Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34530 del 27/12/2019

Cassazione civile sez. I, 27/12/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 27/12/2019), n.34530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28792/2015 proposto da:

A.G., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

Roma, Via Barberini n. 36, presso lo studio dell’avvocato

Colavincenzo Antonio, rappresentati e difesi dall’avvocato Costa

Vincenzo, giusta procura in calce al ricorso e giuste procure

notarili in atti;

– ricorrenti –

contro

Unicredit S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Di San Valentino n. 21,

presso lo studio dell’avvocato Carbonetti Francesco che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Carbonetti Fabrizio,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4785/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, del

07/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2019 dal cons. TRICOMI LAURA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale DE

RENZIS LUISA, che chiede che la Corte di Cassazione rigetti il

ricorso con le conseguenze previste dalla legge.

Fatto

RITENUTO

CHE:

A.G. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione con dodici mezzi, corroborati da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4785/2015, nei confronti di Unicredit SPA, che ha replicato con controricorso e memoria.

La controversia ha ad oggetto l’azione risarcitoria proposta dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti di Unicredit Banca SPA.

Tale azione trae origine dall’adesione degli attori ad una raccolta di danaro – in funzione della possibile costituzione di società assicurative – promossa da tale M.L. ed altri con riferimento all’ente “Coordinamento Soci Promotori Gruppo Mia di (OMISSIS)” (di seguito, il “Coordinamento”): l’adesione era stata realizzata mediante il versamento di somme di danaro di diversi importi sul conto corrente n. (OMISSIS) acceso presso l’Agenzia di Trento della allora società Banca di Roma, poi fusasi con la società Unicredit. Nel 2004 l’ente “Coordinamento Soci Promotori Gruppo Mia di (OMISSIS)” era stato dichiarato fallito dal Tribunale di Brescia.

Gli attori avevano agito contro la banca ravvisando a suo carico condotte foriere di responsabilità e chiedendo il risarcimento dei danni patiti.

Il Tribunale di Roma, dichiarate inammissibili le domande di quarantadue tra gli originari attori, aveva parzialmente accolto la domanda risarcitoria proposta dagli altri, riconoscendo un concorso di colpa degli stessi nella produzione dell’evento dannoso.

La sentenza è stata riformata in secondo grado, a seguito dell’accoglimento dell’appello principale proposto da Unicredit.

La Corte territoriale ha accolto i motivi di appello primo, quarto e quinto proposti da Unicredit, assorbiti gli altri, ed ha respinto le originarie domande attoree; quindi, ferma la pronuncia in primo grado di inammissibilità delle domande proposte da quarantadue tra gli attori, ha dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto dagli investitori.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia – così in rubrica – la nullità della sentenza di appello per vizio di ultrapetizione, sotto il profilo della violazione degli artt. 24 e 111 Cost., dell’art. 147 L. Fall., degli artt. 112,115,116,157,158,159 e 161 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., lamentando la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

I ricorrenti sostengono di avere agito in primo grado nei confronti della banca, chiedendo il risarcimento del danno da lesione del loro credito verso il “Coordinamento”, stante il concorso del terzo (banca) nell’inadempimento del debitore (ente), ed avendo contestato quale evento di danno “l’insolvenza dell’ente”, causata dai reati telematici della banca.

Su tale premessa lamentano che già la sentenza di primo grado era incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè nulla aveva detto in ordine ai reati telematici della banca, fattore esclusivo – nella prospettazione di parte – dell’insolvenza dell’ente e che tale omissione aveva formato oggetto di uno specifico motivo di appello per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si dolgono quindi che la Corte di appello abbia omesso nell’esposizione dei fatti rilevanti per la causa ogni riferimento all’insolvenza dell’ente ed ai reati telematici contestati dai risparmiatori come fattore esclusivo dell’insolvenza e ne deducono che ciò ha determinato l’illegittima dichiarazione di prescrizione delle domande risarcitorie.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. La prospettazione compiuta dai ricorrenti pecca sul piano della specificità ed è inammissibile per genericità, fermo sul punto il principio secondo il quale, qualora siano prospettate nel ricorso per cassazione questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare con puntualità in quale atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto e con quali specifiche ragioni ivi poste a sostegno, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. n. 15430 del 13/06/2018; Cass. n. 20694 del 09/08/2018); inoltre, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il diretto esame degli atti processuali è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della decisività della questione (Cass., n. 6055 del 16/04/2003).

Invero, nella sentenza impugnata non si dà atto della tesi prospettata dai ricorrenti, circa la responsabilità della banca per “lesione del credito” per avere essa determinato l’insolvenza del “Coordinamento”, loro debitore, mediante reati informatici ed i ricorrenti non chiariscono, nella narrativa (v. fol. 51 del ricorso) o nello svolgimento del motivo, in quale passaggio dell’atto di appello e, soprattutto, in quali termini la questione sarebbe stata prospettata al giudice del gravame, non assolvendo così all’onere di specificità del motivo.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la illegittimità della declaratoria di inammissibilità della domanda proposta da quarantadue fra gli attori, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., all’art. 2909 c.c., all’art. 163 c.p.c., n. 4, artt. 183 e 345 c.p.c., agli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c..

La censura attiene alla declaratoria di inammissibilità di tali domande, già formulata in primo grado dal Tribunale di Roma (sent. n. 11869/2012), per essere stato ritenuto il fatto introdotto da questi ricorrenti nel giudizio dinanzi al Tribunale di Trento (sent. n. 838/2006), e proseguito dinanzi alla Corte di appello di Trento (sent. n. 203/2009), identico a quello introdotto nel giudizio davanti al Tribunale di Roma e conclusosi dinanzi alla Corte di appello di Roma con la sentenza oggetto della presente impugnazione.

In proposito la Corte territoriale, confermando la prima decisione, ha ravvisato l’identità del fatto posto a fondamento delle domande, così riassunto “… doglianza concernente l’appropriazione da parte del M., a cagione della irregolarità dell’apertura del conto, dei fondi versati dai sottoscrittori”.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. Secondo i ricorrenti il giudizio svoltosi a Trento aveva ad oggetto la mala gestio del conto corrente (l’illegittima intestazione a un ente inesistente, ecc.), mentre quello proposto a Roma il diverso fatto della lesione del credito e dell’insolvenza dell’ente debitore provocata dai reati informatici. Sennonchè, come si è già visto a proposito del primo motivo, la tesi della responsabilità della banca per aver determinato l’insolvenza del debitore mediante reati informatici, se pure era stata proposta in primo grado, non era stata accolta dal Tribunale e non risulta, per le ragioni prima esposte (v. sub 1.3.), che sia stata riproposta in appello: conseguentemente non può essere posta a base del ricorso per cassazione.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la illegittimità della declaratoria di prescrizione della domanda, per avere fatto decorre il termine dal 2002 e non dal fallimento dell’ente, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, avuto riguardo all’art. 111 Cost., all’art. 2935 c.c., art. 2941 c.c., n. 8, art. 2947 c.c., comma 1, artt. 2697,2702 e 2730 c.c., agli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c.. Secondo i ricorrenti la prescrizione poteva iniziare a correre solo dall’evento-danno costituito dal fallimento dell’ente di fatto “Coordinamento” – e non dal 2002, epoca in cui questi avevano avuto consapevolezza del raggiro subito, come invece ritenuto dalla Corte territoriale (fol. 29 della sent. imp.) – perchè le somme versate all’ente dai risparmiatori erano state incassate dalla banca, all’insaputa degli stessi, sul conto del M. tramite reati telematici di natura dolosa (accesso abusivo e frode informatica), di guisa che la prescrizione doveva ritenersi sospesa ex art. 2941 c.c., n. 8, fino alla scoperta del dolo della banca che poteva collocarsi alla data del fallimento.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.3. La censura si basa, infatti, sulla tesi che ravvisa la responsabilità della banca per aver determinato l’insolvenza del Coordinamento, tesi che, come si è già visto (v. sub 1.3.), non risulta prospettata nel giudizio di merito, quantomeno di appello.

Quanto, poi, alla censura di omessa pronuncia, riferita alle tesi subordinate afferenti alla domanda di ripetizione di indebito e di responsabilità cartolare (a cui ricorrenti fanno un breve cenno a fol. 67 del ricorso), la stessa risulta infondata perchè la Corte territoriale ha provveduto, disattendendole (fol. 39 della sent. imp.).

4.1. Con il quarto motivo si denuncia, sempre in tema di prescrizione, l’illegittimità del diniego di applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3.

4.2. Il motivo è infondato.

La Corte romana ha affermato – senza essere smentita sul punto – che il Tribunale aveva accertato la responsabilità della banca non già per il fatto dei dipendenti, giudicati e, peraltro, assolti in sede penale (responsabilità indiretta), bensì per fatto proprio, e cioè per una condotta “totalmente estranea rispetto a quella oggetto del giudizio penale” (fol. 26 della sent. imp.) instaurato nei confronti dei dipendenti (responsabilità diretta).

Non essendo stato contestato tale accertamento in appello, occorre ragionare avendo riferimento alla responsabilità diretta della banca, come accertata dal Tribunale e, quanto a tale responsabilità, la Corte territoriale ha affermato che non era neppure “circostanziatamente dedotta e, comunque, non… provata” una condotta della banca, distinta da quella dei dipendenti che avesse le caratteristiche di un fatto-reato (fol. 26 della sent. imp.).

Anche questa statuizione non è censurata; onde deve concludersi che i fatti dedotti a carico della banca, oltre ad essere diversi da quelli addebitati ai dipendenti a titolo di reato, non avevano carattere penale: ne consegue che, non avendo connotazione penale, non trova applicazione l’art. 2947 c.c., comma 3, e la prescrizione del diritto, decorrendo dal 2002 (v. sub 3.1. e ss.), risulta già consumata alla data di proposizione della domanda (fol. 29 della sent. imp.)

5.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione del divieto della consuetudine contraria alla legge ex art. 15 disp. gen., lamentando la mancata applicazione della legge antiriciclaggio con riferimento alla banca dati ed alla gestione del conto corrente, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio motivazionale.

5.2. Con il sesto motivo si denuncia la violazione delle leggi nell’incasso di operazioni bancarie (assegni e bonifici), anche sotto il profilo del vizio motivazionale.

5.3. I motivi quinto e sesto vanno dichiarati entrambi assorbiti in conseguenza del rigetto delle censure riguardanti la statuizione di prescrizione: l’accertata prescrizione del diritto alla data di proposizione della domanda rende irrilevante discutere della fondatezza degli addebiti oggetto delle censure in esame, anche se sul punto la Corte territoriale, adottando una doppia ratio decidendi, ha del pari pronunciato escludendola.

6.1. Con il settimo motivo si denuncia l’illegittimo diniego dell’intera voce del danno patrimoniale e del mancato guadagno, sia come violazione di legge, che come vizio motivazionale.

I ricorrenti censurano la sentenza di appello per non aver motivato il rigetto del motivo di ricorso incidentale con cui avevano contestato l’accertamento, da parte del Tribunale, del concorso di colpa di essi creditori nella produzione del danno, ex art. 1227 c.c..

6.2 Il motivo è inammissibile perchè riguarda una questione su cui la Corte romana non si è pronunciata perchè assorbita dal rigetto della domanda originaria.

7.1. Con l’ottavo motivo si denuncia l’illegittimo diniego del danno non patrimoniale conseguente a reati, in particolare avendo riguardo a: 1) le ragioni del dolo della banca; 2) il pactum sceleris tra M. e la banca; 3) i reati telematici (artt. 615 ter e 640 ter c.p.); 4) il concorso della banca nella truffa operata da M.; 5) il concorso della banca nella bancarotta; 6) la raccolta abusiva di pubblico risparmio; 7) il ricorso abusivo al credito; 8) il trattamento illecito di dati personali; 9) il riciclaggio ex art. 648 bis c.p..

7.2. Con il nono motivo si denuncia l’illegittimo diniego del danno non patrimoniale da lesione di interessi costituzionalmente protetti.

7.3. Entrambi i motivi sono inammissibili.

7.4.L’ottavo motivo è inammissibile perchè la doglianza presuppone come accertata la commissione di fatti-reato da parte della banca, laddove la Corte territoriale con statuizione non impugnata ha invece accertato l’esatto contrario (v. sub 4.1. e ss.).

7.5. A ciò va aggiunto che entrambi i motivi sono inammissibili perchè riguardano questioni attinenti alle voci del danno risarcibile sulle quali la Corte romana non si è pronunciata (v. fol. 39 della sent. imp.), perchè assorbite dal rigetto della domanda originaria.

8.1 Con il decimo motivo si denuncia l’illegittimo rigetto della domanda subordinata di indebito incasso dei bonifici da parte della banca.

8.2 Il motivo è inammissibile perchè contiene sostanzialmente generiche censure di merito e non si confronta con l’accertamento compiuto in fatto dalla Corte territoriale in ordine alla circostanza che non risultava che la banca avesse incamerato le somme versate sul conto corrente dagli attori mediante bonifici.

9.1. Con l’undicesimo motivo si denuncia l’illegittimo rigetto della domanda subordinata da responsabilità cartolare ex art. 43 legge assegni. I ricorrenti sostengono che la banca abbia illegittimamente accreditato su un conto intestato a M. (il gestore del Coordinamento) gli assegni che erano invece emessi in favore di un soggetto diverso, ossia l’ente Coordinamento.

9.2. Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha statuito che il conto era stato aperto ad un ente di fatto, il “Coordinamento” effettivamente esistente (tanto da essere successivamente dichiarato fallito) che operava attraverso la persona fisica di M.L. (fol. 30 della sent. imp.), e non già che era intestato al M., come presuppongono invece i ricorrenti.

10.1. Con il dodicesimo motivo si denuncia l’illegittimo diniego del risarcimento da lite temeraria.

10.2. Il motivo è inammissibile perchè non integra una autonoma censura, bensì una mera conseguenza dell’eventuale accoglimento delle precedenti doglianze, ed è sostanzialmente assorbito dal rigetto del ricorso.

11. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 13.000,00=, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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