico accertamento in ordine all’insolvenza.

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, in ragione della connessione delle questioni trattate, presentano profili di infondatezza e di inammissibilità anche se la motivazione della Corte d’Appello merita di essere parzialmente corretta ex art. 384 c.p.c..

In particolare, i giudici di merito, ispirandosi al precedente di questa Corte n. 2706/2009, hanno ritenuto non raggiunte le maggioranze richieste, L. Fall., ex art. 177, per l’approvazione del concordato preventivo sul rilievo che, ai fini della deroga al regime della postergazione a norma dell’art. 2467 c.c. – prevista nella proposta concordataria – è necessario che venga raggiunta la maggioranza dei voti in ciascuna classe dei creditori, circostanza non verificatisi nel caso di specie.

Va premesso che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto, in ossequio agli insegnamenti della sentenza delle Sezioni Unite n. 1521/2013, che il controllo di legittimità e ammissibilità della proposta può essere svolto anche d’ufficio in qualsiasi momento e in ogni fase del concordato preventivo – e non è quindi demandata solo alla fase di omologa del concordato, e solo su eventuale sollecitazione dei creditori dissenzienti – attenendo alla valutazione di fattibilità giuridica della proposta concordataria (di competenza del giudice).

Tuttavia, il richiamo alla citata sentenza n. 2706/2009 non è corretto, avendo questa Corte, con sentenza n. 16348/18, già statuito che, se è pur vero che ai creditori postergati può essere attribuito il diritto di voto – avendo gli stessi un interesse giuridicamente rilevante ad esprimere il proprio gradimento o meno sulla proposta concordataria rispetto all’alternativa fallimentare – deve comunque verificarsi se la creazione di tale classe di votanti possa determinare in concreto una violazione della regola stessa della postergazione, non potendosi derogare al principio del soddisfacimento solo residuale e sempre posposto dei creditori postergati, attraverso una loro sostanziale equiparazione ai chirografari. Pertanto, non essendo la volontà del legislatore disponibile dalle parti in sede concordataria, la maggioranza dei creditori non può disporre che sia antergato il soddisfacimento dei postergati, dovendo, invece, il loro soddisfacimento essere sempre posposto a quello integrale degli altri creditori chirografari.

Nel caso di specie, avendo la Corte d’Appello ricostruito (e più volte evidenziato) che la proposta concordataria prevedeva una classe di postergati che doveva essere soddisfatta in percentuale, non dopo il pagamento totale, ma in concomitanza al pagamento degli altri chirografari, è evidente che è stata introdotta una illegittima deroga all’istituto della postergazione, deroga che non è mai ammissibile, neppure nel caso in cui la proposta concordataria ottenga la maggioranza dei voti in ciascuna classe.

Dunque, correttamente è stata dichiarata l’inammissibilità della proposta concordataria, ma tale inammissibilità non deriva dal mancato raggiungimento delle maggioranze L. Fall., ex art. 177, ma perchè è stata creata una classe di postergati in relazione ai quali è stato previsto un soddisfacimento in percentuale in concomitanza con i creditori chirografari, e non residuale e posposto all’integrale soddisfacimento di questi ultimi.

Per il resto, l’iter argomentativo della sentenza impugnata è privo di ogni vizio lamentato dalla società ricorrente.

In primo luogo, condivisibilmente, la Corte d’Appello ha ritenuto che non sia stato affatto violato il diritto di difesa della società poi fallita, sia nel pronunciare il decreto L. Fall., ex art. 179 – eloquente, è, in particolare, il riferimento normativo in esso inserito alla L. Fall., art. 162 (che richiama i requisiti di ammissibilità della proposta L. Fall., ex artt. 160 e 161, oltre che della L. Fall., artt. 1 e 5) – sia nel non convocare nuovamente il debitore L. Fall., ex art. 15, prima di pronunciare il fallimento.

In ordine a quest’ultimo profilo, la Corte d’Appello ha evidenziato che la debitrice era stata, a suo tempo, ritualmente avvisata e convocata in ordine alle quattro istanze di fallimento proposte nei suoi confronti dai creditori, fu presente alle udienze prefallimentari cui seguirono i decreti di improcedibilità L. Fall., ex art. 168, “fino all’esito della procedura di concordato preventivo”, e che non risultavano ulteriori istanze (oltre alle quattro sopra citate) non note alla debitrice che fossero state poste a fondamento della sentenza dichiarativa di fallimento.

Inoltre, all’udienza collegiale del 8.2.2012, la (OMISSIS) convocata con il decreto L. Fall., ex art. 179, fu in grado di interloquire ulteriormente sulle istanze di fallimento, due delle quali reiterate a quella udienza, riportandosi anche alle argomentazioni svolte in una precedente memoria difensiva.

E’ stato dunque correttamente osservato che, essendosi il rapporto processuale già instaurato con il debitore, avendo costui potuto compiutamente svolgere le sue difese e non essendo stati introdotti ulteriori elementi rispetto a quelli già acquisiti, una nuova convocazione del debitore L. Fall., ex art. 15, non era affatto necessaria (vedi Cass. 2130/2014).

Emerge, infine, dalla sentenza impugnata, che la Corte ha debitamernte provveduto all’accertamento dei requisiti di cui alla L. Fall., artt. 1 e 5, sia, sotto il profilo soggettivo della fallibilità, sia con riferimento all’elemento dell’insolvenza. Ne consegue che le doglianze della ricorrente – che non si è minimamente confrontata con le precise argomentazioni della sentenza impugnata – si configurano, in realtà, come mere censure di merito, essendo solo finalizzate a sollecitare una rilettura del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese

forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte

del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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