Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34535 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. I, 27/12/2019, (ud. 30/10/2019, dep. 27/12/2019), n.34535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3137/2016 proposto da:

Edilizia Immobiliare San Giorgio 89 s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, E.M., in proprio e quale erede

di E.L., Hotel Cristallo s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, San Paolo Edilizia s.r.l. in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma

Via Alessandria 128-130, presso lo studio dell’avvocato Antonino

Piro, che li rappresenta e difende in forza di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Intesa Sanpaolo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie 1,

presso lo studio dell’avvocato Enrico Brugnatelli, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Manuela Maria Grassi

in forza di procura speciale allegata al controricorso;

– controricorrente incidentale –

contro

Edilizia Immobiliare San Giorgio 89 s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, E.M., in proprio e quale erede

di E.L., Hotel Cristallo s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, San Paolo Edilizia s.r.l. in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma

Via Alessandria 128-130, presso lo studio dell’avvocato Antonino

Piro che li rappresenta e difende in forza di procura speciale in

calce al ricorso;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4338/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 21/12/2009 le società San Paolo Edilizia s.r.l., Edilizia Immobiliare San Giorgio s.r.l., Hotel Cristallo s.r.l. e E.M., in proprio e quale erede di E.L., hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano Banca Intesa Sanpaolo s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni rispettivamente cagionati, scaturiti dalla vendita affrettata di numerosi appartamenti, dalla stipula di contratti di mutuo fondiario e dalla illegittima escussione di garanzie, previo accertamento dell’abuso di dipendenza economica posto in essere ai loro danni e dell’illegittima richiesta di garanzie sproporzionate al credito concesso, nonchè alla restituzione di quanto indebitamente percepito a titolo di interessi usurari per i contratti di mutuo n. (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente sottoscritti da San Paolo s.r.l. e Hotel Cristallo s.r.l., nonchè al risarcimento dei danni derivanti da illegittime segnalazione alla Centrale Rischi.

Costituendosi in giudizio Intesa Sanpaolo, ha chiesto il rigetto delle domande degli attori, ha eccepito la prescrizione delle pretese avversarie, ha negato la fondatezza delle domande di nullità o annullamento dei mutui, chiedendo in subordine la restituzione di quanto versato ai clienti ex art. 2033 c.c., ha negato di aver revocato i fidi, salvo quanto avvenuto nel 1998 relativamente all’Hotel Cristallo, ha sostenuto che la scelta di rientro dagli affidamenti era stata autonoma e determinata da ragioni fiscali, ha rilevato che le società debitrici avevano già agito in giudizio per l’accertamento dell’anatocismo e il ristoro dei danni e che le domande di El.Lu. ne costituivano duplicazione.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 9187 del 28/6/2013 ha respinto tutte le domande degli attori, condannandoli alle spese di lite.

Il Tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione preliminare di prescrizione con riguardo all’azione di annullamento per errore e dolo di tutti i contratti di mutuo e a tutte le domande risarcitorie ritenute a fondamento contrattuale; ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione anche con riferimento all’operazione di vendita del 10/3/1995, ravvisando il primo atto diretto a interrompere la prescrizione nella lettera 24/3/2005, e alla conclusione dei contratti di mutuo, ad eccezione di quello concluso da E.M. il 4/3/1999 e dall’Hotel Cristallo s.r.l. il 10/9/2002; ha ritenuto infondata la domanda di nullità o annullamento dei contratti di mutuo di scopo perchè gli immobili erano stati realizzati con le disponibilità percepite con tali contratti e perchè mancava la prova dell’illegittimità dell’ammortamento “alla francese” applicato dalla Banca, rimanendo esclusa in sede extrafallimentare la questione della violazione della par condicio creditorum; ha rigettato le domande di nullità dei contratti di mutui n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) per superamento del tasso di usura, non essendo applicabile la relativa normativa e in difetto di prova; ha disatteso le richieste risarcitorie, ritenendo la condotta della Banca espressione di una libera scelta imprenditoriale presa a seguito del dialogo con le società debitrici; ha escluso la responsabilità per segnalazione alla Centrale Rischi in difetto di allegazione del dolo e di prova del danno.

2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello le tre società San Paolo, San Giorgio e Hotel Cristallo e E.M., personalmente anche quale erede di E.L., a cui ha resistito l’appellata Banca Intesa Sanpaolo proponendo appello incidentale.

La Corte di appello di Milano con sentenza del 12/11/2015 n. 4338, notificata in data 30/11/2015, ha respinto il gravame principale e in parziale accoglimento del gravame incidentale ha dichiarato l’intervenuta prescrizione delle domande risarcitorie proposte per i danni da vendita affrettata degli immobili ipotecati (domande A1 e B1), per l’escussione dei titoli oggetto di pegno (domande D1A, D1B, D12C, D2) e per la perdita di liquidità subita da E.M. (domanda D3), ponendo le spese del grado a carico degli appellanti principali.

3. Con atto notificato il 26/1/2016 hanno proposto ricorso per cassazione le società San Paolo, San Giorgio e Hotel Cristallo e E.M., svolgendo otto motivi.

Con atto notificato il 7/3/2016 ha proposto controricorso e ricorso incidentale condizionato Banca Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta e in subordine, con il supporto di tre motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

Con controricorso notificato il 23/3/2016 le parti ricorrenti hanno resistito al ricorso incidentale avversario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi tre motivi del ricorso principale attengono alla natura contrattuale della responsabilità della Banca fatta valere dai ricorrenti e conseguentemente al termine previsto per la prescrizione estintiva.

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione agli artt. 1175,1218,1375 e 2946 c.c. e o falsa applicazione di legge dell’art. 2043 c.c., con riferimento al tema della natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità e quindi del diverso termine di prescrizione applicabile.

La Corte di appello ha esteso l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, dall’ambito più circoscritto in cui era stato contenuto nella sentenza di primo grado (ristretto, cioè, all’azione di annullamento per errore e dolo di tutti i contratti di mutuo e al danno scaturente dall’operazione di vendita del 10/3/1995) a tutte le domande risarcitorie dei danni scaturiti dalla vendita affrettata degli immobili ipotecati, dall’escussione dei titoli in pegno e dalla perdita di liquidità subita da E.M..

Diversamente da quanto affermato dalla Corte milanese, secondo i ricorrenti, tutti i danni dedotti traevano origine dal medesimo illecito contrattuale, ossia dal recesso dagli affidamenti, con ordine di rientro di somme oltretutto in gran parte non dovute, dovendosi riferire alla fattispecie illecita e non ai suoi disparati effetti.

Il dovere di correttezza e buona fede in ambito bancario implica l’obbligo di fornire informazioni esatte e di non addebitare poste indebite, dà luogo a responsabilità contrattuale, anche laddove vengano realizzate condotte non solidaristiche, mentre il principio del neminem laedere possiede valenza residuale e non opera allorchè il fatto-fonte coincide con l’inadempimento del rapporto obbligatorio.

Il dovere di correttezza ex art. 1175, opera in ogni forma di responsabilità contrattuale, specificandosi nella regola di cui all’art. 1375 c.c. e in tema di esecuzione del contratto la buona fede si atteggia come impegno o obbligo di solidarietà.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La Corte di merito, per ricondurre all’alveo della responsabilità extracontrattuale la contestazione mossa alla Banca, l’aveva letta sul presupposto che la doglianza attenesse alle modalità di richiesta del rientro dagli affidamenti e non già nella illegittimità del recesso dai contratti di apertura di credito.

Anche la posizione di E.M. era stata coinvolta in qualità di socio garante dei rapporti contrattuali intercorsi con il gruppo in forza degli specifici contratti di pegno e fideiussione. Le condotte censurate erano state rappresentate in ragione dei contratti di conto corrente e affidamento in essere tra le parti, unitamente ai contratti accessori di garanzia, e dovevano quindi essere ricondotte nell’ambito della responsabilità contrattuale.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riferimento alla responsabilità contrattuale per tutti i rapporti intercorsi con la Banca.

Tutte le domande azionate scaturivano dai rapporti negoziali intercorsi fra i ricorrenti e la Banca; modalità e termini del recesso erano disciplinati dai contratti di conto corrente con le relative aperture di credito; tutte le contestazioni traevano fondamentalmente origine dal fatto che la Banca aveva illegittimamente addebitato sui conti correnti poste passive illegittime (interessi ultralegali, capitalizzazione trimestrale, commissioni di massimo scoperto, spese non concordate), così ponendo in gravissima difficoltà le società correntiste e i garanti e pretendendo un rientro complessivo ingigantito dalle poste passive indebite applicate.

1.4. La Corte di appello ha ritenuto che la responsabilità risarcitoria della Banca relativa ai danni conseguenti (a) alla vendita affrettata degli immobili ipotecati i 73 appartamenti della società San Paolo di cui domanda A1 e i 96 appartamenti della società San Giorgio di cui alla domanda B1), (b) all’escussione dei titoli oggetto di pegno a garanzia degli affidamenti concessi alle società del gruppo, offerti da E.M. e L. (di cui alle domande D1, D1B, D1C, D2) e (c) alla perdita di liquidità subita da E.M. (domanda D3) fosse di natura extracontrattuale e scaturisse dalla violazione del principio generale del neminem laedere, e in particolare del divieto di aggravare la posizione del debitore.

La Corte milanese, a pagina 19 dell’impugnata sentenza, osserva che ciò che veniva contestato alla Banca non era già l’illegittimo recesso dai contratti di apertura di credito, ma le modalità di richiesta del rientro dalle esposizioni debitorie.

Così argomentando, la Corte di appello ha introdotto una irragionevole scissione nell’ambito del comportamento addebitato alla parte di un rapporto contrattuale fra l’esercizio di una facoltà prevista dal regolamento contrattuale (nel caso: il recesso) e le sue modalità concrete di attuazione, asseritamente contrarie ai doversi di correttezza e buona fede, espungendo queste ultime dall’ambito della responsabilità ex contractu e ritenendole suscettibili di essere fatte valere solo a titolo aquiliano, nell’irrilevanza del rapporto obbligatorio che astringe le parti del rapporto e in forza del generale divieto del neminem laedere.

E’ chiaro che siffatto ragionamento, inficiato da una evidente forzatura logica, finisce con l’espellere dal rapporto contrattuale le obbligazioni accessorie e integrative che lo completano, in funzione di clausole generali, assumendo che il loro rispetto graverebbe sull’agente non già in forza del vincolo consapevolmente assunto ma in conseguenza del rispetto solidaristico dovuto a ciascun consociato.

Al contrario, l’art. 1374 c.c., precisa che il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità e il successivo art. 1375, impone alle parti di eseguire il contratto secondo buona fede, così riannodandosi al dovere di entrambe le parti del rapporto obbligatorio, ossia debitore e il creditore, di comportarsi secondo le regole della correttezza.

1.5. Giustamente i ricorrenti osservano che il termine di prescrizione deve essere commisurato alla fattispecie illecita, e quindi al tipo di responsabilità fatta valere, e non già in relazione ai più disparati effetti pregiudizievoli che ne possono scaturire; che la violazione del dovere di correttezza e buona fede in ambito bancario comporta responsabilità contrattuale anche se vengono poste in essere condotte non improntate al principio di solidarietà; che il precetto del neminem laedere ha valenza residuale, in presenza di un fatto-fonte rappresentato dall’inadempimento di obbligazioni scaturenti da un rapporto obbligatorio; che il dovere di correttezza che grava sulla parte di un contratto (nella specie di apertura di credito) comprende anche quello di non aggravare indebitamente la posizione del debitore.

La giurisprudenza di questa Corte, sia pur non espressamente in termini, è sempre partita dal presupposto della natura contrattuale del comportamento del creditore che assuma connotazioni arbitrarie e impreviste per il debitore (Sez. 1, 22/11/2000, n. 15066); inoltre, sempre ragionando in termini di responsabilità contrattuale, è stato affermato che il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benchè pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore che agisce per far dichiarare l’arbitrarietà del recesso ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti (Sez. 1, 24/08/2016, n. 17291).

1.6. Merita così accoglimento il primo motivo, al pari del secondo che estende le stesse considerazioni alla sfera di E.M., coinvolto in qualità di socio garante dei rapporti contrattuali intercorsi con il gruppo in forza di specifici contratti di pegno e fideiussione.

Resta assorbito il terzo motivo, censura motivazionale basata sul fatto che le pretese dei ricorrenti scaturivano dai rapporti negoziali intercorsi fra di loro e la Banca e che tutte le contestazioni traevano fondamentalmente origine dal fatto che la Banca aveva illegittimamente addebitato sui conti correnti poste passive illegittime (interessi ultralegali, capitalizzazione trimestrale, commissioni di massimo scoperto, spese non concordate), così ponendo in gravissima difficoltà le società correntiste e i garanti e pretendendo un rientro complessivo ingigantito dalle poste passive indebite applicate.

2. Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione agli artt. 1325 e 1418 c.c., con riferimento al tema della nullità dei contratti di mutuo di scopo per impossibilità della causa, al cui proposito la Corte di appello aveva preso in esame non solo i mutui sottoscritti nel (OMISSIS) (ossia i contratti n. (OMISSIS) dell’Hotel Cristallo s.r.l. e n. (OMISSIS) della San Paolo), ma anche i contratti del (OMISSIS) (n. (OMISSIS) della San Paolo e n. (OMISSIS) della San Giorgio) perchè in essi lo scopo era stato espressamente dichiarato dalle parti.

2.1. Il punto fondamentale, disatteso erroneamente dalla Corte milanese, secondo i ricorrenti era che lo scopo per cui il mutuo era stato concesso era divenuto impossibile perchè collegato a un fatto già storicamente verificatosi prima della conclusione del contratto di mutuo, con la conseguente nullità a prescindere dal fatto che lo scopo dichiarato potesse essere perseguito con altri strumenti finanziari.

In un mutuo edilizio in cui la realizzazione degli immobili rappresenta lo scopo del finanziamento, se gli immobili risultano ultimati prima della concessione del mutuo (fatto non contestato, risultante da copiosa documentazione ed esplicitamente riconosciuto nelle difese della controparte), la causa del contratto non esiste e viene mancare uno dei requisiti indispensabili per la validità.

E’ quindi alla sussistenza o meno dello scopo dichiarato in contratto al momento della sua stipulazione che occorre por mente e non già all’attuazione del risultato anche attraverso altri strumenti finanziari collegati negozialmente.

Le operazioni immobiliari del Gruppo E. erano state realizzate ben prima della stipulazione dei contratti di mutuo con il ricorso ad altri strumenti finanziari, ossia affidamenti in conto corrente, viziati da addebiti di poste illegittime; il contratto di mutuo successivo era quindi privo di collegamento negoziale con le operazioni pregresse; il collegamento negoziale comunque non escludeva che ciascun contratto si caratterizzasse in funzione della causa sua propria e conservasse autonomia giuridica.

2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il mutuo di scopo risponde alla funzione di procurare al mutuatario i mezzi economici destinati al raggiungimento di una determinata finalità, comune al finanziatore, la quale, integrando la struttura del negozio, ne amplia la causa rispetto alla sua normale consistenza, sia in relazione al profilo strutturale, perchè il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, mediante l’attuazione in concreto del programma negoziale, sia in relazione al profilo funzionale, perchè nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l’impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa. La destinazione delle somme mutuate alla finalità programmata assurge pertanto a componente imprescindibile del regolamento di interessi concordato, incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l’interesse dell’istituto finanziatore, ed è perciò l’impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione che assume rilevanza corrispettiva, non essendo invece indispensabile che il richiamato interesse del finanziatore sia bilanciato in termini sinallagmatici, oltre che con la corresponsione della somma mutuata, anche mediante il riconoscimento di un tasso di interesse agevolato al mutuatario (Sez. 1, n. 15929 del 18/06/2018, Rv. 649529-01); il mutuo di scopo è connotato dall’obbligo del mutuatario di realizzare l’attività programmata, perciò la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi voluto dalle parti. La presenza della clausola di destinazione comporta, quindi, che, qualora non sia poi realizzato il progetto il contratto è nullo (Sez. 1, 09/02/2015, n. 2409).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel cosiddetto mutuo di scopo legale (nella specie, per la costruzione di un complesso edilizio), poichè il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata, con i relativi interessi, ma anche a realizzare l’attività programmata, siffatto impegno assume rilievo causale nell’economia del contratto: pertanto, l’accertamento di un eventuale difetto di causa non può prescindere dalla verifica dell’attuazione o meno di tale risultato, con la conseguenza che il patto di compensazione tra un debito preesistente nei confronti del mutuante e le somme mutuate, con la parziale utilizzazione di queste ultime per estinguere i debiti precedentemente contratti dal mutuatario verso il mutuante, non determinano la nullità del contratto per mancanza originaria della causa, solo qualora sia stata realizzata l’opera per la quale i finanziamenti sono stati concessi. (Sez. 1, n. 8564 del 08/04/2009, Rv. 607949-01).

2.3. La Corte di appello (pag. 21) ha ritenuto che la problematica del difetto di causa dei contratti di mutuo, in quanto stipulati non già per costruire i complessi immobiliari ma al fine di ripianare i debiti delle società finanziate non si ponesse solo con riferimento al mutuo edilizio n. (OMISSIS), ex L. n. 175 del 1991, ma anche per i mutui fondiari n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) e per il mutuo n. (OMISSIS), comunque stipulati enunciando specificamente lo scopo perseguito dalle parti.

Tuttavia la Corte ha disatteso l’eccezione di nullità per difetto di causa proposta dai ricorrenti, ritenendo doversi attribuire rilievo alla inscindibilità della destinazione delle somme mutuate rispetto al complessivo regolamento di interessi e al fatto che l’impegno del mutuatario possedesse rilevanza corrispettiva nell’attribuzione della somma e quindi nell’economia del contratto; in particolare, la Corte ha conferito carattere decisivo all’attuazione concreta del risultato, opinando che nella fattispecie, in vista del collegamento negoziale fra i contratti di prefinanziamento e il successivo contratto di mutuo, la causa dovesse essere ravvisata in concreto tutte le volte in cui il fine complessivo attinto dall’operazione coincidesse con quello perseguito dalle parti.

Ciò è parso sussistere nel caso in esame poichè la complessa negoziazione mirava attraverso l’apertura di linee di credito in prefinanziamento e la conseguente stipulazione dei mutui di scopo a finanziare la costruzione, effettivamente eseguita, di complessi insediamenti immobiliari.

2.4. Il motivo in esame appare quindi inammissibile perchè eccentrico rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata che ha superato il problema causale del singolo contratto di mutuo (di scopo:legale o convenzionale) in vista del collegamento intercorrente tra più negozi giuridici, che imponeva di aver riguardo al fine complessivo dell’operazione collegata e rispetto alla quale (e non al singolo segmento negoziale) occorreva por mente per verificare il fine concretamente perseguito dalle parti.

O, più semplicemente, non occorreva riferirsi alla causa del singolo mutuo ma alla causa dei contratti unificati dal vincolo del collegamento negoziale.

3. Con il quinto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riferimento al collegamento negoziale.

3.1. La Corte di appello aveva ravvisato un complesso collegamento negoziale posto alla base delle operazioni immobiliari realizzate dal Gruppo E., attraverso l’apertura di linee di credito in prefinanziamento e la conseguente stipulazione di contratti di mutuo di scopo finalizzati al rientro delle relative esposizioni debitorie.

Così argomentando, la Corte non si era resa conto che le società del Gruppo avevano utilizzato la disponibilità di precedenti finanziamenti provenienti da aperture di credito in conto corrente, indipendentemente dalla successiva concessione dei mutui, esclusivamente finalizzata a garantire alla Banca il rientro dalle predette operazioni di finanziamento, sicchè non si verteva nell’ipotesi del prefinanziamento a breve termine concesso nell’attesa dell’erogazione del contratto di mutuo già concluso.

Il contratto di mutuo (OMISSIS), oltre a tradire platealmente lo scopo già realizzato, era stato utilizzato per finanziare l’acquisto da parte dei soci di azioni (OMISSIS) da collocare a garanzia, su imposizione della Banca; per i contratti di mutuo n. (OMISSIS) della San Paolo, n. (OMISSIS) della San Giorgio e n. (OMISSIS) della Hotel Cristallo non era stato considerato che le lettere per vincolo di mutuo a copertura degli affidamenti, imposte dalla Banca erano state redatte a immobili ormai ultimati.

3.2. Non sussiste il denunciato omesso esame del fatto decisivo: la Corte di appello è partita dal presupposto che le società avessero fruito di linee di credito in prefinanziamento e dopo la costruzione dei complessi immobiliari fossero stati stipulati i successivi contratti di mutuo di scopo finalizzati al rientro delle esposizioni debitorie, così cristallizzando tali esposizioni in debiti a lungo termine, suscettibili di parcellizzazione e accollo in sede di commercializzazione degli alloggi.

3.3. Non è quindi necessario ricordare che il tema della realizzazione preventiva dello scopo e dei suoi riflussi sulla causa contrattuale del mutuo di scopo è stato indagato anche dalla pronuncia della Sez. 3, di questa Corte n. 6395 del 30/3/2015, resa con riferimento a un mutuo edilizio, ovvero un mutuo di scopo legale, con individuazione dello scopo da parte della legge.

In tale sentenza è stato affermato che il mutuo di scopo è lecito fintanto che la realizzazione dello scopo da esso prevista è possibile al momento della conclusione del contratto; se il contratto viene concluso quando la realizzazione dello scopo è impossibile perchè collegata ad un fatto che si è già storicamente verificato ben prima della concessione del mutuo, il finanziamento nasce viziato, nel senso che viene concesso per consentire al mutuatario di realizzare non la finalità prevista dalla legge (ovvero la realizzazione di un programma edilizio), ma uno scopo diverso che nel caso era quello di estinguere il precedente finanziamento, ottenuto a condizioni più onerose), che potrebbe essere a sua volta lecito, ma dovrebbe essere perseguito con un diverso strumento che non abbia questo vincolo finalistico; che quel che conta è che il progetto in relazione al quale viene concesso il finanziamento sia ancora da completare.

Tuttavia, la pronuncia in esame, dopo aver riconosciuto che rientra nelle finalità legali del mutuo di scopo anche l’obiettivo di favorire la migliore commercializzazione degli immobili realizzati e la circolazione dei beni mediante la frammentazione e l’accollo parziario del mutuo contratto dal costruttore da parte degli acquirenti, a condizioni migliori di quelle reperibili sul mercato dal singolo, ha dato decisivo rilievo all’esclusione nel caso concreto che il contratto di mutuo potesse esplicare anche questa finalità, possibile solo qualora il progetto immobiliare che la società costruttrice ha inteso realizzare, che comporta non solo la costruzione ma poi anche la vendita degli immobili, sia ancora da realizzare, almeno in parte, e qualora questa possibilità sia offerta a tutti gli acquirenti. In quel caso, invece, gli immobili non solo erano stati già ultimati, ma erano stati tutti, meno uno, già venduti in precedenza, sicchè la stessa possibilità di frazionamento del mutuo era esclusa fin dal momento della conclusione del contratto in mancanza di una possibile pluralità di acquirenti.

Nella fattispecie invece è pacifico, come sottolinea la controricorrente che gli immobili erano ancora tutti da vendere sicchè l’obiettivo del frazionamento dei mutui poteva essere obiettivamente perseguito.

4. Con il sesto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione all’art. 1344 c.c. e invocano la nullità dei contratti di mutuo per frode alla legge.

4.1. I contratti di mutuo secondo i ricorrenti sarebbero affetti da nullità derivata perchè destinati a coprire passività di conto illecite, trasformandosi in sorte capitale, solo apparentemente lecita, e continuando così a generare cospicui interessi per 15 anni, raggiungendo così un risultato vietato dalla legge e in frode ad essa.

4.2. Ai sensi dell’art. 1344 c.c., in tema di contratto in frode alla legge, si reputa illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.

L’istituto è invocato del tutto fuor d’opera: da un lato non vi è alcuna trasformazione delle passività di conto illecite nel debito, apparentemente lecito, scaturente dai mutui; per altro verso, nulla impediva – e nulla in concreto ha impedito – alle ricorrenti di agire per far accertare l’addebito di poste illegittime o illecite nei contratti di conto corrente intercorsi con la Banca ed esperire le opportune azioni recuperatorie.

In altri termini, la stipulazione dei mutui è del tutto neutra rispetto alla possibilità di far valere gli illeciti lamentati e manca pertanto, in radice, della pretesa attitudine a eludere la legge.

5. Con il settimo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’omessa pronuncia sulla domanda di nullità del contratto di interest rate swap, imposto dalla Banca, sotto le mentite spoglie dell’operazione di copertura del mutuo concluso il 10/9/2002 da Hotel Cristallo, nullità che era stata dedotta unitamente a quella del collegato contratto di mutuo e che emergeva inconfutabilmente dagli atti.

5.1. I ricorrenti denunciano il vizio di omessa pronuncia su di una pretesa domanda di nullità del contratto di swap in violazione dell’art. 112 c.p.c., in realtà mai introdotta in giudizio.

Non solo i ricorrenti non danno conto dei tempi e dei modi in cui siffatta domanda sarebbe stata formulata, ma essi stessi sostanzialmente riconoscono che la loro doglianza si collega a un mancato rilievo d’ufficio, in ipotesi doveroso, da parte della Corte milanese di una nullità del contratto in questione, asseritamente emergente dagli atti di causa.

5.2. La controricorrente ha quindi buon gioco a rilevare, in primo luogo, che il tema dell’asserita nullità del contratto di swap non era mai entrato a far parte del giudizio di primo grado e di appello.

I motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, e, in particolare, non possono riguardare neanche nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Sez. 2, 09/08/2005, n. 16742).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Sez. 2, n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251-02; Sez. 2, n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009-01; Sez. 6 – 1, n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332-01; Sez. 3, n. 15196 del 12/06/2018, Rv. 649304-01; Sez. 2, n. 14477 del 06/06/2018, Rv. 648975-02; Sez. 1, n. 25319 del 25/10/2017, Rv. 645791-01; Sez. 3, n. 13547 del 13/06/2014).

In secondo luogo, la ricorrente non ha spiegato nell’ambito del motivo la rilevanza giuridica del mancato rilievo officioso della predetta nullità del contratto i.r.s. (interest rate swap) poichè la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione che implicitamente ne accerti la validità.

I ricorrenti hanno equiparato all’omessa pronuncia su di una domanda di parte il mancato rilievo d’ufficio della pretesa nullità di un contratto non oggetto di domanda di parte.

In assenza di tale domanda il giudice ha il dovere di ufficio di rilevare la nullità solo se la ritenga sussistente ed emerga dagli atti, senza avere il dovere di esprimersi in negativo, se non ritiene che tale nullità sussista.

Con la loro richiesta i ricorrenti hanno sollecitato la Corte di Cassazione a rilevare essa stessa d’ufficio la nullità del contratto di swap, sul presupposto che questa emerga direttamente dagli atti, evenienza che non è ravvisabile sia per l’assoluta genericità delle deduzioni dei ricorrenti, sia perchè le loro tesi implicherebbero l’esperimento di accertamenti tecnici e istruttori incompatibili con la sede di legittimità.

6. Con l’ottavo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione alla L. n. 108 del 1996 e agli artt. 1319 e 1419 c.c., con riferimento al tema della “usura sopravvenuta”, in relazione ai contratti di mutuo n. (OMISSIS) della San Paolo e n. (OMISSIS) della Hotel Cristallo.

6.1. A tal proposito, secondo i ricorrenti, la Corte di appello aveva escluso la rilevanza della c.d. “usura sopravvenuta”, mentre era evidente la rilevanza penale della percezione di interessi superiore al tasso soglia, comunque non meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. e contrastante con il canone di buona fede oggettiva.

6.2. L’argomento è stato trattato dalla Corte milanese nel p. 4 a pagina 22, affermando che i criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, per la determinazione del carattere usurario degli interessi (tassi soglia pubblicati trimestralmente con decreto ministeriale e tasso globale effettivo medio – TEGM – aumentato della metà) non potevano essere applicati Alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della legge, dovendosi parametrare l’accertamento del carattere usurario del tasso al momento della sua pattuizione.

Ciò è stato in concreto escluso perchè gli appellanti (attuali ricorrenti) non avevano dimostrato l’usurarietà dei tassi applicati, avendo semplicemente asserito la loro usurarietà a partire dall’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996.

6.3. I ricorrenti invero si limitano a invocare l’applicazione della L. n. 108 del 1996, ai rapporti in corso, senza affrontare e contraddire il ragionamento della Corte territoriale in base al quale l’usurarietà del tasso pattuito e applicato avrebbe dovuto essere dimostrata aliter, per altro verso asseriscono il carattere usurario dell’interesse senza neppure indicarlo e argomentare conseguentemente in proposito.

In ogni caso, occorre tener presente il recente insegnamento di questo Collegio, nella sua massima espressione nomofilattica, secondo il quale nei contratti di mutuo, allorchè il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; inoltre la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato non può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (Sez. U, n. 24675 del 19/10/2017, Rv. 645811-01).

6.4. Ciò assorbe evidentemente le analitiche argomentazioni del controricorso volte a dimostrare sia in un caso (n. (OMISSIS) della Hotel Cristallo), sia nell’altro (mutuo n. (OMISSIS) della San Paolo), che gli interessi applicati non superavano affatto il tasso soglia (nel primo caso in ragione dell’indebito cumulo degli interessi corrisposti dalla Regione Toscana e nel secondo caso per l’erronea considerazione del capitale residuo) che non si contrappongono, come sopra sottolineato (p. 6.2.) a argomentazioni specifiche del ricorso sul punto contenute nel ricorso.

7. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la Banca ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

7.1. La ricorrente incidentale sub condicione si duole del fatto che la Corte di appello abbia ignorato che le domande proposte nelle cause in materia di ripetizione di indebito intentate nel 2004 erano basate, oltre che sull’addebito di competenze illegittime, anche sul loro avvenuto pagamento.

La Banca aveva conseguentemente eccepito l’improponibilità di nuove richieste di danni nel rispetto del divieto di frazionamento delle domande risarcitorie; la Corte di appello aveva respinto tale eccezione preliminare, pur riconoscendo che i danni lamentati nel presente giudizio scaturivano dalla richiesta forzosa di rientro dall’esposizione debitoria e dall’escussione delle garanzie, perchè tali comportamenti sarebbero del tutto autonomi dall’illegittimo addebito di interessi anatocistici, trascurando però che le parti attrici avevano chiesto in quella sede anche la restituzione degli importi indebitamente pagati in occasione del rientro e i danni prospettati erano stati calcolati sulla base delle somme indebitamente versate alla Cariplo (poi divenuta Intesa Sanpaolo).

7.2. Banca Intesa, per la denegata ipotesi di mancato rigetto del ricorso avversario, ha ritenuto di “riproporre in questa sede, occorrendo in via di ricorso incidentale condizionato, le domande ed eccezioni formulate in giudizio e disattese dalla Corte d’appello di Milano nella sentenza impugnata”.

In particolare, il primo motivo si riferisce all’eccezione preliminare di preclusione e improponibilità delle domande risarcitorie avversarie perchè introdotte in violazione del divieto di non frazionamento.

In considerazione dell’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso principale si rende necessario esaminare il primo motivo del ricorso incidentale, alla luce della sua natura assolutamente pregiudiziale.

Infatti, nella giurisprudenza di questa Corte è ormai affermato il principio che le parti hanno la facoltà, per effetto del principio dispositivo, di disporre dell’ordine logico delle questioni poste, salvo che queste non siano rilevabili d’ufficio, e, quindi, possono condizionare l’appello incidentale all’accoglimento di quello principale concernente il merito della causa, ancorchè, con l’impugnazione incidentale, ripropongano una questione di carattere pregiudiziale o preliminare (di rito o di merito), giacchè, se l’appello principale, che deve essere sottoposto ad un preventivo esame, risultasse totalmente infondato, l’appellante incidentale non avrebbe più interesse a che il proprio gravame fosse deciso, poichè il suo eventuale esito positivo non potrebbe portare ad un risultato a lui più favorevole relativamente all’oggetto della controversia (Sez. 2, n. 5134 del 21/02/2019, Rv. 652759-01).

Proprio in ordine alla proposizione di ricorso incidentale condizionato su questione preliminare si è ormai delineato un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di Cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale. (Sez. 3, n. 6138 del 14/03/2018, Rv. 648420-01; Sez. 1, n. 4619 del 06/03/2015, Rv. 634674-01; Sez. U, n. 7381 del 25/03/2013, Rv. 625558-01; Sez. U, n. 5456 del 06/03/2009, Rv. 606973-01).

7.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 15/11/2007, n. 23726, hanno affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravatrice della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

Più recentemente le Sezioni Unite sono tornate sul tema con la sentenza 16/02/2017, n. 4090, precisando che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.

7.4. Il motivo è infondato.

Il fatto dedotto sub specie dell’omesso esame (effettivo pagamento delle competenze indebite illegittimamente applicate) non solo non è decisivo, ma non è neppur rilevante.

La sentenza impugnata infatti ha respinto l’eccezione preliminare di abuso del processo per la parcellizzazione di una pretesa creditoria unitaria scaturente da un unico rapporto obbligatorio perchè l’addebito sui conti correnti delle società del gruppo E. delle voci non dovute (posto a base delle azioni in precedenza intraprese dalle società del gruppo) non rappresentava il solo fatto posto a fondamento delle richieste risarcitorie azionate nel presente giudizio, laddove gli attori, attuali ricorrenti in via principale, avevano rimproverato alla Banca ulteriori comportamenti illeciti fonti di danno, come la richiesta di rientro dall’esposizione debitoria, l’illegittima escussione delle garanzia e la mancata concessione di nuove linee di credito, concorrenti con l’illegittimo addebito di interessi ma del tutto autonomi e distinti.

La causa petendi era quindi diversa, molto più complessa rispetto alle circostanze fatte valere con le azioni precedenti in considerazione della deduzione di ulteriori molteplici condotte lesive concorrenti, e ovviamente diverso era il petitum in relazione ai diversi pregiudizi prospettati.

Le argomentazioni della ricorrente incidentale non sono idonee a inficiare il ragionamento sopra ricordato, rispetto al quale l’effettivo pagamento delle competenze indebite non assume particolare rilievo.

8. Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 175 del 1991, art. 4, D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38,artt. 1322,1343,1362,1367,1369 c.c..

8.1. La Banca nega la caratterizzazione di scopo dei contratti n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), assumendo che il contratto di mutuo fondiario D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 38, non poteva essere considerato tale, non costituendone elemento essenziale la destinazione delle somme riscosse a determinate finalità, mentre non era necessario a tale riguardo accertare l’esistenza di una causa meritevole di tutela, in presenza di un contratto tipico.

Inoltre la ricorrente incidente critica l’affermazione che le clausole contenute nei tre contratti di mutuo definissero lo scopo delle parti di vincolare la somma mutuata a scopo edilizio, essendo pacifico e incontestato che gli immobili erano già stati realizzati.

8.2. La natura condizionata del motivo esonera la Corte dal suo esame, in quanto è rivolto a contrastare le tesi dei ricorrenti principali relativamente ai mutui di scopo oggetto dei motivi quarto e quinto di ricorso principale, che non vengono accolti.

9. Con il terzo motivo di ricorso incidentale condizionato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente incidentale denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 342 c.p.c., comma 1, n. 1, con riferimento all’avvenuto passaggio in giudicato del capo della sentenza del Tribunale che aveva respinto le avversarie domande in punto pretesa usurarietà dei tassi applicati ai mutui n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS).

9.1. Al proposito le ricorrenti si erano limitate a criticare la sentenza di primo grado per non aver dato ingresso alle verifiche peritali richieste, senza contestare le assorbenti considerazioni in diritto esposte dal Tribunale e non avevano invocato il principio dell’usura sopravvenuta di cui all’ottavo motivo di ricorso.

9.2. La natura condizionata del motivo esonera la Corte dal suo esame, in quanto è rivolto è rivolto a contrastare le tesi dei ricorrenti principali relativamente all’applicazione di interessi usurari sui mutui oggetto dell’ottavo motivo di ricorso principale, che non viene accolto.

10. La sentenza impugnata deve essere quindi cassata in relazione ai primi due motivi di ricorso principale, assorbito il terzo, inammissibile il quarto, rigettati il quinto e il sesto, inammissibile il settimo, rigettato l’ottavo e rigettato il primo motivo di ricorso incidentale condizionato e assorbiti gli altri, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie i primi due motivi di ricorso principale, assorbito il terzo, inammissibile il quarto, rigettati il quinto e il sesto, inammissibile il settimo, rigettato l’ottavo e rigettato il primo motivo di ricorso incidentale condizionato e assorbiti gli altri, e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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